…Thelonious Monk immortale sul palco di un ristorante
bianco aspettando che la Pula lo incastrasse per detenzione di Silenzio.
Allen Ginsberg [1].
La gravissima crisi economica del 1929
non viene completamente superata nonostante la politica del New Deal voluta da
Roosevelt.[2] Nel
1938 gli Usa stanno attraversando un nuovo periodo
di difficoltà: solo lo scoppio della guerra, con il conseguente incremento della
produzione industriale dovuto allo sviluppo dell'industria bellica, rende possibile
il reinserimento nel mercato del lavoro di una massa ingente di disoccupati (10
milioni nel 1938 a fronte dei 13 del 1932, momento più duro per l'economia americana).
La condizione dei neri negli anni Quaranta non è sostanzialmente migliorata: la
migrazione dai paesi più poveri del sud verso le grandi città industriali del nord
acuisce l'odio razziale. Alla popolazione di colore viene sistematicamente impedito
l'accesso nell'industria, per i neri sono possibili solo i lavori più umili e dequalificati,
con paghe più basse rispetto a quelle dei lavoratori bianchi. Anche alla vigilia
della guerra, in un momento di forte richiesta di manodopera per incrementare la
produzione dell'industria bellica, sono ancora i bianchi ad avere un accesso privilegiato
al lavoro. La discriminazione da parte del mondo produttivo si risolve parzialmente
nel 1941, dopo l'iniziativa di Philip A.
Randolph, che minaccia di organizzare una marcia su Washington se l'amministrazione
federale non decide di farsi carico del problema della segregazione razziale anche
nel mondo del lavoro. Questa iniziativa, la prima nel suo genere, è un momento fondamentale
per la presa di coscienza delle classi povere di colore. Roosevelt non può
permettersi una dimostrazione di malcontento all'interno del suo paese mentre è
impegnato a fronteggiare le potenze dell'asse. L'opinione pubblica e gli stessi
politici sono spaventati dalla prospettiva di ingenti masse di neri in movimento
per la rivendicazione di diritti concreti e le richieste di Randolph vengono
accolte, Roosevelt emana il famoso Executive order 8802 che vieta
la discriminazione nelle industrie di difesa. Il provvedimento di per sé non significa
molto perché non prevede misure concrete; però è una vittoria morale della popolazione
di colore che dimostra come l'attivismo nero possa dare i suoi frutti. La mancata
marcia su Washington è l'esempio su cui si baseranno tutti i movimenti di protesta
degli anni Cinquanta e Sessanta. Randolph ricopriva l'incarico di presidente
della lega dei portabagagli dei vagoni letto e non ebbe l'aiuto di nessuna organizzazione
ufficiale tra quelle che si occupavano dei diritti civili dei negri, anzi fu sconfessato
dallo NAACP e dalla Urban League. Dalla sua parte però era l'entusiasmo popolare
e la consapevolezza che un movimento di massa sarebbe potuto pesare più di un discorso
elettorale o di un editoriale di giornale. La sua concezione del movimento di massa
mostra che è in atto un processo di politicizzazione dei leaders della minoranza
nera. L'acutezza delle sue valutazioni lo porta ad intuire quali sono gli strumenti
di cui deve dotarsi il movimento se vuole raggiungere i suoi obiettivi. Ecco le
parole di un suo discorso: "(il movimento) vuole essere totalmente nero e pro-nero,
ma non antibianco o antisemita, antiproletariato o anticattolico. Lo scopo di questa
politica è che tutti i popoli oppressi devono assumere la propria responsabilità
e prendere l'iniziativa di autoliberarsi:
il
valore essenziale di un movimento completamente nero, come quello per la marcia
su Washington, è che permette la formazione di una fede dei neri nei neri, con dei
neri che per questioni vitali dipendono soltanto da neri. Tutto ciò contribuisce
a infrangere la mentalità schiavista e il complesso di inferiorità che si ingigantisce
quando i neri dipendono dai bianchi e a questi si appoggiano in cerca di una guida
e di un sostegno".[3]
Rispetto alle tesi utopistiche e al linguaggio messianico di Marcus
Garvey (17 agosto 1887 – 10 giugno 1940), abbiamo
un leader che elabora un ragionamento politico articolato, che non manca di spunti
interessanti, poi utilizzati con ben altro stile e argomentazioni dai vari gruppi
di Nazionalisti o dai Musulmani Neri negli anni seguenti. La situazione dei neri
rimane difficile fino all'inizio della seconda guerra mondiale, anche se ci sono
dei segnali di cambiamento. In particolare ci sono tre direttrici di sviluppo del
movimento nero che stanno mettendo adesso le radici e che germoglieranno negli anni
a venire. Abbiamo visto l'uomo di colore assumere uno ruolo definito nel mondo dello
spettacolo, nella musica e poi, con un'importanza ancora marginale, nella letteratura.
Ora invece la presenza della minoranza nera comincia a farsi sentire anche nei settori
vitali e centrali della società americana; il mondo del lavoro e l'esercito. In
ognuno di questi ambiti sorgono delle associazioni e altre si democratizzano per
lasciare spazio all'inserimento dei neri. Il primo campo in cui si verifica un cambiamento
è il movimento sindacale. Da una costola dell'AFL nasce nel
1937 il CIO (Committee for Industrial Organization).
