Umbria Jazz 2011 Perugia, 9 - 17 luglio 2011
di Daniela Floris foto di Daniela Crevena
Moltissimi i concerti, strutturati in modo da costituire una rassegna per il
jazz italiano al Teatro Pavone (scelto quest'anno in luogo del Morlacchi), e grandi
eventi (come sempre non ascrivibili solo al Jazz vero e proprio) all'Arena Santa
Giuliana. I jazzisti italiani al Pavone hanno reso omaggio alla celebrazione dei
150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli: veramente
interessante e bello ascoltare quanto il jazz sia multiforme, quando artisti diversissimi
tra loro interpretino uno stesso brano musicale. "Fratelli d'Italia" è stato reso
malinconico e intenso, in tonalità minore, a due voci (Bearzatti – Falzone);
inconsueto, giocoso, dissacrante (TuboLibre, Petrella - Ottolini);
swingante con armonizzazione libera (Max
Ionata); in "crescendo" drammatico (Giovanni Guidi –
Gianluca Petrella);
in forma iniziale d'intensa "ballad" (Rosario
Giuliani); in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica
e swingante (Bosso 5tet); jazzistico allo stato puro (Dado
Moroni, uno dei più belli e coinvolgenti del festival); destrutturato
(Roberto
Gatto). Un unico filo conduttore e la dimostrazione di quanto il Jazz
sia musica viva, poiché nasce impellente dalla personalità di artisti che creano
secondo la propria indole personale. Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz"
siano pubblicati e non rimangano celati perché vale davvero la pena ascoltarli e
riascoltarli.
Sabato 9 Luglio sono di scena Giovanni GuidiQuintet e i TuboLibre di
Gianluca Petrella
al Teatro Pavone. All'Arena Santa Giuliana, invece, appuntamento con la pianista
giapponese Cihiro Yamanaka e l'emozionante tributo a Miles Davis di due giganti
del jazz:
Wayne Shorter e
Herbie Hancock, con il fuoriclasse del basso elettrico
Marcus Miller.
Teatro Pavone, ore 16,30 Giovanni Guidi Quintet feat.
Gianluca Petrella,
con Michael Blake, Thomas Morgan e Gerald Cleaver
Un quintetto certamente molto affiatato questo di Giovanni Guidi, che a Umbria
Jazz ha presentato il suo nuovo cd "We don't leave here anymore". Musica disegnata
a effetto in modo che ogni brano abbia un'apertura sospesa, o morbidamente melodica,
o anche dinamicamente lenta e a volume dolce, per poi progressivamente sfociare
in uno sviluppo improvvisativo libero, a volumi forti, spesso in modo da suonare
tutti e cinque contemporaneamente, creando un'atmosfera contrastante con incipit
onirici o rarefatti, o malinconici. Dunque musica suggestiva, pensata in modo da
colpire emotivamente attraverso l'assottigliarsi e il ricomporsi di dinamiche e
spessore sonoro; questo anche per il particolare stile di Guidi, che ama affrescare
i momenti più connotati drammaticamente con l'uso di note ribattute allo spasimo,
ostinati continui, uso massiccio e proficuo da un punto di vista stilistico, di
accordi con entrambe le mani. I temi melodici sono in alcuni casi struggenti, gli
ostinati ritmici sono la trama sulla quale avvengono improvvisazioni "free"; non
sono mancati momenti di puro virtuosismo (come la lunghissima nota quasi "tibetana"
tenuta ad arte con la respirazione circolare da
Gianluca Petrella).
Oltre a ciò e' stata evidente un'intesa particolarissima tra il trombone ed il sax
tenore di Michael Blake. Si aggiunga a ciò un batterista (Gerald Cleaver)
abbastanza versatile da potersi perfettamente inserire in un contesto jazzistico
molto rigido dal punto di vista dell'andamento strutturale dei brani, seppur molto
libero all'interno di ognuno di essi. Il contrabbasso di Thomas Morgan si
è dimostrato fondamentale in più momenti, da evidenziare il solo notevole in "We
don't leave here anymore", brano che dà il titolo al Cd e durante il quale sono
emerse particolarmente le doti espressive di questo quintetto.
Arena Santa Giuliana Chihiro Yamanaka.
