La doppia coscienza afro-americana attraverso
lo spazio dialogico dell'improvvisazione jazz
di Linda de Flammineis
Un costante oscillare tra l'essere e il non essere sociale ha troppo a lungo
caratterizzato la condizione esistenziale afroamericana e la ricerca di una libertà
espressiva, attraverso cui affermare la propria distintività all'interno di quella
storia di oppressione ed opposizione che è la vicenda afro-americana, trova il suo
compimento e la sua sublimazione nella pratica jazzistica dell'improvvisazione.
Proprio il jazz, attraverso il popolo afro-amareicano,
ha il merito di riaffermare sullo scenario culturale, estetico e musicologico occidentale
il valore dell'improvvisazione, dopo quella lunga svalutazione nel periodo romantico,
teso alla esaltazione dell'ideale di autorialità, di opera fedele alla notazione
dell'autore. Essa incarna in maniera esemplare il luogo in cui la soggettività afro-americana
si guadagna la possibilità di affermarsi in forma creativa ed indipendentemente
da un modello preordinato di riferimento, in cui vivere ed affermare la libertà
di essere se stessi.
L'improvvisazione è emblematica della scelta di non dissolversi nell'uniformazione
a modelli culturali dominanti pur di vivere l'illusione di cancellare la propria
irriducibile diversità, ma è valorizzazione della propria irripetibile singolarità.
La ricerca di una libertà espressiva, però, non è fine a se stessa, né finalizzata
alla creazione di uno spazio culturale autonomo ed in opposizione rispetto al resto
della società; essa piuttosto si inscrive all'interno della problematica identitaria
afro-americana indicando la strada per la sua possibile risoluzione attraverso la
valorizzazione della dimensione dialogica quale aspetto centrale dell'esistenza
e della sua compiutezza.
All'interno del contesto socio-culturale afro-americano l'improvvisazione presenta
una carattere dinamico di domanda e risposta nei confronti della storia ed esperienza
di subordinazione vissuta nel quotidiano da questo gruppo umano. In essa, dunque,
si inscrive al contempo sia quanto subìto che quanto prodotto dagli afroamericani,
è conseguenza e reazione, capacità di rigenerazione psicologica ed identitaria in
un'unica entità; solamente il suo essere radicale convergenza tra momento compositivo
ed esecutivo, in cui è assente un percorso deliberativo, l'essere fortemente radicata
nella dimensione dell'estemporaneità fanno in modo che essa possa essere letta come
un'attitudine prodotta dal particolare sistema sociale, intriso di S, con cui i
neri americani si confrontarono costantemente e come il riflesso di una forma di
esistenza a cui è stato permesso di conoscere e di svolgersi unicamente nella dimensione
del presente, scisso tanto dalla consapevolezza del passato quanto dalla speranza
nel futuro come luogo di realizzazione in una irrimediabile e costante percezione
della propria precarietà, dove ciò che rimane è solo l'incertezza di un presente
in cui l'obiettivo è la sopravvivenza.
Lo stato di transitorietà include inevitabilmente la dimensioni del rischio e
dell'imprevedibilità che hanno connotato il percorso afro-americano a partire dal
periodo schiavile, dove la tensione alla sopravvivenza o la ricerca di una condizione
migliore, spesso induceva a spostamenti privi di agi o a mettere in pericolo la
propria vita, ma anche il periodo seguente quando nel pieno della segregazione per
molti uomini afro-americani era un compito estremamente arduo trovare un impiego
ed erano dunque indotti a lunghi viaggi in cerca di condizioni migliori, anche se
con scarsa possibilità di trovarle, ma con ampie possibilità di essere vittima di
pregiudizi razzisti.
Oltre
che nella concretezza del quotidiano quella del rischio è la dimensione in cui si
trova imprigionato il sentimento identitario afro-americano che, di fronte alla
privazione di riconoscimento, scivola nell'opacità di un'anima incapace di vedere
realmente se stessa. Proprio il costante rapportarsi con queste dimensioni del rischio,
dell'incertezza, di precarietà, hanno fatto sì che l'afro-americano sviluppasse
un decisa capacità di adattamento e di gestione dell'imprevisto, dell'inatteso e
che viene tradotta attraverso l'improvvisazione in forma d'arte; una forma d'arte
dotata di profonda sincerità, un alto grado di comunicatività e che trova il suo
valore nel suo svolgimento e non come prodotto finito. Il valore infatti scaturisce
proprio da quello svolgersi da parte della performance musicale unicamente nel presente
producendo nuove idee musicali mentre si suona e non definendole precedentemente
al momento performativo, ma trovando sempre nuove soluzioni di fronte a ciò che
emerge dalla propria interiorità in maniera istantanea e quindi definendo volta
per volta, di fronte alle esigenze del momento, la forma e il percorso del materiale
sonoro. Così, la performance stessa viene a svolgersi sotto il segno del rischio,
includendo al suo interno la possibilità dell'errore che può diventare il luogo
attraverso cui passare per continuare a produrre nuove idee.