Questi
è il primo sindacato che accetta i neri al suo interno e che promuove l'uguaglianza
salariale tra bianchi e neri, dando un fondamentale contributo alla politicizzazione
del proletariato nero. Nel 1942, in piena guerra,
nasce il Core (Congress of Racial Equality). Fondato da James Farmer,
un giovane reverendo di Chicago che rifiutava di "predicare il vangelo in una
chiesa che praticava la discriminazione", per rifarsi alla non-violenza di
Ghandi ed all'integrazionismo. Per raggiungere questo scopo si serviva dell'azione
diretta, un esempio furono i "viaggi della libertà", in cui militanti bianchi e
neri attraversavano gli stati segregazionisti violandone deliberatamente le leggi
razziste. La prima di queste spedizioni avvenne nel 1947,
le successive furono accompagnate da un crescente successo. Rimane da analizzare
la situazione all'interno dell'Esercito. Inizialmente le forze armate non erano
disponibili ad accogliere al loro interno persone di colore, ma le necessità belliche
portarono a superare questo problema. Rimase invece la discriminazione razziale:
i neri prestavano servizio in unità segregate, i luoghi di ricreazione, le mense,
l'intera organizzazione militare era separata. L'esempio forse più raccapricciante
di questo sistema è che anche Il sangue usato dalla Croce Rossa per curare i feriti
era rigorosamente "segregato". L'esercito americano si trascinò dietro per tutta
la guerra questo terribile paradosso: se da un lato rappresentava lo stato che più
era impegnato nella lotta contro gli stati fascisti portatori di valori razzisti
dall'altra li combatteva per mezzo di forze che praticavano la segregazione. Gli
stessi prigionieri di guerra nazisti spesso erano trattati meglio dei soldati di
colore. Questo faceva aumentare la sfiducia verso l'integrazione. Agli inizi del
1943 Duke Ellington
(29 aprile 1899 - 24 maggio 1974) presentava alla
Carnegie Hall
di New York la sua opera Black, brown and beige,
che esaltava i valori dell'integrazionismo e della convivenza possibile tra bianchi
e neri, ma questa prospettiva stava gradualmente perdendo di credibilità presso
le nuove generazioni di intellettuali di colore.
Le tensioni sociali causate dalla povertà della stragrande maggioranza
della popolazione nera esplodono proprio durante il conflitto con le rivolte di
Detroit, importante città sede delle industrie pesanti e dunque meta per molti lavoratori
neri appena arrivati dal sud; e ad Harlem, dove la continua immigrazione aveva portato
ad un sovraffollamento del ghetto. Gli incidenti furono innescati da episodi di
discriminazione razziale e di violenza: ad Harlem un poliziotto uccise un soldato
nero in permesso, questo bastò ad esasperare gli animi di una popolazione già duramente
provata. Harlem perde alla fine degli anni Trenta la sua qualifica di "Parigi nera"
conquistata negli anni Venti; il ghetto, ingranditosi per la massiccia immigrazione,
tocca negli anni Quaranta le 750.000 unità. Le prime sommosse, scoppiate nel
1938, costringono i locali notturni più importanti
a spostarsi in altre zone della città per non perdere la loro clientela bianca.
Persa la qualifica di centro culturale e artistico, il quartiere rimane sotto il
dominio della malavita organizzata. Droga, prostituzione, violenza sono la nuova
realtà quotidiana.
Già
Alexis de Tocqueville, durante il suo viaggio in America, aveva notato che
negli stati del Nord persisteva un diffuso pregiudizio con profonde radici nella
mentalità. Alcuni militanti neri politicizzati iniziarono ad accomunare i "democratici"
Stati Uniti e la Germania nazista con la loro viscerale paura degli stessi identici
nemici: ebrei e comunisti. Proprio in questi anni si evidenzia il fatto che il problema
nero non è esclusivamente dei neri, ma riguarda anche i bianchi e i cambiamenti
cui si devono sottoporre per poter arrivare ad una società meno ingiusta; ma mentre
gli uni stanno rapidamente prendendo coscienza, gli altri si rifiutano di adeguare
le proprie concezioni alla nuova realtà. Anzi i residui di questa mentalità così
gretta e conservatrice si faranno sentire pesantemente negli anni Cinquanta con
la "caccia alle streghe" di Mc Carthy e la John Birch Society.
La guerra portò comunque un mutamento nel rapporto tra bianchi e neri.
Si trattò di un processo rapido che già al termine del conflitto mostrava i suoi
primi frutti: un quarto dell'esercito americano era costituito di uomini di colore.
"Nel 1945 un milione di negri portava la divisa militare. Era poco probabile
che uomini che erano stati decorati per coraggio ed ingegnosità eccezionali a Bastogne,
che erano sbarcati con la prima ondata di invasione a Okinawa, conservassero la
stessa paura dell'autorità bianca che avevano avuto i loro padri. Ciò che i negri
scoprirono durante la guerra fu la loro forza di intimidazione, non con la violenza,
ma con la loro sola presenza. Così i negri, sia i civili che i militari, persero
la paura di parlare e di agire". Così Charles E. Silberman, che mette
in luce i fattori positivi dell'esperienza nell'esercito fatta dai neri; anche se
poi concretamente per molti di loro il ritorno a casa significò un ritorno alla
situazione precedente: disoccupazione, lavoro sottopagato, discriminazione…Questo
non poteva che far crescere il malcontento in una parte della popolazione che aveva
imparato durante i rigori della guerra a credere in se stessa. Il malcontento e
la frustrazione ed anche una voglia di prepotente affermazione sulla scena della
società americana come protagonista: i neri si sentono parte della società che hanno
contribuito a salvare dal nazi-fascismo e chiedono alla democrazia risposte adeguate
al suo nome e non una semplice uguaglianza di facciata. Questi sentimenti caratterizzano
gli uomini di colore negli anni del secondo conflitto mondiale. Nel
1943, mentre ad Harlem e Detroit si scatena la
rivolta, è in fase di gestazione un altro tipo di "rivolta": il
bebop.