Virtuosa, energica, swingante, muscolare, percussiva, Chihiro Yamank a Perugia per
presentare il proprio cd "Forever Begins". Ha strabiliato il pubblico dell'Arena
con una tecnica sbalorditiva, uno stile jazzistico basato su volume altissimo, ritmi
frenetici, armonizzazioni non usuali tendenti alla dissonanza nonostante la scelta
di molti brani sia caduta (non a caso) spesso su standards ben noti (Take Five o
When you wish upon a star, per citarne due). Chihiro, fisicamente minutissima, è
un gigante sul pianoforte, e le sue mani percorrono i tasti con un vigore da lottatore
di sumo. La mano sinistra tiene la base ritmica, la destra vola freneticamente sulla
tastiera raggiungendo momenti in cui si arriva quasi al "corto circuito" che la
pianista scarica facendo fare al braccio un giro all'indietro. Salta letteralmente
dal seggiolino, si raggomitola sul pianoforte, lo spettacolo è garantito. Certo
che incentrando tutto sull'eccellenza tecnica, Chihiro inevitabilmente paga un tributo
all'espressività, ma di contro ha un pubblico in delirio, e comunque non scade mai
nel cattivo gusto e mostra di avere musicalità da vendere. Con lei due musicisti
molto bravi capaci di tenere il passo e anche di stimolare la stessa Chihiro,
Aldo Vigorito
al contrabbasso e Mickey Salgarello alla batteria.
Si cambia decisamente atmosfera e si entra nel Jazz d'autore con
Herbie Hancock,
Wayne Shorter e
Marcus Miller,
che hanno reso il loro tributo a Miles Davis, con il quale tutti e tre questi
artisti hanno collaborato complessivamente nell'arco di tutta la sua carriera dagli
anni Sessanta in poi. Unica data italiana - Arena Santa Giuliana piena - Hancock
e Shorter hanno emozionato e fatto venire i brividi a chi ha ascoltato negli anni
passati la loro musica. Hancock ha suonato moltissimo il pianoforte, meno la tastiera
ed ha suonato com'era da tempo che non lo si sentiva suonare, cercando e trovando
da subito il feeling con
Wayne Shorter. Essenziali nel fraseggio presentando temi "cult" quali
"So What", ricchissimi di spunti nell'improvvisazione, il genio di
questi due artisti giganteschi non ha stentato ad emergere.
Marcus Miller
forse in questo poetico scambio jazzistico appare un po' sopra le righe, ma nell'insieme
il concerto è stato di quelli da ricordare. Bella la tromba di Sean Jones,
più che solamente corretta la batteria di Sean Rickman. Un quintetto di eccezione
insomma, che ha regalato anche una splendida versione di " Someday My Prince
Will Come" solo inizialmente morbida, in cui il progressivo incalzare
è sfociato in un episodio trascinante a volume altissimo con
Wayne Shorter al sax soprano.
Quasi nessun concerto all'Arena era possibile vedere fino al termine per i giornalisti
che avevano deciso di seguire anche tutto il Jazz italiano, per l'inevitabile accavallarsi
degli eventi con il concerto di mezzanotte in centro al Teatro Pavone. Due concerti
in una sera all'Arena sono comunque lunghi, se si considerano i bis, e anche se
finiscono poco prima della mezzanotte non c'e' la garanzia di arrivare per tempo
in teatro, dove i posti riservati ai giornalisti non solo non erano assegnati, ma
in alcuni casi sono stati addirittura venduti.
Ecco perché il secondo concerto all'Arena lo documentiamo, ma non sino all'ultimo
bis.
Un percorso inaspettato attraverso timbri, mondi sonori e musicali differenti fra
loro, certamente uno dei concerti più inusuali di questa edizione
2011. Dissacranti, ironici e in alcuni momenti
drammatici, i Tubolibre sono passati da incipit anche fiabeschi, o di ricerca armonica,
a sviluppi del materiale delle intro in totale improvvisazione libera. Petrella
ha suonato il trombone in tutte le modalità percorribili, rievocando sia il jazz
in stile anni Trenta come quello sperimentale, coadiuvato dal suono particolarissimo
del sousafono di Ottolini, talvolta utilizzato per "cantare" temi melodici, talvolta
utilizzato con funzione di contrabbasso, spesso esibendosi in duetti. Dal canto
loro Calcagnile e Baldacci hanno creato le basi necessarie per regalare ritmo ed
armonia a due timbri "scuri", riuscendo a convogliare in maniera tutt' altro che
banale in ambiti tonali "noti" questa musica certamente non facile ma interessante.
Domenica 10 Luglio
"Tinissima Quartet" con il concept "Malcom X" e
Max Ionata
quartet che presenta il suo cd "Dieci". All' Arena, invece, un'altra fenomenale
pianista giapponese, Hiromi Huehara, seguita dal grande
Ahmad
Jamal.
