Intervista a Rosario Giuliani
di Daniele Mastrangelo
foto di Alice Valente Visco
L'intervista costituisce la versione completa e assai più estesa
di quella che accompagnava la recensione del disco "Anything
Else" comparsa su Musica Jazz del Marzo 2007.
"Non
riesco a vivere la musica jazz se non come una passione e vorrei che questo la gente
sentisse. Del resto io ci sono arrivato successivamente: qualche giorno fa ho fatto
quarant'anni ma anche dieci anni di jazz. Infatti faccio il jazzista a tempo pieno
da quando avevo trent'anni. Prima non vivevo di jazz e lavoravo nella musica commerciale.
Per arrivarci è stato un processo lungo ed anche sofferto."
Rosario
Giuliani vive la sua professione di jazzista con un grande senso di
rispetto e responsabilità verso la musica e verso i propri sentimenti. Si è offerto
a questa intervista con disponibilità stimandola un'occasione di crescita.
"Oggi ci si pone verso la musica non come musicisti, ma come strumentisti.
Per me la musica è un'espressione necessaria ed insostituibile, è dire qualcosa
che non può passare attraverso le parole, qualcosa che viene dallo stomaco. Così
a Massimo
Urbani talvolta capitava di andare fuori dalla struttura del brano ma
quello che arrivava era sempre qualcosa di molto forte ed emozionante. Era una persona
che veramente suonava quello che aveva dentro e riuscire a farlo è qualcosa di molto
difficile.
Jarrett nel suo libro "Il mio desiderio
feroce" dice che quando si suona, la prima immagine che viene alla mente
non è reale e non è ciò che dovresti suonare. Bisogna avere la forza di saper aspettare.
Magari è la seconda immagine quella che ti trasmette la cosa migliore, o la terza
o la quarta. In realtà non lo sai mai, ciò che conta è che bisogna avere il coraggio
o la forza di saper aspettare. Il modo di saper aspettare è riuscire a far si che
la pause siano parte integrante della musica e quindi in quel momento riesci a fare
a meno dei virtuosismi e della tecnica. Per me è assai importante riuscire a creare
un suono e quando si tratta di chiamare i musicisti lo faccio rispetto al suono
che sento dentro di me e che vorrei realizzare. Sono quindi assolutamente d'accordo
con te quando dici che ci sono tanti musicisti bravi ma troppo poche sono le personalità
con una voce propria. Succede come se mentre si guarda una fotografia si fa caso
soltanto all'immagine sensibile, senza riuscire a pensare quello che poteva essere
prima o dopo o durante. Invece per me anche la foto ha un suono. Ti dico questo
pensando al libro "Natura morta con custodia di sax"
dove si fa riferimento alla musica attraverso la fotografia. Questo è proprio quello
che sto cercando di fare come musicista in questo momento della mia vita, quando
scrivo un pezzo o cerco di familiarizzare con esso per l'improvvisazione: non voglio
far suonare le dita, ma far si che le dita suonino quello che io voglio."
Nel tuo ultimo disco questa attenzione al suono si percepisce
nella misura in cui tutto il gruppo è partecipe del progetto, qual è allora il "di
più" che hai ricevuto da ciascun musicista del quintetto?
Parto da Flavio (ndr. Boltro) che per me è come un fratello. Parto
da Flavio anche perché nell'ultimo periodo abbiamo suonato molto insieme, anche
in situazioni che non sono molto vicine alla musica che pratichiamo giornalmente.
Penso ad esempio ad un concerto dedicato alla musica di
Ornette
Coleman, una musica in fondo lontano dal mio modo di suonare. Fra noi
c'è un rapporto di affinità musicale, quando ascoltavamo insieme i suoni che avevamo
registrato ci sembrava di ascoltare un unico suono, magari in alcuni momenti anche
non perfettamente intonati, ma comunque un unico suono, un unico modo di vedere
la musica e di andare nella stessa direzione. Magari uno cammina più veloce e l'altro
è più lento, ma siamo certi che quando arriveremo a destinazione, sarà la stessa.
Con Flavio avevo la certezza che questo sarebbe accaduto. Per quanto riguarda
Vignolo e Henocq avevo già fatto con loro
More then ever,
il disco precedente a questo e avevo avuto l'opportunità di suonare con loro in
tour. La sorpresa maggiore invece è arrivata proprio da Dado (ndr. Moroni).