Ma se nell'improvvisazione emerge ciò che si è subito, nonché la tensione ad
affermare una capacità di autonomia nel gestire la propria esistenza che secoli
di schiavitù, segregazione e ghettizzazione avevano cercato di annullare, c'è anche
qualcosa di ancora più profondo di cui essa si fa espressione: si fa emblematica
di una volontà di ricomporre i frammenti della propria identità recuperando alla
propria sfera esistenziale quelle dimensioni umane di scambio e di confronto, necessarie
ad un'identità che non sia compromessa o danneggiata; essa è il modo attraverso
cui reagire alla privazione delle condizioni che permettono di definire un'identità.
Tale privazione coincise con l'impossibilità di fare riferimento, per molto tempo,
ad un sistema di valori ed una tradizione sulla base del confronto con la quale
poter procedere in una definizione di ciò che significa essere afro-americano ed
inoltre con quell'impossibilità di esprimere e comunicare se stessi in un contesto
che ne nega la libertà ed il proprio valore di esseri umani.
Nel contesto statunitense, infatti, il colore della pelle, sin dalle prime forme
di deportazione di uomini di origine africana, viene ad assumere il valore di contrassegno
biologico incancellabile che, non si limita ad attestare una diversità, ma diviene
sinonimo di disuguaglianza e di inferiorità. Sulla base di questa diversità, inaccettabile
per la società, i neri perdono definitivamente la possibilità di godere di un riconoscimento
di valore in quanto esseri umani e di essere considerati nella propria singolarità;
la corporeità, in nome del colore della pelle, ha fatto sì che i neri subissero
una delle più dure condanne, ossia il divenire assolutamente indistinguibili ed
intercambiabili, tutti valutati indistintamente unicamente in base alla forza lavoro.
L'essere neri, dunque, è stato il presupposto su cui operare una rigida dicotomizzazione
della società e così, mentre l'essere bianchi diveniva garanzia di piena aderenza
al genere umano, una certezza di riconoscimento di valore e di rilevanza sociale,
al contrario, per gli uomini di origine africana la propria costituzione biologica,
diveniva il presupposto per un' assoluta invisibilità sociale ed indifferenza, quando
non disprezzo, da parte del contesto circostante nei confronti delle proprie potenzialità.
L'insignificanza
sul piano sociale e delle relazioni che l'afro-americano sentì come la propria dimensione
è alla radice di quella lacerazione identitaria descritta dal primo sociologo afro-americano
W.E.B. Du Bois (William Edward Burghardt Du Bois: February
23, 1868 – August 27, 1963) in termini di doppia coscienza, ossia
un'alterata e parziale percezione di sé ed il sentire il proprio essere neri ed
al contempo americani come due condizioni inconciliabili, la cui coesistenza si
trasforma inevitabilmente in dolore. Il nero è al contempo presente e assente dal
tessuto sociale americano e la sua assenza è data dal suo essere fuori dal circolo
di riconoscimento. In nome del suo colore è destinato a permanere in uno stadio
intermedio di presenza ed assenza al contempo, dove la presenza si risolve tutta
in una ingombrante fisicità oggetto di disprezzo, per via del colore, e l'assenza
nell'indifferenza che questa genera.
Il confrontarsi costantemente con un'aberrante politica del pregiudizio e della
discriminazione istituzionalizzata, fedelmente accompagnata da violenza e brutalità,
in una società in cui l'africanità è oggetto di disprezzo, oltre che di sfruttamento
intensivo, questa, nel momento in cui è sentita come radicalmente propria, non può
che essere motivo di un logorante conflitto interiore di fronte all'esigenza di
metabolizzare anche la propria appartenenza all'America.
La doppia coscienza può essere descritta, dunque, come quel sentirsi contemporaneamente
dentro e fuori le regole e i diritti della società moderna e degli stati in cui
vennero deportati. Si determinò, così, in loro un senso di appartenenza ad
un luogo diverso da quello di residenza, con quell'altrove coincidente con l'Africa
sospesa, in una dimensione oscillante tra il reale e l'immaginario; l'immagine di
se stessi che ne scaturì non poteva non essere contaminata dall'incombente sguardo
dell'altro che, colmo di odio razziale, imprigionava le sue vittime in una parziale
e compromessa possibilità di prendere coscienza dei propri talenti e definire la
propria identità.
Ne discesero fondamentalmente due atteggiamenti correnti: uno che può essere
definibile una vera e propria mentalità da schiavo, dove si tende ad assecondare
l'oppressione, sentendo di meritare l'emarginazione e l'altro in cui si sviluppa
la tensione ad assimilarsi il più possibile alla cultura dominante, nell'illusione
di ottenere una maggiore considerazione sociale.
Ma come aveva già compreso lo stesso Du Bois, all'alba del ventesimo scolo, secoli
trascorsi nell'ombra del mondo bianco, dotarono, al contempo, gli afro-americani
di una insolita acutezza, un'abilità nel vedere oltre ed al di sotto della superficie
degli oggetti attraverso la quale si rende possibile la presa di coscienza delle
proprie possibilità e si trova la chiave per la loro affermazione.