Teatro Pavone, ore 16,30
"Tinissima Quartet" presenta "Malcom X"
Malcom X, suite ad alto tasso drammatico, è oramai metabolizzata a perfezione da
Francesco Bearzatti
(sax e clarino), Giovanni Falzone (tromba, vocals), Danilo Gallo (basso)
e Zeno De Rossi (batteria). Musica scritta ma connotata anche da larghi spazi
improvvisativi, fortemente evocativa, anche per sua stessa natura di "storia sonora",
poiché ricostruisce la vita del leader nero, ed è quindi un jazz ricco di spunti
diversi (sonorità afro, disco music, jazz mainstream, rap, funky ed altro ancora),
dinamico, per gli improvvisi cambi di registro previsti dall'avvicendarsi tra i
vari episodi. Momenti introspettivi, o angosciosi, o densi di pathos, sicuramente
un grande feeling tra i quattro musicisti: Bearzatti, Falzone, Gallo e De Rossi
appaiono sinceramente coinvolti nella loro stessa musica ed è per questo che convincono,
sia per estro creativo, che per energia, che per intensità espressiva, intrecciandosi
in dialoghi serratissimi o al contrario rarefatti, dando luogo a musica particolarmente
ricca di effetti e di conseguenza coinvolgente. Il bis, richiestissimo, ha virato,
come per sollevare dalla drammaticità della suite, verso un allegrissimo finale
in stile sudamericano, facendo ballare il pubblico entusiasta.
Arena Santa Giuliana, ore 21: Hiromi Huehara
Dopo Chihiro Yamanaka sul palco, in trio con Anthony Jackson al basso
e Steve Smith alla batteria, Hiromi Huehara, anche lei pianista, e giapponese.
Un' altra donna dall'aspetto minuto e fragile solo apparente, perché non appena
appoggia le mani sul pianoforte si palesa una vera e propria valanga di energia
regolamentata da una tecnica pianistica incredibile, più che ferrea. Molto diversa
dalla sua collega esibitasi la sera prima, più estroversa, più solare, più gigiona,
più allegra anche nel tipo di arrangiamenti preferiti; anche in questo caso, però
si viaggia su volumi alti, giochi virtuosistici, esibizione di mille stili: jazz,
musica classica, blues, gospel, soul music, rock e chissà quanti altri spunti ancora,
alcuni tanto fulminei da non poter essere esattamente percepiti. Ciò che si è percepito
chiaramente è entusiasmo, profonda conoscenza di ogni tipo di musica citata, volontà
di stupire (esaudita fin dal primo istante con il pubblico in delirio). Anche in
questo caso il tributo pagato è forse la mancanza di un linguaggio personale e di
un "messaggio" da trasmettere, in una parola di un senso espressivo di tanto incredibile
talento.
Ahmad
Jamal
Subito dopo Hiromi sale sul palco il Jazz di
Ahmad
Jamal, egli stesso ammiratore dichiarato di Hiromi (la quale qualche
minuto prima, in effetti, gli ha dedicato un brano con grande e commosso affetto).
Jamal suona come suona Jamal, con un amore per le percussioni, che hanno un largo
spazio all' interno del suo concerto, con le quali c'e' un continuo scambio di spunti
che da ritmici diventano ritmico melodici al pianoforte, e viceversa. Efficaci stop
time, inconfondibile modo di dirigere il gioco, Jamal è diverso da tutti e anche
uguale a se stesso, fa un jazz emozionante, intenso e ascoltarlo suonare è una sicurezza.
‘Round Midnight, Teatro Pavone Max Ionata,
"Dieci"
Max Ionata
con Nicola
Angelucci alla batteria,
Luca Mannutza
al pianoforte e Nicola Muresu al contrabbasso, ci hanno fatto ascoltare un
po' di jazz, quello che ci si aspetta di ascoltare ad un festival del jazz, cosa
non certo scontata, in un fiorire di progetti sperimentali e di contaminazioni.
Così è stato bello immergersi in un po' di swing, qualche ballad, blues, proposti
con freschezza, non certo impolverati o sterilmente copiati. I brani, tutti contenuti
nel nuovo Cd di Ionata, "Dieci", sono ben strutturati, accattivanti (citiamo "Turn
Aro und" ad esempio, ma anche "Attila" o "La Talpa"), presentano temi molto jazzistici
e rivelano che questo bravo sassofonista ha ascoltato e metabolizzato molta musica
prima di esprimersi in un suo personale ed efficace linguaggio. Il suo fraseggio
è swingante ma senza orpelli nonostante suoni di continuo senza mai mollare. Mannutza,
Muresu ed Angelucci hanno mostrato un notevole affiatamento nei momenti in Trio
e regalando soli di alto livello. Un bel Jazz, fatto da giovani, mica cosa da poco.