Conoscevo la sua grandezza, la sua fantasia armonica, la sua tecnica, lo swing
incredibile, ma quello che lui ha fatto sul mio disco è stata la differenza. Ha
dato veramente un suono al disco e, mi permetto di dire, un suono realmente jazz
attraverso i soli, attraverso il modo di accompagnare i solisti e, soprattutto,
nel modo di affrontare le composizioni. E' stata una sorpresa perché con Dado in
realtà avevamo suonato solo un' altra volta insieme. Noi ci siamo trovati in studio
– non è che avevo sondato il gruppo prima. E' il secondo disco che faccio
non suonando prima con i musicisti con i quali incido. Ci sono i pro e i contro:
può accadere che ne va un po' a discapito del suono, infatti alla fine di un tour
si riesce certo a suonare in una maniera più compatta. Se ne guadagna però in freschezza.
I musicisti che arrivano in studio non sanno nulla precedentemente di quel brano
che dovranno suonare. I dischi che nascono dopo un tour hanno invece dalla loro
parte che si può arrivare a sapere quanto effetto hanno sul pubblico certe soluzioni
musicali.
Come riesci a capire il senso della reazione del pubblico?
Dipende
che tipo di reazione si vuole dal pubblico. Un pubblico silenzioso, che non si muove
dalla sedia e magari poi esplode alla fine del concerto, non vuol dire che non sia
un pubblico attento. Ci sono musicisti che si aspettano una standing ovation
alla fine del loro assolo, ma magari alla fine del concerto quel pubblico non
ha percepito nulla, o meglio, ha percepito soltanto il numero del musicista come
in un circo. Lavorare subito per il disco è allora qualcosa di più sporco e insieme
di più magico. Io combatto sempre la tendenza possibile a far si che ogni brano
resti uguale per tutte le sere, magari soltanto perché il pubblico la sera prima
ha apprezzato un certo modo di suonarlo. Io scrivo una composizione ma è soltanto
un punto di partenza, si sa da dove si parte ma non si sa dove si arriverà.
Credo che
Dado Moroni abbia
una grande capacità di mettersi alla cabina di regia, di stimolare l'improvvisazione
del solista "dietro le quinte". Non è mai invadente ed ha una forte attenzione a
far si che ogni accordo, ogni linea sia particolarmente dosata.
Dal mio punto di vista Dado è un pianista della cui presenza non puoi
non renderti conto, sia quando accompagna che in solo. La differenza che c'è fra
un bravo pianista e Dado è che quest'ultimo anche quando ritmicamente muove
gli accordi è "dentro" il brano. Accompagnare un brano non è soltanto l'accordo
giusto, il voicing giusto, è fondamentale anche il ritmo e come ti muovi
ritmicamente a seconda delle situazioni. Devi pensare che è come se tu avessi alle
spalle una big band che ti fa il background . Il pianoforte sono dieci
dita che ti accompagnano, come fossero dieci strumenti. Soltanto con tre altri pianisti
io posso dire di aver avuto questa sensazione:
Enrico
Pieranunzi,
Martial Solal
– col quale ho avuto la fortuna di poter suonare in duo - e Jean Michel Pilc
che suonava sul mio album precedente. Loro sembrano, ciascuno alla sua maniera,
delle vere orchestre.
Puoi dirmi qualcosa di più su
Martial Solal e su
questa esperienza che hai avuto con lui?
L'esperienza con
Solal
è stata una delle più belle della mia vita. E' capitato un po' per caso. Quelli
dell'Ambra Jovinelli, due anni fa, mi hanno chiesto se volevo suonare all'interno
del loro festival ed io ho chiesto allora di poter suonare con
Martial Solal
che era già nel programma. Gli abbiamo scritto una mail. Lui prima di accettare
ha avuto un dubbio. Pensava di avermi visto suonare sulla tv francese ma voleva
averne la certezza e per questo ha chiesto che gli mandassimo un mio disco.
Mi
ha risposto facendomi i complimenti e accettando di suonare in duo. Già questo per
me era meraviglioso: anche se poi il concerto non si sarebbe svolto, potevo già
essere molto felice.
Solal
è una leggenda del jazz, ora ha 77anni e possiede ancora una tecnica limpidissima
come un ragazzino di venti. E' arrivato la mattina, nel pomeriggio abbiamo
fatto le prove ed è stato subito incredibile: una musica senza limiti. Per il volume
di suono, la ricchezza delle idee, veramente mi sembrava di suonare con un'orchestra.
