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Nero, free, di sinistra
Appunti sul jazz "politico" degli anni Sessanta di Franco Bergoglio
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Questo saggio, è stato pubblicato nel volume:
A.A.V.V., La comunicazione politica, a cura di Fabizio Billi,
Milano, Edizioni Punto Rosso, 2001.
Introduzione
Ogni creazione, per se stessa, nega il mondo del signore e dello
schiavo. La turpe società di tiranni e di schiavi in cui sopravviviamo non troverà
la sua morte e la sua trasfigurazione se non sul piano della creazione.
Albert Camus, l'Homme Révolté.
"Il sessantotto e la rivolta degli studenti e degli operai hanno dato uno
slancio nuovo, una ritmica free jazz, al cinema politico in tutta l'Europa dell'est
e dell'ovest e dall'altra parte del mare, nel Maghreb, in Medio Oriente, nelle Americhe"
[1].
Così esordisce Roberto Silvestri in "1969. Un anno
bomba", una pubblicazione dedicata al cinema di quel prodigioso anno. Utilizziamo
questa fonte, non abituale parlando di jazz, per mostrare quanto il legame tra la
musica e la società risultasse determinante negli anni Sessanta, anche da un angolo
visuale particolare, come nello specifico si configura l'arte cinematografica. Questo
incipit ci cala in quella temperie culturale dove le arti si mescolavano tra loro
senza steccati, dove ogni giorno sembrava vicino un cambiamento radicale, dove pareva
possibile realizzare nel breve periodo un nuovo ordine sociale. Proviamo a indagare
il nesso causale insito nel legame tra la musica jazz e la politica negli anni Sessanta.
Perché il jazz, in particolare quello etichettato come free, libero, funziona
da pietra di paragone estetica per analizzare tout court l'arte del periodo?
Perché diventa uno degli emblemi riconosciuti dell'arte rivoluzionaria? Come riesce
ad imporsi come linguaggio internazionale? Quali sono i valori simbolici che veicola,
tali da renderlo centrale in Europa ed in Italia in particolare, ancor più che in
America? Per fronteggiare queste domande analizzeremo le origini culturali americane
del free, vedremo i momenti salienti della sua comparsa in Italia e daremo la voce
a musicisti, critici musicali e intellettuali del periodo. Non si tratta ovviamente
di uno studio complessivo che richiederebbe ricerche ben diverse, ma di uno "spaccato"
ragionato. In qualche modo il fondamento teorico lo si ritrova in quegli studiosi
che per sociologia della musica intendono una ricerca strettamente collegata agli
effetti stricto sensu sociali che essa produce in un dato periodo e contesto;
per rifarci ad un autore musicalmente "complice" chiamiamo a testimoniare Alphons
Silbermann: "Il primo scopo della sociologia dell'arte è chiarire il carattere
dinamico dell'arte come fenomeno sociale nelle sue diverse espressioni (dramma,
commedia, romanzo, novella, folklore, danza artistica, danza popolare, musica classica,
musica liturgica, musica leggera, jazz, pittura sacra, pittura profana, scultura,
ecc.)" [2].
[1] Italo Moscati, (a cura di), 1969. Un anno bomba, Venezia
Marsilio, 1998, p.85.
[2] Alphons Silbermann, "arte", in R. Konig (a cura di), Sociologia, Enciclopedia
Feltrinelli-Fischer, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 27-28.
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
27/06/2010 | Presentazione del libro di Adriano Mazzoletti "Il Jazz in Italia vol. 2: dallo swing agli anni sessanta": "...due tomi di circa 2500 pagine, 2000 nomi citati e circa 300 pagine di discografia, un'autentica Bibbia del jazz. Gli amanti del jazz come Adriano Mazzoletti sono più unici che rari nel nostro panorama musicale. Un artista, anche più che giornalista, dedito per tutta la sua vita a collezionare, archiviare, studiare, accumulare una quantità impressionante di produzioni musicali, documenti, testimonianze, aneddoti sul jazz italiano dal momento in cui le blue notes hanno cominciato a diffondersi nella penisola al tramonto della seconda guerra mondiale" (F. Ciccarelli e A. Valiante) |
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Data pubblicazione: 26/04/2014
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