Giovedì 14 luglio
Al Teatro Pavone c'è
Rosario Giuliani,
ospite Fabrizio
Bosso, che presenta il cd &qu ot;ies", e a mezzanotte il quintetto
di Fabrizio
Bosso. All'Arena, serata brasiliana con Gilberto Gil e Sergio
Mendez.
Rosario Giuliani,
Roberto Tarenzi
al pianoforte, Joe La Barbera alla batteria, Darryl Hall al contrabbasso
e Fabrizio Bosso
come ospite d' eccezione alla tromba: uno dei concerti più intensi di questa edizione
di Umbria Jazz, per chi scrive, un po' perché in "Lennie's Pennies", il cd presentato
in questa occasione, i brani scelti sono veramente belli. Ma soprattutto perchè
questo quintetto ha suonato coniugando perfezione stilistica e slancio emotivo.
In questo senso si sono toccati momenti liricamente commoventi nelle ballad, come
la splendida "Love Letters" in cui il virtuosismo di Giuliani nella cura delle dinamiche
ha fatto elevare i fraseggi al massimo grado di espressività possibile. Giuliani
e Bosso poi, nei momenti obbligati all' unisono, sono talmente accurati e precisi
che si ascolta un unico suono di uno strumento nuovo a metà tra sax e tromba. Il
che fa pensare che anche nel Jazz, sono i particolari che fanno andare la musica
ad altissimi livelli. Improvvisare non significa improvvisarsi musicisti, insomma,
e questo lo hanno dimostrato anche Joe La Barbera, che ha dato un apporto
costante, creativo, eppure così elegantemente sensibile nel corso di tutto il concerto,
Roberto Tarenzi,
che ha stupito con i suoi soli intensi ma anche con la solidissima preparazione
tecnica che occorre per affrontare brani molto complessi, e Darryl Hall,
contrabbassista di primissima classe, prezioso nell' intessere basi che sono tutt'
altro solo ritmiche, perche' in possesso di una preziosa vena melodica che è stata
fondamentale non solo per completare, ma per arricchire un concerto veramente molto
bello, in cui oltretutto ci sono stati anche momenti virtuosistici tra Bosso e Giuliani
che non parlavano certo di sterile gareggiare, ma di gioia nel padroneggiare ognuno
il proprio strumento.
Arena Santa Giuliana, ore 21, serata brasiliana. Gilberto Gil Gilberto Gil ha presentato un concerto veramente coinvolgente: ha fatto ballare
il pubblico con ritmi irresistibili e una forza comunicativa sempre in aumento.
Bello il contrasto tra chitarra e basso elettrici con i suoni acustici e tradizionali
del violino, della fisarmonica, dei tamburi e delle percussioni. La voce di Gil
è sempre multiforme, ogni parola è ritmo e accento e ogni accento è musicale, anzi
ogni consonante è ritmo e musicalità, dunque il risultato, nell' incontro tra voce
e strumenti è musicalità e ritmo all' ennesima potenza. I brani, tanti, si sa che
Gil è tutt' altro che risicato nei suoi concerti, sono stati scelti all' insegna
della più grande varietà: "Woman no cry" di Bob Marley ha fatto cantare tutta l'
Arena, in inglese e brasiliano. Spettacolo garantito, momenti di suggestivi silenzi
hanno interrotto l' andamento ritmico per poi riprenderlo efficacemente (sa usare
bene gli effetti Gilberto Gil!), incitamenti a battere le mani, entusiasmo,
è stato un concerto intenso e divertente anche per chi non ama il genere. Bravissimo
è apparso il violinista Nicholas Krassik, per sensibilità e cura dei particolari,
e notevole la sua intesa con la fisarmonica di Toninho Ferragutti.
Sergio Mendez Cambio palco e un altro mito della musica Brasiliana appare seduto dietro la
tastiera, Sergio Mendes. Non abbiamo potuto assistire fino in fondo, per
il sovrapporsi del concerto di mezzanotte ma abbastanza per ascoltare alcuni brani
cult come "Aguas de marco", cantata dalle sue coriste, in una versione più esplicita
e meno intimista di quella di Jobim, ma molto divertente (Mendes ha la capacità
anche ora in età avanzata di rendere "proprio" qualsiasi brano decida di interpretare
e/o arrangiare!), "The girl from Ipanema", e ha mostrato anche di avere gli occhi
aperti sul presente, tanto che in scena è entrato anche un bravo rapper (H2O), che
ha reso il ritmo "Carioca" più statunitense che mai. Spettacolo vero e proprio,
completo di vestiti in lamé delle coriste, il che in questo clima festoso, bisogna
dire, non guasta per niente.