La
nuova musica nasce dalle improvvisazioni collettive di alcuni tra i più dotati musicisti
neri che si ritrovano nei localini di Harlem, nella 52ima strada, dopo il lavoro
regolare nelle orchestre Swing. Gli studiosi di jazz sono tutti concordi nel parlare
per il bebop di rivoluzione, ma tra loro alcuni (Carles e Comolli,
Fabiani) lo associano direttamente alle rivolte nei ghetti del
1943. Lo fanno sulla scia di Langston Hughes,
tra i primi a capire l'importanza della nuova musica e a parlarne per sulle pagine
del New York Post. Ecco un suo articolo dove parla del nuovo jazz: "Un
uomo dalla pelle scura può conoscere soltanto giorni scuri. Il bop è la conseguenza
di questi giorni scuri. Per questa ragione la vera musica bop è esasperata, selvaggia,
frenetica, pazza e chi non ha conosciuto giorni scuri non la può capire. Coloro
che non hanno provato grandi sofferenze non possono suonare il bop, e tanto meno
apprezzarlo" Il ragionamento di Hughes non attiene minimamente alle caratteristiche
tecniche e musicali del be bop, il suo è un ragionamento che parte dalla musica
per arrivare immediatamente ad una secca critica politica della società. Se a prima
vista l'associazione stretta di bop e sofferenza sembra essere un po' troppo forzata
e deterministica, è però confermata dagli stessi musicisti: il trombettista Dizzy
Gillespie la associa al colore della pelle: "Se non fossi così scuro non
sarei capace di suonare a questo modo" rispose a un direttore d'orchestra bianco
che si complimentava con lui per la sua grandezza di musicista e si doleva nello
stesso tempo di non potere scritturarlo perché di colore. La sofferenza è strettamente
connessa alla condizione di negritudine ed entrambe sono alla base del be-bop più
delle innovazioni melodiche o armoniche in senso stretto. Il bebop è rivoluzionario
non solo nei contenuti musicali ma nel messaggio di fondo che lancia. Hughes
associa la violenza espressiva del bop alla sommossa di Harlem del
1943: "E' la polizia che picchia sulla testa
dei neri che ha ispirato il bop. Ogniqualvolta uno sbirro colpisce un nero con il
suo manganello, questo maledetto bastone fa: Bop Bop!…Be Bop!… Mop Bop!. E il nero
urla: Uoool Ya koo! Ou-o-o! e il maledetto poliziotto ne approfitta per continuare
a picchiare: Mop!Mop! Be Bop! Mop!. Tale è l'origine del bebop; il ritmo dei colpi
sulla testa del nero è passato direttamente nell'interpretazione che danno del beBop
trombe, chitarre e sassofoni" [4].
Langston Hughes inventa una metafora poetica molto espressiva per rendere l'idea
del rapporto esistente tra condizione nera e musica prodotta. Analizzando con attenzione
il fenomeno del be-bop nelle sue varie implicazioni sociali ed economiche se ne
può trarre la considerazione che, non solo le parole di Hughes sono dotate
di una forte carica evocativa ma che in effetti c'è un preciso nesso tra la società
repressiva americana del dopoguerra e il bebop; ed è un legame dimostrabile. Non
si tratta di condurre una analisi particolareggiata delle innovazioni tecniche e
musicali che caratterizzano il fenomeno Bebop, perché decine e decine di studiosi,
musicologi e semplici appassionati lo hanno fatto ed hanno prodotto opere in cui
si spiegano tutti questi aspetti tecnici. Si tratta di capire perché il Bebop, che
è profondamente diverso dallo Swing, ha sviluppato queste caratteristiche così autonome.
Bop e Società
Durante gli anni trenta esplose la "swing craze", la pazzia per lo Swing. Tanto
che, ad un certo punto, questa divenne "la" musica americana per antonomasia. Le
orchestre bianche si erano "impossessate" dello Swing, ne avevano ammorbidito le
caratteristiche "nere" e lo avevano trasformato in un prodotto di largo consumo
e di diffusione planetaria: dovunque arrivavano i film, la cultura o l'esercito
americani arrivava al seguito lo Swing. Leroi Jones denuncia questo furto
perpetrato ai danni dei neri: i direttori d'orchestra più ricchi e famosi erano
bianchi, i "re" dello Swing erano due bianchi:
Benny Goodman (Benjamin David, Chicago, 30 mag
1909 - 20 giu 1986) e Glenn Miller.