Solal
ha un modo contrappuntistico di accompagnarti, non sta certo ad adagiarsi mettendo
semplicemente una serie di accordi. All'inizio l'effetto è stato come di un mago
che ti immobilizzava, ti senti spaesato.
Raccontaci qualcosa sulla nascita del disco.
Quando ho iniziato a scrivere la musica per questo
nuovo disco, io non riuscivo a scrivere un brano perché stavo forzando. Nel mio
studio si era accumulata una montagna di carta e non mi piaceva assolutamente niente.
Così mi sono messo ad aspettare, il momento giusto è arrivato e i brani erano perfino
in eccesso.
Come compositore verso quale direzione ti muovi?
Le composizioni che sono nate per questo disco
rappresentano quanto ho percepito nella mia vita durante gli ultimi due anni. Devo
dire che quando lo ascolto riesco a vedere i vari momenti di questi due anni, le
sofferenze e le felicità. Alcune composizioni sono arrivate in modo istintivo, ad
esempio il brano Danae è ispirato ad un quadro
di Klimt a cui sono molto legato. Se osservi il quadro dall'immagine iniziale che
percepisci, sei poi spinto ad andare in profondità. Così il brano che ho scritto
ha una linea principale che c'è ma non è in rilievo. Ci sono tre linee che si muovono
insieme e indipendenti. La linea principale è al basso. Le altre due linee al sassofono
ed al pianoforte seguono invece una logica di domanda e risposta. Quando ho scritto
il brano sentivo perfettamente le tre voci insieme. Anche in altri brani si può
trovare quest'idea di autonomia delle voci. Nell'ultimo brano
Hagi Mistery che è completamente free i solisti
e la ritmica seguono due diverse velocità un po' come in "Lonely
Woman" di Ornette.
Nel disco fate soltanto uno "standard" ed è un pezzo proprio
di
Ornette Coleman,
mi sembra un musicista che unisce i tuoi gusti a quelli di
Boltro e di
Moroni.
Per il disco avevo scritto tanta musica ma al
mio produttore piaceva che ci fosse uno standard. Sai a me piacciono molto gli standard
ma ho sempre un po' paura: mettere mano a brani suonati e risuonati che puoi arrangiare
quanto ti pare ma alla fine quello che esce fuori è un suono da jam session
. E' difficile trovare la chiave per aprire la porta di uno standard; con
Enrico
Pieranunzi diciamo spesso che questo è il problema fondamentale: trovare
la chiave. Allora per il disco ho pensato che in fondo un brano c'era, ho pescato
dentro la cartella con i brani di
Ornette
che uso per il progetto con Flavio e il resto è stato suonare. Quella che
senti sul disco è la first take. Ha una freschezza che non è perfetta ma
invece è proprio quella la forza della musica di
Ornette.
Nella sua musica niente è perfetto, ma tutto è grande. Il suono che crea è qualcosa
di speciale, un suono sporco e di libertà. La bellezza della musica di
Ornette
è il suono. A proposito hai sentito il suo ultimo disco? Il suono di
Coleman
non è cambiato per niente. Molti sassofonisti a distanza di anni cambiano il loro
suono. Prendi ad esempio Johnny Griffin, per fortuna lui ancora suona ma
il suo suono è cambiato molto per i problemi fisici e per i vizi. La bellezza di
Ornette
è invece proprio nel fatto che il suo suono non è cambiato in nulla. Magari è meno
irruento, prima era più graffiante.
Però ora nella sua musica c'è molta più rassegnazione…
Non
la vedo proprio così, magari perchè sono un musicista e penso a quando sarò vecchio.
Prendi ad esempio Freddie Hubbard. Qui siamo all'eccesso, adesso Hubbard
con la sua tromba fa le pernacchie e fa soffrire se pensi a quanti capolavori ci
ha regalato. Penso fra tutti a Body And Soul,
il disco arrangiato per lui da
Shorter. Quando andiamo ad ascoltare questi musicisti allora
non possiamo avere la pretesa di ascoltare quanto i dischi ci hanno abituato a sentire.
Se invece ci disponiamo ad ascoltare quello che ora vogliono dirci, il nostro giudizio
sarebbe più giusto.