Teatro Pavone, 'round Midnight: Fabrizio BossoQuartet con Roberto Cecchetto
Uno dei concerti giustamente più applauditi di Umbria Jazz, nonostante l'ora tarda,
e non solo perche' Fabrizio Bosso ed il suo quartetto sono amatissimi dal pubblico
a prescindere, ma perche' hanno fatto un jazz coinvolgente, impeccabile, divertente
ed intenso, scegliendo un repertorio vario dal punto di vista formale e mostrando
ancora una volta di saper suonare benissimo, con feeling, senza spacconerie ma osando,
anche, e giustamente, forti di una padronanza tecnica veramente notevole. Tecnica
asservita alla musica e non il contrario, il che ha fatto si che nonostante l' ora
tarda il pubblico numerosissimo del Teatro Pavone si sia entusiasmato ad ascoltare
le prodezze non solo di Bosso ma anche dei bravissimi
Lorenzo Tucci,
Luca Mannutza,
Luca Bulgarelli e Roberto Cecchetto. Espressivo, creativo, fantasioso,
Bosso ha anche assecondato il suo pubblico non facendogli mancare i suoi giochi
di bravura (come note lunghissime a fiato continuo, o effetti sonori particolari),
ma sempre inserendosi con buon gusto nel clima del pezzo. Tra momenti velocissimi
ed adrenalinici fino a dolcissime ballad ha stupito sempre il bilanciamento perfetto
tra i musicisti. Lorenzo Tucci in particolare ha il potere di trasformare in Jazz
ogni attimo di musica, per la capacità di mettere a disposizione una grandissima
varietà di spunti (dinamici, tematici, ritmici – persino melodici, per quanto la
sua batteria canti, oltre che produrre battiti) ma con una musicalità estrema, che
gli permette, di essere fondamentale ma mai prevaricante: il fine è la musica e
non mostrare vanitosamente i muscoli. Bella la cura dei particolari (attacchi perfetti,
momenti di precisione omoritmica fra tromba e batteria, ad esempio), da parte di
tutti. Mannutza ha regalato soli intensi connotati da grande creatività, preziosa
per la pienezza armonico – melodica dei suoi giochi sul pianoforte, swingante ma
anche dolcemente introspettivo nei brani lenti; Bulgarelli ha un suo stile preciso,
un bel suono che emerge sempre riuscendo a conciliare una vena fortemente melodica
con fantasia e precisione ritmiche notevoli. Cecchetto è per fraseggi, capacità
d'improvvisazione, cura delle dinamiche uno dei migliori chitarristi in circolazione.
Swing, mix fra tradizione e novità, bravura tecnica: ecco come un concerto diventa
trascinante, ecco il Jazz!
Venerdì 15 Luglio
Un venerdì di jazz (Dado
Moroni,
Roberto
Gatto New Octet) ma anche di pop – rock, dato l' evento previsto in
Arena, il concerto di Prince, personaggio quasi leggendario, che con il Jazz ha
un solo legame: la passione di Miles Davis per la sua musica.
Teatro Pavone, ore 16.30 Dado MoroniTrio, special guest Alvin Queen
Dado Moroni
ha un'eleganza, un amore per il pianoforte e per il Jazz, una padronanza non solo
tecnica ma anche dal punto di vista "culturale" di tutta la musica ascoltata, nonché
un'esperienza – per aver suonato tanto anche con grandi del jazz -, che ogni suo
concerto non è solo coinvolgente, bello, nel senso ampio della parola, ma finisce
anche per avere qualcosa di magico. Chi ha la fortuna di ascoltarlo compie un viaggio
affascinante nel Jazz, in quel Jazz squisitamente pianistico che è quello che in
fondo chi si è innamorato di questo tipo di musica, ama di più. I brani, quasi tutti
a firma Moroni, sono belli: non c'e' un altro modo di definirli, belli è l' aggettivo
giusto. "Domori Blue", "Ballad pour Gianni" "Quit Yesterday", persino il sicilianissimo
"Vitti na crozza" sono puro Jazz, emozionanti, ricchi. E' il tocco di Moroni sulla
tastiera, il fraseggio cristallino, la capacità di rendere nuovi, pieni di vita
ed emotivamente d'impatto i temi del jazz più classico, sia nello swing sia nelle
ballad che fanno la differenza, e sono alla base del meritatissimo successo di Moroni.
Per di più Moroni si racconta con garbo, spiega la sua musica, sorride, ed è bello
trovare ogni tanto quella signorilità e quel riguardo verso il pubblico che rendono
lo spazio scenico del palco un luogo "magico" in cui sta accadendo qualcosa di importante:
cosa non scontata, data l' atmosfera a volte esageratamente rilassata, non si esagera
a definirla "svaccata" che alcuni musicisti instaurano sul palco.