Quest'ultimo
poi divenne un vero e proprio eroe nazionale con la sua partecipazione e la tragica
morte durante la seconda guerra mondiale. Dunque in prima istanza i musicisti del
bebop sono dei giovani ribelli che vogliono riappropriarsi del jazz e restituirlo
alla popolazione di colore. E' una ricerca di una identità culturale, come in altri
campi si cerca faticosamente di trovare una identità politica. Il recupero viene
effettuato tenendo presenti quelle che erano le radici culturali dell'universo nero:
in prima battuta il blues, cioè la base della tradizione musicale afroamericana:
tra i cui segni caratteristici, rileviamo l'oralità della comunicazione e la pratica
dell'improvvisazione. Walter Mauro ha definito il bebop come una "ribellione
interpretativa". Il linguaggio musicale va piegato alla necessità di esprimere un
nuovo mondo di idee e valori che non sono solo musicali ma coinvolgono tutto l'universo
della condizione nera. Uno sforzo collettivo di rinnovamento, una specie di "uccisione
dei padri", cioè un forte impulso a prendere le distanze dalla cultura contadina
dei genitori e dei nonni, condizione esistenziale caratteristica per le nuova generazioni
di recente urbanizzazione. Quelle che hanno lasciato il Sud per le grandi metropoli
del Nord durante le grandi campagne migratorie degli anni Quaranta, dove è più concreta
la speranza di una vita nuova, basata sulla libertà. Libertà in senso sociale, ma
anche artistico, contro la stasi canonizzata che caratterizza la musica swing. Il
bebop dunque non è mai, per nessuno studioso che vi si è dedicato, esclusivamente
estrinsecazione di un dato musicale inedito, ma non è comprensibile se non si fa
riferimento alla condizione esistenziale dei neri americani. Insomma il bebop è
una rivoluzione politica oltre che musicale, come afferma nettamente Eric J.
Hobsbawm.
Lo stesso avviene in letteratura, dove nel 1940
Richard Wright pubblica i romanzi Native Son e Twelve Million Black
voices, nei quali la descrizione della condizione nera e della vita nel ghetto
si carica di un impegno politico fino ad allora sconosciuto. Per Wright la
letteratura nera non può essere che impegnata e di denuncia; l'intera arte nera
del periodo vive la necessità di confrontarsi nel suo lavoro con il problema della
segregazione. Un altro elemento strettamente musicale recuperato dal bop, oltre
al blues, è quello dell'improvvisazione. Improvvisazione significa libertà creatrice
e fuoriuscita dagli schemi prefissati dello Swing che nel giro di pochi anni si
era trasformata in una musica quasi completamente scritta, che vedeva dunque il
prevalere dell'estetica occidentale e inoltre negando lo spazio improvvisativo stava
perdendo in capacità inventiva. "Lo Swing stava tentando di coinvolgere la cultura
negra in una sorta di platonica mellifluità sociale, che la cancellasse per sempre
rimpiazzandola col compromesso socio-culturale della canzonetta a ritmo jazz: in
fondo a questa strada la catatonia e la incomunicabilità". Non credo che gli
alfieri dello Swing bianco operassero con in testa l'intendimento cosciente di distruggere
la cultura nera; piuttosto le loro azioni erano guidate da una duplice serie di
motivazioni: da un lato l'esigenza commerciale di produrre musica di facile ascolto,
dall'altra la persistente idea che il jazz è un patrimonio di idee che si possono
assimilare all'interno del contesto più generale della cultura occidentale. In questo
senso l'opera dei boppers fu radicale: la loro opposizione allo Swing è stata risoluta
e anche la consapevolezza che la loro musica non poteva essere commercializzata
al grande pubblico. Non solo l'improvvisazione ma anche la versatilità, il dinamismo
intrinseco del bop che reca con sé il principio di un rinnovamento permanente. Il
legame con i movimenti d'avanguardia è in questa spinta al continuo cambiamento
data dalla costante opposizione ai sistemi musicali esistenti, compresi quelli da
lui stesso creati.
Parafrasando
Roland Barthes, la contestazione diventa uno stile di vita. Per questo motivo
il jazz va inserito tra le avanguardie che fanno capo al "modernismo", perché si
è sviluppato nel periodo di tempo compreso tra la fine del secolo scorso e gli anni
Sessanta che hanno visto una decisa rivoluzione, una spinta all'innovazione nel
mondo delle arti. Dal futurismo al surrealismo, passando per la generazione perduta
degli scrittori americani, c'è una comune matrice di rottura col vittorianesimo
e un concetto imbalsamato di arte. Uno dei motivi per cui riuscirono a resistere
ai condizionamenti era la forzosa separazione cui era sottoposta la comunità nera,
anche quella frazione che faceva parte del mondo degli artisti. L'isolamento portò
con sé la capacità di distaccarsi dalla vacuità culturale dello Swing. Leroi
Jones afferma che fu la generazione degli anni Quaranta che riuscì a rendersi
per prima conto dell'inadeguatezza non del nero ma della società nei suoi confronti.
Una società che ha isolato gli intellettuali neri e gli artisti almeno nella stessa
misura in cui loro stessi si sentivano isolati e si autoescludevano.
L'idea di adattamento e integrazione, che muoveva Duke Ellington
a comporre e rappresentare la Black, Brown and Beige negli stessi anni in
cui Parker, Gillespie, Monk e
Powell
inventavano il bop era da questi ultimi già superata perché sentita inutile; la
speranza della musica di Ellington, il suo richiamo alla buona volontà (sentimento
mediato dalla religione), era rigettata dai nuovi musicisti in nome di una visione
più cinica e disperata, che si sarebbe rispecchiata anche nelle loro vite. L'esclusione
non era dettata da mancanza di istruzione, o capacità di adattamento; il dogma per
l'ammissione nella società rimaneva il colore della pelle. Jones spiega questo
fenomeno con un esempio che interessa il jazz molto da vicino e mostra la contraddizione
insita nello stesso mestiere di musicista: "…Durante gli anni Trenta, tanti giovani
della borghesia negra, dopo essere stati al college, tornarono al jazz. Si erano
procurati i requisiti giusti per essere accettati nel circuito della società borghese,
ma erano requisiti superflui se quell'accettazione veniva ancora loro rifiutata.
