Intervista a Chihiro Yamanaka Avellino, 12 febbraio 2011 di Nico Conversano foto di Francesco Truono
La pianista giapponese Chihiro Yamanaka ha da tempo fatto del piano trio il suo
veicolo espressivo d'elezione. Formatasi musicalmente tra Royal Academy of Music
di Londra e Berklee College of Music di Boston, è stata vincitrice di numerosi riconoscimenti
in Giappone, Europa e America, dove da tempo risiede. Ha al suo attivo diverse incisioni
premiate da importanti successi di critica e pubblico e si è distinta per le sue
performance live ricche di energia e swing impeccabile. L'abbiamo incontrata di
passaggio in Italia durante il suo "Forever Begins European Tour
2011".
Quando e come hai scoperto il jazz?
E' successo da bambina. Avrò avuto dieci anni. Mio padre è sempre stato un grande
appassionato di musica, soprattutto musica classica. Una volta tornando dal concerto
del clarinettista Eiji Kitamura, una sorta di
Benny Goodman giapponese molto famoso nel nostro paese, portò con
sé un disco in vinile. La prima cosa che mi colpì fu la grafica di copertina, molto
diversa da quella solitamente utilizzata dai dischi di classica, generalmente più
seriosa. Poi ne ascoltai la musica e ne restai sconvolta. Non riuscivo a capire
quello che succedeva a livello melodico e armonico, ma lo trovai molto interessante.
E' così che è iniziato il mio interesse per il jazz.
Quali sono stati i musicisti che ti hanno fatto decidere di diventare una pianista
di jazz?
E' successo vedendo suonare la pianista americana Geri Allen. Ero un'adolescente
e vivevo ancora in Giappone. Una volta, guardando la tv, mi imbattei nelle riprese
di un suo concerto tenutosi durante un festival jazz giapponese. Fu stupendo scoprire
come anche una donna potesse suonare jazz in maniera così forte e carismatica. Avevo
suonato esclusivamente musica classica da quando ero bambina e sino a quel momento
mai avevo considerato la possibilità di una carriera da pianista di jazz. Quello
che Geri Allen stava suonando fu così nuovo per me. Il suo modo di suonare
era molto aperto e pronto ad accogliere diversi stili musicali. Questo è l'aspetto
che amo maggiormente del jazz.
Gli standards di jazz non mancano mai nei tuoi album, sempre eseguiti in modo
interessante ed imprevedibile. Qual è per te quella qualità che rende gli standards
così eterni?
Considero quella degli standards una forte affermazione. Una dichiarazione incisiva
dal punto di vista musicale. Le melodie e le armonie degli standards sono punti
di riferimento da cui non si può prescindere. Soprattutto le melodie; sono quelle
ad avere quella qualità intramontabile. Ciascun musicista può farne l'arrangiamento
che vuole, ma quella melodia è un concetto così forte che non perderà mai il suo
valore e le sue caratteristiche originarie. E' per questo che potranno essere suonate
per molto altro tempo ancora.
La maggior parte della tua discografia è eseguita in piano trio. Qual è per te
l'aspetto più congeniale nel suonare con questo tipo di ensemble?
Solitamente mi esprimo anche in altri contesti musicali. Dal piano solo, di cui
però non ho ancora un testimonianza discografica, all'accompagnamento di cantanti,
fino alle esibizioni con formazioni più estese come le orchestre. Ma considero quella
del piano trio un tipo di unità molto compatta. Uno dei miei punti di riferimento
in questo è stata sicuramente la lezione del trio di
Bill Evans,
nel quale ciascuno strumento aveva lo stesso valore al suo interno. E' interessante
il tipo di dialogo che si può instaurare in trio. Vedi, quando si è in due a dialogare
si è uno a confronto con l'altro, mentre in tre c'è quell'elemento in più che rende
lo scambio più stimolante. Allo stesso modo come in quattro ce ne sarebbe uno di
troppo che porterebbe a far sì che qualcuno guidi e altri seguano. Il tre è un numero
magico in cui regna un equilibrio perfetto tra le parti che lo compongono.
In questi anni ti sei esibita con alcune delle migliori sezioni ritmiche sulla
scena. Nel tuo ultimo album "Forever Begins" sei accompagnata da Kendrick Scott
alla batteria e Ben Williams al basso. Quali sono le qualità che cerchi nei
musicisti che suonano con te?