Alla batteria con Moroni alla batteria ha suonato Alvin Queen (già batterista
di Oscar Peterson) che ha incantato con i suoi raffinatissimi giochi sul
charleston e che con Moroni ha un feeling pazzesco, data la lunga collaborazione
che li ha resi, come hanno affettuosamente ammesso, fratelli, non solo musicalmente.
Al contrabbasso lo strepitoso
Marco Panascia,
italiano, siciliano per la precisione, oramai stabile a New York: negli Usa ha collaborato
e collabora con grandi nomi del jazz internazionale (Herbie
Hancock, Joe Lovano,
Kenny Barron,
solo per citarne alcuni), e basta ascoltarlo suonare una volta per capire perche'
sia così amato da molti musicisti. Ha un suono poderoso, un incedere swingante dal
potere irresistibilmente propulsivo, nell' improvvisare crea veri e propri temi
melodici nel tema che potrebbero diventare a loro volta brani da suonare in successione,
cura le dinamiche con una raffinatezza che rimane impressa, ascolta con appassionata
attenzione ciò che accade accanto a lui e se ne nutre per creare a sua volta spunti
preziosi.
Un trio impeccabile, un' ora e mezzo di musica intensissima, emozionante, il Jazz
che si spera di ascoltare quando si va ad ascoltare il Jazz!
Arena Santa Giuliana, ore 21 Prince
Il concerto di Prince è paradossalmente l' evento quasi più atteso del Festival.
Inutile farsi le solite domande, come quelle relative alla compatibilità di un concerto
pop – rock con un festival del Jazz: le risposte si sanno, le voci sul cachet stellare
pagato circolano insistentemente, rimaniamo vaghi ed andiamo a vedere un artista
il cui unico legame con il jazz è quello della passione che suscitò in Miles
Davis. Concerto pop rock si diceva, spettacolare: spettacolo allo stato puro,
effetti speciali, una rockstar mitica che dà i brividi non appena appare sul palco,
per chi è cresciuto ascoltando e cantando i suoi successi. Musicisti di livello,
costumi fantasmagorici, trucco pesantissimo e tacchi vertiginosi, coriste con voci
di grande rilievo, volume altissimo come in ogni concerto pop – rock che si rispetti,
e i brani cult eseguiti alla fine, tra cui naturalmente anche un bellissimo (ed
emozionante) "Purple Rain" con tanto di pioggia di coriandoli viola e platea luccicante
di telefonini accesi.
Al Teatro Pavone tocca a
Roberto
Gatto con il suo ottetto, la "Lysergic Band", che presentano il nuovo
cd "Pure Imagination".
‘Round Midnight, Teatro Pavone Roberto
Gatto New Octet "Lysergic Band"
Batteria al centro del palco,
Roberto
Gatto si presenta ad Umbria Jazz come leader di una formazione di musicisti
da giovanissimi (come il diciannovenne talentuoso pianista Alessandro Lanzoni)
a nomi di comprovata esperienza, quali Giovanni Falzone e Luca Bulgarelli,
Max Ionata,
Gaetano Partipilo,
Roberto Rossi e Battista Lena, tutti solisti pregevoli che hanno regalato
a turno belle improvvisazioni su temi originali molto variegati. Fiati ben sincronizzati
nei volumi, alternanza di episodi ritmico – armonici destrutturati e momenti di
grande volume sonoro in ottetto, momenti di jazz mainstream e momenti più sperimentali
e free, non escluso un episodio di improvvisazione simultanea di tutti i fiati,
concerto inusuale, a tratti aspro a tratti amichevolmente orecchiabile, con un filo
conduttore, l' entusiasmo e lo swing di
Roberto
Gatto.
Sabato 16 Luglio
Dalla Opera in Jazz di Rea – Boltro, al rythm & Blues di oggi (Trombone
Shorty) e di ieri (B.B. King), al jazz del sax di
Francesco
Cafiso con la tromba di
Dino Rubino.
Anche questo sabato è una giornata all' insegna della varietà musicale e delle corse
tra Teatro ed Arena!