(…) Non si poteva entrare nella società alle proprie condizioni: un individuo non
era in grado di conservare la sua individualità, né un gruppo mantenere la sua caratteristica
di gruppo, per quanto validi fossero i rispettivi referenti culturali. La peculiarità
di una precisa estrazione culturale contribuiva a rafforzare la separazione, e i
giovani musicisti degli anni Quaranta, che l'avevano compreso, cercarono di rendere
significativa questa separazione, così come avevano fatto i loro padri, ma con in
più una nuova e consapevole valutazione della società".
[5] Le due parole chiave per comprendere l'atteggiamento dei giovani
neri più coscienti sono dunque isolamento e consapevolezza; che sono entrambe connotazioni
di tipo psicologico che caratterizzano la personalità dell'individuo di colore degli
anni Quaranta, ma, in senso molto lato sono anche delle rivendicazioni di tipo politico,
espresse sotto forma di urlo artistico con la loro musica.
Fletcher Henderson (Fletcher Hamilton Henderson, Jr.
: Cuthbert, GA, 18 dic 1897 - New York, 29 dic 1952), tanto per rimanere
al discorso di Jones, era laureato in chimica, ma non riusciva a trovare
un lavoro che fosse per lui altrettanto remunerativo che accompagnare cantanti di
blues al pianoforte; da qui prese avvio la sua carriera di direttore d'orchestra.
I neri degli anni Venti e Trenta che si dedicavano al jazz sovente lo facevano perché
quella era una delle poche professioni loro consentita. Per una questione culturale
e sociale legata ancora al sistema schiavistico, l'uomo di colore poteva, entro
certi limiti, esprimere il proprio folclore, con danze e balli e la figura del nero
all'interno degli spettacoli ambulanti era molto diffusa. Il nero poteva intraprendere
la carriera di musicista perché questa non procurava prestigio sociale, e inoltre
non andava verso quell'integrazione sociale che si sarebbe avuta se i diplomati
e laureati neri avessero potuto occupare le posizioni cui si erano guadagnati l'accesso.
Leroi Jones lamenta più volte che negli anni precedenti la rivoluzione bop
vi fu un completo cedimento culturale. Però bisogna anche considerare, come si è
fatto, che, schiacciati da tutti questi condizionamenti, sociali la maggior parte
dei musicisti si consideravano degli uomini di spettacolo, non erano in grado di
giustificare la loro arte e di preservarla dalla contaminazione. I musicisti degli
anni Quaranta invece erano degli artisti nel pieno senso della parola, sentivano
la loro condizione e ricercavano e temevano allo stesso tempo l'isolamento. Produssero
un'arte avanguardistica, che ha notevoli punti di contatto con le avanguardie europee
di inizio secolo. La prima vera arte d'avanguardia dei neri americani, voluta perché
frutto di una ricerca intellettuale e musicale di tipo occidentale, anche se volta
al recupero di alcune peculiari caratteristiche della negritudine. Sperimentalismo
e anticommercialismo sono le peculiarità del primo bop. Vengono rimesse in discussione
la nozione di musica come prodotto di consumo e oggetto di mercato. Questo aspetto
si rivela nella sistematica distruzione della materia prima sulla quale si era basato
lo sviluppo dello Swing negli ultimi anni: la forma-canzone, demolita e ricostruita
in base ai nuovi schemi interpretativi. Lo "scandalo" prodotto dall'esecuzione di
questi motivi alla moda resi irriconoscibili è la reazione del pubblico e della
critica, la provocazione voluta sono i tratti che qualificano come avanguardistico
il movimento del bebop. L'entusiasmo dei nuovi adepti conquistati dalla novità si
scontra con la resistenza e l'ostilità del pubblico di massa che smette in questo
momento di seguire il jazz.
Carles e Comolli, nella loro interpretazione marxista, puntano
il dito sull'aspetto economico del bop. Secondo la loro ottica mancò, ancora una
volta, una "presa di coscienza dei fenomeni politici ed economici": i musicisti
avevano rivolto la loro ricerca in un'altra direzione, erano andati verso una forma
di "attivismo estetico", che, pur presentando già in nuce alcuni temi che
sarebbero poi confluiti nel jazz protestatario degli anni Sessanta, finiva per chiudersi
in se stessa e rinunciava ad una contestazione globale del sistema.
[6] Mancò una "precisa presa di coscienza"
e una attenta valutazione di quello che stava accadendo nella società.