Volevo dire che la rassegnazione è dentro la musica, a
Padova dopo il concerto
– il 23 novembre dell'anno passato -
Coleman stesso parlava di sadness.
Quello che dici lo capisco eppure per me è più
importante il fatto che loro, Coleman,
Hubbard, sono ancora lì e vivono ancora la musica con serietà. Lo stesso
Hubbard, quando l'ho ascoltato due anni fa, faceva segno al pubblico di non
applaudire, si rendeva conto che gli applausi non erano meritati. Restano però esempi
di coerenza, hanno il coraggio di essere autentici e quindi sono in grado di comunicare
i diversi sentimenti dell'animo e non tutti i musicisti riescono a far sì che questo
accada. Io credo che qualsiasi musicista abbia una grande responsabilità.
A proposito di responsabilità ti chiedo qualcosa che riguarda
la trasmissione nel tempo di questa musica. Il jazz nel corso della sua storia si
è sviluppato a stretto contatto con la vita, spesso con la strada. Oggi molti musicisti
giovani pagano costose lezioni di musica e spesso abbiamo tanti strumentisti ma
poche personalità musicali. Non c'è il rischio che il jazz si snaturi magari attraverso
una selezione per censo?
Credo che tu abbia ragione. Molto spesso ci facciamo prendere dalle mode e
tutti vanno a lezione da un musicista solo perché magari si parla tanto di lui.
La lezione maggiore nasce dalla vita e dal valore umano di questa musica. La seconda
lezione dovremmo apprenderla dai dischi: è da lì che ti arrivano più sensazioni.
Molto spesso io durante le Masterclasses che tengo in Italia e all'estero
ripeto quella che chiamo la regola delle tre "c": cuore, coraggio e convinzione.
Cuore è per me la passione. Coraggio significa la capacità di rischiare. Per fare
il jazzista io ho aspettato degli anni, lasciando comunque un lavoro che mi permetteva
di guadagnare e mi dava molte sicurezze. Convinzione è poi la consapevolezza di
essere sulla strada giusta e la voglia di seguirla fino in fondo. Allora anche se
si hanno pochi soldi ci sono i dischi e da lì si impara tantissimo, così ho fatto
io.
29/09/2012 | European Jazz Expo #2: Asì, Quartetto Pessoa, Moroni & Ionata, Mario Brai, Enrico Zanisi, Alessandro Paternesi, David Linx, Little Blue, Federico Casagrande, Billy Cobham (D. Floris, D. Crevena) |
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
27/06/2010 | Presentazione del libro di Adriano Mazzoletti "Il Jazz in Italia vol. 2: dallo swing agli anni sessanta": "...due tomi di circa 2500 pagine, 2000 nomi citati e circa 300 pagine di discografia, un'autentica Bibbia del jazz. Gli amanti del jazz come Adriano Mazzoletti sono più unici che rari nel nostro panorama musicale. Un artista, anche più che giornalista, dedito per tutta la sua vita a collezionare, archiviare, studiare, accumulare una quantità impressionante di produzioni musicali, documenti, testimonianze, aneddoti sul jazz italiano dal momento in cui le blue notes hanno cominciato a diffondersi nella penisola al tramonto della seconda guerra mondiale" (F. Ciccarelli e A. Valiante) |
30/08/2009 | Laigueglia Percfest 2009: "La 14° edizione, sempre diretta da Rosario Bonaccorso, ha puntato su una programmazione ad hoc per soddisfare l'appetito artistico di tutti: concerti jazz di altissimo livello, concorso internazionale di percussionisti creativi Memorial Naco, corso di percussioni per bambini, corsi di GiGon, fitness sulla spiaggia, stage didattici di percussioni e musicoterapia, lezione di danza mediorientale, stage di danza, mostre fotografiche, e altro." (Franco Donaggio) |
|
| "Road Song" Tony Monaco,Eddy Palermo, Flavio Boltro,Ray Mantilla and friends Tuscia in Jazz 2008Tony Monaco,Eddy Palermo,Flavio Boltro,Paolo Recchia,Francisco Mela, Geggè Munari, Ray Mantilla,Carl PotterEddy PalermoArenown... inserito il 20/11/2008 da lermici - visualizzazioni: 6412 |
Invia un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 11.855 volte
Data pubblicazione: 02/05/2007
|
|