Bello, morbido, romantico, questo concerto in duo il cui il jazz si appropria delle
più belle romanze d' opera, ma anche viceversa, un' osmosi suggestiva, in cui nessuno
dei due mondi perde qualcosa di sé ma anzi si arricchisce di fascino. Questo sicuramente
per il garbo, il gusto e l' affettuoso rispetto con cui questi due musicisti si
sono avvicinati alla tradizione operistica italiana. I temi melodici sono stati
presentati alternativamente dal pianoforte o dalla tromba e sviluppati senza mai
snaturarne l' implicito lirismo: niente stravolgimenti, dunque un concerto in cui
Rea e Boltro hanno sempre "tenuto per mano" il pubblico senza mai fargli perdere
l' orientamento melodico armonico. Ed è giusto che sia stato così perche' le arie
affrontate erano celeberrime (tratte dal Barbiere di Siviglia, dalla Tosca, o anche
attingendo da Claudio Monteverdi) e dunque il perderle di vista poteva risultare
inutilmente "spaccone". Ogni aspetto fondamentale melodico, o ritmico è diventato
punto di partenza per una rilettura nuova ma rispettosa del clima originario. Proprio
facendo questo si è evidenziato l' inaspettato legame tra i due generi così diversi
apparentemente tra loro, che in fondo anche il jazz sa essere drammatico e teatrale:
e, infatti,
Danilo
Rea ha indugiato nei momenti più intensi percorrendo spesso la via dell'andamento
percussivo per accordi, oppure ripercorrendo sonorità classiche; così come
Flavio Boltro
ha saputo imprimere alla sua tromba un timbro a volte nostalgico, a volte disperato,
a volte dolce, a volte languido. Concerto poetico, molto applaudito.
Arena Santa Giuliana, ore 21 Trombone Shorty & Orleans Avenue
Trombone Shorty, è virtuoso del trombone, giovane, atletico, energico, e fa un rythm
& blues che sfocia però nel pop, nel rock, nel rap. E' musica ad effetto (riff reiterati
allo spasimo, volumi altissimi, ritmo forsennato), una "black soul music" ben fatta
e molto trascinante che ha come fine lo spettacolo in senso stretto, compresa l'infinita
nota tenuta per interminabili minuti su una versione a dir poco super vitaminica
di "On the sunny side of the street", al termine della quale la finta
caduta per terra con simulazione di quasi svenimento, ha comprensibilmente mandato
in delirio il pubblico e strappato applausi a non finire. Citazioni di generi, artisti
come James
Brown, di blues e jazz tradizionali con puntata alla disco music, un
concerto estremamente energico, ballereccio, in cui Trombone Shorty ha dimostrato
che il trombone lo sa suonare benissimo (ed anche la tromba) pur essendo un fenomeno
di virtuosismo più che un interprete. Strabiliante!
B.B. King
Il clima cambia quando B.B.King, dopo un' introduzione dei suoni musicisti, arriva
a sedersi sul palco. E' vecchio B.B. King, ma il suo carisma è intatto. E' gigione,
prende tempo, canta e suona il minimo indispensabile, parla molto, lancia monetine,
ma quando canta, e fa vibrare le corde della chitarra ad emozionare non è certo
la sua età avanzata, ma sono la sua voce ed il suo piglio da leone. L' attacco di
"The thrill is gone" è … da brivido, e il pubblico si rende conto che ha davanti
B.B. King, lui, non un pallido ricordo di B.B. King. Chi vi scrive ha fatto tesoro
di questi momenti e non ha quantificato quanto siano durati, e a giudicare dall'
entusiasmo del pubblico, tutti i presenti si sono beati di quella voce da leone,
quella di sempre. Il Blues!
‘Round Midnight, Teatro Pavone Francesco
Cafiso Island Blue Quartet
La giornata termina con il concerto di
Francesco
Cafiso al sassofono contralto,
Giovanni
Mazzarino al pianoforte,
Dino Rubino
alla tromba, Rosario Bonaccorso al contrabbasso, che hanno suonato in maniera
impeccabile un Jazz fascinosamente swingante, fatto di momenti obbligati, in cui
Rubino e Cafiso procedono all' unisono per poi volare in improvvisazioni di notevole
spessore, mostrando entrambi tecnica e capacità creativa. Senza il supporto della
batteria il clima, nonostante la maggior parte dei brani sia dinamicamente veloce,
il clima è intimo. A mantenerne armonicamente il senso ci sono i preziosi Mazzarino
e Bonaccorso, che danno un senso tonale alle divagazioni spesso anche difficili
di questi due giovanissimi musicisti, molto diversi tra loro e proprio per questo
complementari. Il Bis vede entrare in azione Boltro che, quasi come in una Jam Session,
si diverte come un pazzo con il flicorno di Rubino, e tutto il quintetto entusiasma
ulteriormente il pubblico del Teatro Pavone.