[7] Non ci fu una riflessione puntuale sul
problema della "colonizzazione del jazz" da parte dell'ideologia dominante. Questo
provocò quel recupero del bebop da parte dello stesso sistema alle esigenze del
mercato. Il bop, che era una rivoluzione musicale di artisti "antiborghesi", fu
definitivamente inglobato e digerito dal sistema negli anni Cinquanta, che con intelligenza
modificò la sua concezione del jazz, seguendone l'evoluzione. Il recupero di
Parker e accoliti inizia dall'interpretazione romantica della loro opera e della
loro vita, il sentimento di rivolta viene tramutato in senso del tragico, le asprezze
musicali vengono interpretate come eccentricità da artisti e quindi assunte in uno
schema di valutazione plausibile e accettabile dal sistema e da parte del pubblico
borghese di idee più aperte. I boppers riuscirono a sovvertire l'immagine del Nero
come inferiore, ma in mancanza di una rivoluzione di tipo ideologico ne fecero lo
stereotipo dell'artista anticonformista sul modello europeo. Carles e
Comolli vedono in questo un pericolo: la "trappola dell'eccentricità",
che consente da parte dell'ideologia dominante un recupero del bop. "Artisti
e intellettuali, sia nella veste di sfruttati sia in quella di agenti di disturbo,
conservano il ruolo di negri nella società capitalista. Lo sfruttamento culturale
ed economico del bop poteva così avere inizio". [8]
L'intellettualismo, la pubblicità creata attorno alle diatribe dei critici
sull'autenticità artistica del bop, la moda del vestire, insomma tutti gli aspetti
più spettacolari vennero utilizzati per rendere digeribile il nuovo jazz. La caratteristica
che accomunava i boppers, e nello stesso tempo li isolava da tutto quanto la musica
afroamericana aveva espresso fino ad allora, era la "diversità". Questa si manifestava
in due modi: da una parte ci furono gli atteggiamenti esteriori: i vestiti stravaganti,
gli occhialoni scuri da sole portati anche nei locali come difesa della sfera intima,
il basco e un gergo comprensibile solo agli adepti (e non dagli squares,
i borghesi "quadrati", che non condividevano l'anticonformistica way of life
dei boppers). Questo tipo di linguaggio era mutuato dal gergo dei tossicodipendenti
ed aveva lo stesso significato di isolamento e protezione dal mondo esterno. I boppers
erano una vera e propria setta e il loro linguaggio era un codice per iniziati;
contribuiva a rafforzare l'isolamento: la stessa smania che hanno i musicisti di
differenziarsi dalla massa li porta a cercare altrettanto intensamente l'uniformazione
all'interno del gruppo. Attorno a loro si creò un vero e proprio seguito di ammiratori
e imitatori, che li copiavano in tutto: dalle espressioni gergali all'abbigliamento.
Erano definiti "hipsters" ed erano generalmente dei bianchi che rifiutavano i canoni
di vita borghesi per gettarsi in questa vita bohémien.[9]
Dai neri gli hipsters cercavano di assimilare la filosofia di vita: l'importanza
del presente e del piacere immediato e totale. In breve, il nero era per questi
"negri bianchi" –così erano chiamati, con una punta di disprezzo- l'ideale di non
conformismo che essi cercavano di raggiungere. C'è però una differenza importante
tra l'anticonformismo del musicista di colore e l'appassionato bianco, di ordine
sociologico; la mette in rilievo il solito Leroi Jones.
Per i bianchi, la fuoriuscita dagli schemi convenzionali è frutto di una
libera scelta, rimane sempre possibile il reinserimento sociale nel momento in cui
il giovane hipster decide di ritornare ai valori accettati. Non così per il nero,
che non ha questa possibilità di scelta. "Il solo fatto di essere negro in America
faceva di te un non conformista". [10]
Un anticonformismo secondo i canoni occidentali voluto e cosciente che faceva da
contraltare a quello non intenzionale, durato trecento anni e "determinato dal
colore della pelle". [11]
Abbiamo
parlato di atteggiamenti esteriori che caratterizzano la diversità dei boppers e
adesso dobbiamo analizzare un altro aspetto, anch'esso sicuramente rilevante sotto
l'aspetto socio-politico: il rifiuto della religione occidentale. I musicisti si
convertirono infatti in grande numero all'islamismo: e questo era un altro modo
per recuperare un rapporto con l'africa e le proprie radici culturali, oltre ad
essere un momento di contestazione dei valori della civiltà occidentale. Il movimento
dei "Black Muslims", sotto la guida di Elijah Muhammad (October 7, 1897
- February 25, 1975), prese avvio durante la seconda guerra mondiale, con il
rifiuto del suo leader all'arruolamento nell'esercito e si sviluppò notevolmente
negli anni Sessanta, sotto l'influenza di Malcom X (Omaha,
Nebraska, 19 maggio 1925 - New York City, New York, 21 febbraio 1965). Con
i Muslims il separatismo da tema politico diventa dottrina religiosa. I musicisti
però non si spinsero così avanti e in molti di loro la nuova religione non era che
un ulteriore segno di distacco dal mondo bianco. L'isolamento provocato dalla musica
rispecchia quello provocato dall'assunzione di comportamenti sociali radicali. Il
bebop è un fenomeno di pochi: pochi giovani musicisti coinvolti, pochi critici favorevoli
e poco pubblico. Questo momento rappresenta dunque il vero spartiacque per la musica
jazz: da musica popolare a musica se non colta, almeno di culto, la cui fruizione
richiedeva uno sforzo e una apertura mentali maggiori dello Swing. Il grosso pubblico
si allontanò decisamente da questo genere musicale: e non si trattò solo del pubblico
bianco, ma anche di quello nero. Se è certamente vero che lo Swing era diventato
un fenomeno di musica commerciale tipicamente bianco, che le orchestre più famose
erano bianche, non bisogna dimenticare l'apporto che i neri avevano dato a questa
musica e l'amore con cui l'avevano seguita. Gli stessi boppers avevano suonato nelle
orchestre swing e avevano ripreso il discorso musicale dove lo avevano interrotto
i grandi musicisti degli anni Trenta. Come ogni altro movimento d'avanguardia, l'aspetto
radicale, la reazione verso il passato, sono messi in primo piano e oscurano comunque
il legame sempre presente con la tradizione estetica precedente, l'aspetto evolutivo
che poggia su un passato codificato che si può rifiutare, ma è senz'altro la base
di partenza per il confronto.