Nel mio caso non ho dovuto cercare in quanto conosco Kendrick da quando eravamo
studenti alla Berklee. Tutti vorrebbero dei buoni musicisti da cui essere accompagnati
e se a questo si aggiunge la possibilità di avere contemporaneamente amici al tuo
fianco, ancora meglio! Incido al ritmo di un disco l'anno e quando sei in sala d'incisione
e porti con te nuova musica o nuovi arrangiamenti da eseguire è importante avere
con sé una buona sezione ritmica, un gruppo con il quale stabilire quella giusta
sintonia e tensione che ti permette di esprimerti al meglio. Ho bisogno che i musicisti
che mi accompagnano abbiano quella giusta dose di carattere.
Senti delle differenze di approccio o di feeling quando ti ritrovi a suonare
con una sezione ritmica che possa essere di volta in volta americana, giapponese
o europea?
Non in particolar modo. Direi però che il linguaggio è diverso. La musica è strettamente
collegata alla lingua parlata ed è interessante notare come questo influisca sullo
scambio musicale. Ogni musicista ha la tendenza a relazionarsi "musicalmente" con
il proprio idioma di appartenenza ed è possibile ascoltarlo, anche se nella nostra
musica non facciamo uso di parole. Il colore e gli accenti che certe lingue conferiscono
alla musica rendono più stimolante suonare con musicisti appartenenti a diverse
nazionalità.
Tra le tue molteplici attività c'è anche quella di membro della
Diva Jazz Orchestra,
un ensemble composto esclusivamente da donne. Cosa puoi raccontarci di questa esperienza?
Sono stimolata dal loro modo di suonare e da come trattano la musica, non dal fatto
che siano donne o meno. Le vedo semplicemente per quello che sono: delle straordinarie
musiciste. Sono stata molto influenzata dalla musica per big band. E' stato questo
che mi ha spinto a scrivere composizioni. In fondo il piano trio non è altro che
la forma più piccola di big band. Con questa orchestra suoniamo prevalentemente
standards, eseguiti con arrangiamenti sempre diversi. Ho realizzato tre incisioni
con questa orchestra.
Cos'è per te l'improvvisazione e a cosa pensi quando improvvisi?
Non è qualcosa che riesco a controllare, o almeno non troppo. Se dovessi farlo la
mia performance ne risulterebbe inevitabilmente compromessa. Solitamente aspetto
di vedere quello che succederà. Nella musica classica puoi prevederlo perchè hai
uno spartito davanti che già conosci. Nel jazz è difficile dirlo. Tutto avviene
in maniera imprevedibile.
Quanto il tuo essere giapponese è presente in un tipo di musica come il jazz
così profondamente radicata nella cultura americana?
Non ho mai prestato attenzione a questo aspetto. Sicuramente ci sono delle influenze
in me ma non ho mai avuto coscienza del fatto che potessero essere legate o meno
al mio paese. A mio avviso, i giapponesi percepiscono questo concetto in maniera
diversa, a differenza degli italiani in cui è maggiormente radicato il senso d'appartenenza
alla propria cultura. E' una conseguenza del lungo periodo d'isolamento che il nostro
paese ha vissuto durante il periodo Edo (1603-1868), alla fine del quale il Giappone
ha iniziato ad aprirsi al mondo, confrontandosi con esso. E' per questo motivo che
noi giapponesi ci relazioniamo così bene con la cultura Occidentale.
Oggi il Giappone è uno dei mercati più grandi al mondo per quanto riguarda il
jazz. Qual è secondo te la ragione per cui i giapponesi amano così tanto il jazz?
La vera ragione credo sia che, il jazz in particolare, ma le arti più in generale
sono aspetti molto amati da noi giapponesi.
Come mai hai scelto il titolo "Forever Begins" per il tuo nuovo album?
Era la frase scritta fuori dalla sala di registrazione in cui questo disco è stato
inciso. E' da lì che viene.
Alcune buone ragioni per tornare a suonare in Italia?
Sicuramente oggi l'Italia è il paese del jazz. Basta guardare la scena newyorchese,
quella che vivo maggiormente, in cui è molto forte la presenza di musicisti italiani.
Come noi, anche voi amate molto il jazz e credo che sia qui che questa musica stia
crescendo oggi, forse non più a New York. Un sacco di musicisti interessanti vengono
dal vostro paese e sono molto popolari all'estero.
Inserito il 29/10/2011 alle 21.22.33 da "gbonesc" Commento: Personaggio incredibile, nato per produrre musica. Bisogna capirlo,non è per tutti ed è meglio così, tacere ed ascoltare. Come armonizza! Come fraseggia! Che posizione della mano! Che idee ritmiche! Che evoluzione! E'il jazzismo che evolve! E'la donna che si afferma! E' tutto. Grazie Chihiro per avermi sconvolto. Grazie. Giampiero Boneschi.
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Data pubblicazione: 19/03/2011