Domenica 17 Luglio
Termina oggi Umbria Jazz ed anche la rassegna del Jazz italiano, con il concerto
di Antonello
Salis, Gavino Murgia, Paolo Angeli ed
Hamid Drake
ed il loro Giornale di Bordo. Dopo ci trasferiamo all'Arena Santa Giuliana per la
maratona cubana prevista dalle 18 a notte inoltrata, finale ad effetto per una Perugia
strapiena di appassionati pronti a ballare già dal pomeriggio.
Finisce in bellezza la rassegna del Jazz Italiano al Teatro Pavone, con il concerto
visionario, difficile eppure coinvolgente di un quartetto di musicisti che immaginano
un vero e proprio viaggio con approdi nella musica: ne' jazz, ne' non jazz, musica,
musica in divenire, non ha senso stabilire quali parti siano scritte, quali improvvisate.
Bisogna solo farsi trasportare dal genio di
Antonello
Salis e dalle meraviglie di Gavino Murgia,
Hamid Drake,
e Paolo Angeli. Persino i suoni elettronici risultano naturali, viene da
immaginare che i momenti di quasi silenzio siano gli approdi e che la valanga di
sollecitazioni sonore di pianoforte, fisarmonica, sassofoni, chitarra preparata
siano i tratti in mare aperto, dove l' improvvisazione equivale agli imprevisti
di un viaggio sonoro avventuroso e per questo affascinante. Quando dopo un momento
di quasi silenzio si riparte, uno dei quattro pone le basi, quasi le fondamenta
ritmiche, o melodiche, o armoniche di un nuovo brano, che prende rapidamente piede
in uno dei mille modi possibili: ipnotico, trascinante, entusiasmante, sconcertante
anche, questo equipaggio preparatissimo ma folle di musicisti costringe chi lo ascolta
a perdere di vista i propri rassicuranti parametri musicali, a non fare paragoni
e semplicemente a viaggiare senza riferimenti, fidandosi completamente. E' sinceramente
un'esperienza talmente coinvolgente che a concerto finito ci vuole qualche minuto
per rientrare in sintonia con il normale mondo circostante. Inutile cercare di ricostruire
ipotetiche contaminazioni o sorgenti sonore da cui tutto questo ha origine: si perderebbe
il senso di questa musica. Certamente si riconosce la musica tradizionale sarda
(nella corsicana, nel canto a boche di Murgia, nella fisarmonica di Salis, nella
meravigliosa voce di Angeli), sicuramente c'e' il jazz in senso puro, è evidente
un certo aspetto quasi "tribale" garantito in alcuni momenti da Drake, ma incasellare
tutto in maniera precisa avrebbe senso? No perche' "Giornale di Bordo" ha un suo
senso solo se ascoltato in maniera istintiva e nella sua completezza. E non renderebbe
l' idea di un' ora e mezzo di grande musica.
Arena Santa Giuliana, ore 18.30 "The Great latin jazz venino"
Umbria Jazz 2011 si conclude già dalle 18:30
del pomeriggio fino a tarda notte con una lunga kermesse di musica cubana. Protagonisti
assoluti Eddie Palmieri, Horacio "El Negro" Hernandez,
Giovanni Hidalgo,
Michael Camilo, Chucho Valdes. Tutti grandissimi musicisti, virtuosi
ognuno del proprio strumento, tutti animati dalla volontà di divertire e stupire
il pubblico, eppure così diversi tra loro, di sicuro strabiliano con le loro doti
funamboliche, i loro ritmi pazzeschi. Per divertire hanno un segreto fondamentale:
loro stessi si divertono enormemente. Se Michael Camilo decide di dare voce quasi
soltanto all' aspetto atletico del suo pianismo, fenomenale, tutto ritmico e acrobatico,
Palmieri è più lirico e languido; Chucho Valdes in mezzo a tanta "Cuba" fa trapelare
tutto il jazz che ha amato; Giovanni
Hidalgo fa tremare il palco tanto è energico e creativo alle sue percussioni,
così come Horacio "El Negro" Hernandez strabilia con la sua batteria a 350 all'
ora. Il duo Chucho Valdes e Camilo, che introduce un brano inizialmente di stampo
quasi "gospel" poi si libra nell' aria con valanghe di note e un gareggiare in un
blues così sanguigno da far ballare tutta l' Arena. Un finale festoso che sfocia
nella parte più autenticamente afrocubana, in cui emerge tutto il lato nero tradizionale
e meno europeo, con la cantante Mayra Caridad Valdes che ripristina insieme
alle percussioni quella Cuba da cui tutto poi e' nato e si e' sviluppato in prodotti
bellissimi ma certamente più commerciali. Un salto alle origini inaspettato e affascinante,
un ritorno all' Africa, da cui poi in fondo e' nato anche il Jazz.