Il bebop contestava lo Swing, ma non era un movimento iconoclasta: era
un superamento di forme ormai invecchiate e inadatte a esprimere il nuovo nero.
Ma il nuovo nero poteva riconoscersi nel bebop? Il proletariato di colore si orientò
verso una forma di jazz "primitivizzata" come la definisce il critico Arrigo
Polillo, meno complessa e ritmicamente più regolare, adatta anche al ballo,
come era stato in precedenza lo Swing: Il rhythm&blues. Quest'ultimo è un prodotto
commerciale: è standardizzato, basato su effetti grossolani, il ritmo è fortemente
scandito, naturalmente questo genere è rivolto solo alla comunità nera e viene -
come il bebop - rifiutato dalla borghesia coloured. A questo punto si deve
recuperare il concetto di isolamento. I boppers avevano ricercato l'isolamento dal
mondo bianco e preso le distanze dai musicisti neri "zii Tom", che si adeguavano
alle richieste del mondo dello spettacolo. Erano antiborghesi e andavano contro
la rispettabilità e le convenzioni sociali. Certamente però non era loro intenzione
allontanarsi anche dal proletariato urbano, il gruppo sociale da cui provenivano
e di cui erano espressione. Molti dei grandi musicisti del Bop erano autodidatti
e la loro istruzione musicale non era quella accademica: la chiesa e gli spettacoli
popolari erano altri ingredienti essenziali per cui si può parlare di musicisti
"community-taught" cioè istruiti dalla comunità di appartenenza.
[12] Gli artisti e intellettuali legati al
bop finirono invece per trovarsi isolati anche all'interno del mondo nero. Hobsbawm
ritiene che con le loro creazioni artistiche fossero riusciti ad "innalzarsi
molto al di sopra dei comuni lavoratori da cui avevano tratto le proprie origini",
realizzando una parte delle loro aspirazioni. Questo però comportò un prezzo: "Si
trovarono esclusi non soltanto dall'ambiente dei bianchi, ma anche dal ceto medio
della gente di colore, rappresentato da un ristretto gruppo di impiegati e di professionisti
che nascondevano la coscienza della propria impotenza dietro i deboli tentativi
di costruire una debole caricatura della rispettabilità borghese dei bianchi"
[13]. Questa acuta definizione di borghesia
nera non pare comunque soddisfacente: spiega infatti il rifiuto da parte di questa
delle sue migliori forme culturali per un eccesso di zelo nel tentativo di integrarsi
in modo supino nella società bianca. Già ai tempi del successo del blues la borghesia
aveva condannato questa forma musicale come primitiva e poi perchè ricordava troppo
il periodo della schiavitù nelle piantagioni che si cercava di rimuovere dall'inconscio.
La borghesia rimuove invece di recuperare le sue radici, perde ogni tipo di identità
senza comunque avere la possibilità di far parte del mondo bianco, così facendo
si condanna alla perpetua inferiorità all'interno della società americana. La posizione
tra i boppers e la borghesia nera è inconciliabile ma Hobsbawm vede l'essenza
anarchica e bohémien dei musicisti come una reazione al rifiuto e all'emarginazione
che non piuttosto come una scelta.
Leroi Jones afferma che nessun tipo di intesa era possibile tra la borghesia
nera e il bop, ma non spiega invece l'allontanamento del proletariato. Anzi, in
un passo successivo mostra chiaramente come lui ritenga lontana dal bop la sola
borghesia, mentre il nuovo proletariato più cosciente e attivo riconosce prontamente
il valore estetico della nuova arte. Gli aspetti interpretativi controversi emergono
in questa tipologia di problematiche. Leroi Jones e Hobsbawm sono
del parere di accordare al proletariato nero un certo ruolo di sostegno e impulso
alla nuova esperienza artistica. Dino Fabiani invece parla decisamente di
allontanamento del proletariato dei ghetti da questa musica a causa del suo incomprensibile
intellettualismo. Arrigo Polillo assegna al proletariato la funzione di "deposito
di talenti", di grande mare da cui emergono le figure del nuovo jazz. La massa dei
giovani neri invece si sarebbe indirizzata verso il più commerciale rhythm&blues,
che come abbiamo già visto era considerata una musica priva di un autentico valore
artistico. Qui però le visioni si fanno stridenti: Polillo ragiona da critico
puro e ignora alcune connessioni tra musica e società che farebbero giudicare forse
in modo diverso il rapporto tra il proletariato nero e la sua musica. Il suo punto
di vista mette al centro il jazz e il proletariato è visto in funzione della musica
e non in un rapporto di interscambio. Leroi Jones, di cui Polillo
riconosce i meriti come critico, appartiene al movimento nazionalista afroamericano
degli anni Sessanta, e afferma una visione della musica popolare nera, (il soul
e il rhythm&blues) meno legata al solo giudizio estetico, dunque meno negativa.
Per Leroi Jones il rhythm&blues mantiene comunque alcune caratteristiche
di musica non integrata nel sistema: è pur sempre un prodotto rivolto ai ceti oppressi,
con una sua vitalità che si trasferisce poi al suo derivato "per bianchi": il rock
‘n' roll. Quest'ultimo conserva un certo "carattere ribelle": riflette bene le inquietudini
degli adolescenti bianchi, come quelle di altre minoranze etniche, la portoricana
ad esempio, tra i cui giovani è molto diffuso. Abbiamo visto il proletariato disorientato
nei confronti del nuovo jazz avanguardistico, e lo stesso bebop segnò il divorzio
anche tra la borghesia di colore e il jazz in generale; questa rinuncia significò
una sconfitta culturale per la più importante delle arti nere. Il proletariato continuò
ad esprimere i musicisti più importanti del jazz ma non fornì più il contesto sociale
per lo sviluppo di un genere "nero", da questo momento il jazz è a tutti gli effetti
una musica d'arte, e i musicisti che emergono sono espressione della individualità
del singolo, anche quando questi porta avanti un discorso di protesta sociale in
nome della collettività. La distanza, per motivi diversissimi tra loro, di proletariato
e borghesia nera dal bebop, fa sì che i suoi attori si muovano in un contesto di
"solitudine totale".
Secondo Walter Mauro questo atteggiamento è pienamente consapevole
e consiste nel recuperare quel senso di "collettività nell'isolamento che era
stata la primordia condizione psicologica del negro sbarcato sulla Congo Square
di New Orleans dalle navi degli schiavi. La musica afro-americana assume così caratteri
di contemporaneità, più per esigenza di rinnovamento sociale che per un più arduo
processo di reinvenzione musicale…". [14]
Se è feconda l'idea di "collettività nell'isolamento", pare invece troppo ottimistica
l'affermazione secondo la quale i boppers fossero giunti ad un rinnovamento spinti
dalla loro condizione sociale; questa era il quadro di riferimento e aveva un numero
di implicazioni nella vita del musicista nero che si sono messe in evidenza, ma
il processo è comunque prima musicale che politico. Lo dimostrano le stesse biografie
degli artisti, che non hanno mai mostrato nelle loro parole di assumersi un impegno
oltre a quello musicale. Lo stesso Dizzy Gillespie fece abbastanza presto
delle tournées per il Dipartimento di Stato, prima di altri artisti bollati di "Ziotommismo"
come Louis Armstrong
(New Orleans, 4 ago 1901 – 6 lug 1971). La musica non
ha più una sua "funzione" come poteva essere lo Swing, adatto al ballo, eccetto
quella "emotiva ed estetica", quella che interessava i giovani intellettuali bianchi
e quei giovani neri che riuscivano a rimanere estranei alla cultura di massa americana.
[1] Allen Ginsberg, "Diario beat", introduzione di Barbara
Lanati, Roma: Newton Compton, 1979, p.224.
[2][2] Il cantante di blues, come portavoce della comunità, è da sempre il cronachista
degli avvenimenti che condizionano la vita già misera della sua gente; ecco allora
dei blues che parlano della crisi del '29, come Hard Times di Lonnie Johnson che
canta: "la gente strepita per i tempi duri, ditemi un po' che vuol dire,/ i tempi
duri non mi preoccupano, ero in bolletta quando sono cominciati/". Un blues degli
anni Trenta di Casey Bill invece prende come spunto la campagna di opere pubbliche
per dare lavoro ai disoccupati denominata W.P.A. (Works Progress Administration);
In "W.P.A. Blues", il protagonista è perseguitato da un'impresa di demolizione che
lavora in uno di questi cantieri per disoccupati; lui naturalmente è senza un lavoro
e non ha un centesimo; lo stato non aiuta poi molto i neri: "Quelli dell'agenzia
immobiliare si son fatti tutti acidi,/ non affittano più a chi vive del sussidio,/
E così lo so dovrò vagare per le strade notte e giorno,/ Perché arriva quella squadra
che distrugge case per conto della W.P.A/". Cit. da Alessandro Roffeni, "Il blues,
canti dei negri d'America", Milano: Edizioni Accademia, 1973, pp. 33, 131.
[3] Carles e Comolli, op.cit., p. 196.
[4]Philippe Carles, Jean-Louis Comolli, op. cit., p.209-211.
[5] Leroi Jones, "Il popolo del blues: sociologia dei negri americani attraverso
l'evoluzione del jazz", Torino: Einaudi, 1968, la prima edizione in lingua originale
è del 1963, pp.183-184. Il capitolo XII, qui ampiamente citato è fondamentale per
capire il bop e il jazz che da esso ha preso origine.
[6] Il termine "attivismo estetico" e altre interessanti considerazioni sul rapporto
tra Be bop e realtà politica ed economica americana sono in: Carles e Comolli, op.
cit. pp.193-214. Il capitolo in questione si intitola, significativamente: "La prima
rivoluzione nera".
[7] Dino Fabiani, "John Coltrane, il jazz e l'america", Milano: Gammalibri, 1983,p.61
esprime una valutazione in linea con quella di Carles e Comolli.
[8] Carles e Comolli, op.cit. p.208.
[9] Gli hipsters divennero una sorta di modello per gli anticonformisti americani.
Alla fine degli anni Cinquanta, i seguaci dei poeti "beat", riesumarono i vestiti
e le eccentricità dei primi seguaci del bebop. I beatniks, così erano chiamati i
nuovi ribelli, erano anch'essi ammiratori di Parker e del bop.
[10] Leroi Jones, op. cit., p.185.
[11] Ibidem, p.199.
[12] Definizione di Berndt Ostendorf, in: A.A.V.V., "Jazztoldtales" a cura di Franco
Minganti, Imola: Bacchilega Editore, 1997, p. 77.
[13] Eric J. Hobsbawm, op. cit., p.136. Qui lo storico inglese cita il lavoro di
Franklin Frazier Black bourgeoisie, lo studio più completo sulla borghesia nera.
[14] Walter Mauro, "Jazz e universo negro",Milano: Rizzoli Editore,1972, p.159.
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Data pubblicazione: 17/08/2007
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