Ed è proprio qui che si colloca il valore dell'improvvisazione jazz nel saper tradurre
la doppia coscienza da privazione a valore aggiunto.
L'improvvisazione jazz, infatti, si fonda sull'idea che ciò che conta non è il
materiale musicale o i contenuti già dati, ma il modo in cui tali contenuti sono
attualizzati nel corso della performance, ossia la maniera in cui vengono dotati
di significato. In essa, infatti, essendovi superamento della dicotomia, presente
in gran parte della musica occidentale, tra la figura del compositore e dell'esecutore,
quest'ultimo ha comunque la possibilità di permeare il brano scelto delle proprie
idee, della propria sensibilità ed emozioni. Infatti, pur suonando un brano, che
in origine non è di propria composizione, esso non viene eseguito cercando di riprodurne
il senso originario, ma se ne cerca un nuovo senso ed il tutto avviene nella dimensione
dell'estemporaneità; il brano viene decostruito per poi essere ricreato e ricontestualizzato
secondo il punto di vista che il musicista vuole esprimere in quel preciso momento
storico.
Emerge, così, la volontà e allo stesso tempo la possibilità di consegnarsi all'altro
in assoluta sincerità, quella sincerità che è propria dell'immediatezza, di vivere
il confronto con l'altro; Il momento improvvisativo, infatti, implica il momentaneo
autonomizzarsi da standard procedurali per volgere in un ascolto di ciò che sgorga
dalla propria interiorità assecondandone l'intensità del fluire, la pluralità ed
a volte il disordine delle emozioni che le sono proprie e che vengono tradotte in
gesti musicali di grande potenza comunicativa e consegnandosi, così, in assoluta
sincerità all'altro da sé.
In questa proposta di dialogo, che è l'improvvisazione, si realizza un ideale
di libertà nel suo significato più ampio che, al contrario di come spesso è stata
interpretata, è tutt'altro che una libertà sovversiva che in sé possiede il germe
della rivoluzione nera; questa pratica non coincide con una forma anarchica di affrancamento
da ogni vincolo, luogo in cui i neri americani avrebbero potuto produrre una cultura
radicalmente propria ed il più possibile libera da condizionamenti esterni, ma al
contrario, la libertà di cui i musicisti jazz si sono dotati attraverso l'improvvisazione
è una libertà situata, che libera perché permette di esprimere significati che non
hanno valore solo per sé, ma per l'intero contesto socio-culturale di cui si è parte.
Una libertà, dunque, che rispecchia la costitutiva situatezza dell'uomo e che
non può essere concepita in termini di assoluta indipendenza rispetto alla realtà
in cui quest'ultimo è inevitabilmente radicato, non ha la pretesa di annullare il
contesto circostante, ma garantisce la possibilità di vivere, interagire e confrontarsi
col sistema di cui si è parte.
L'improvvisazione, infatti, non è una pratica meramente istintiva; se da un lato
la struttura di un'improvvisazione non è mai progettata in anticipo, ma si rivela
nel corso della performance stessa, dall'altro questa ha luogo sempre in riferimento
a materiale proprio della tradizione musicale. Sicuramente è vero che l'improvvisazione
coincide con immediatezza decisionale, ma non è un creare dal nulla; perché essa
si dia è necessario che si conoscano profondamente i materiali tradizionali, che
si possieda una estrema padronanza dello strumento. Solo la pratica e l'esperienza
possono garantire tale immediatezza.
Come in un percorso da compiere non si può procedere ad occhi chiusi, se non
attraverso la conoscenza dettagliata dello spazio in cui bisogna muoversi, così
non si può improvvisare indipendentemente da un'estrema familiarità e conoscenza
della dimensione musicale in cui si opera. La tradizione necessaria all'improvvisazione
si riassume in diversi elementi che vanno dallo stile a cui ci si ispira
al repertorio di brani, ma anche elementi tecnici quali la melodia, la struttura
armonica, ritmica, nonché l'atmosfera che un brano suggerisce che può essere soggetta
ad una trasformazione più o meno evidente. Inoltre il rapporto con la tradizione
è anche rapporto con i predecessori, con ciò che questi ultimi hanno già musicalmente
modificato della stessa, si entra cioè in dialogo con quanto altri hanno già espresso
su determinati elementi della tradizione; un confronto da cui scaturiscono inevitabilmente
elementi nuovi.
La tradizione è resa dall'improvvisazione l'orizzonte di possibilità con il quale
confrontarsi al fine di esprimere e modellare l'individualità, una sorta di materia
prima da plasmare per dar vita alla creazione artistica esprimendo ed armonizzando
con essa il proprio più intimo sé. Così l'improvvisazione jazz porta ai massimi
vertici espressivi la pratica afro-americana del signifyn'g, quella strategia
di rovesciamento del potere attraverso la ripetizione con la differenza che, sin
dai tempi della schiavitù, ha rappresentato il modo per celare il proprio punto
di vista da schiavo e di discendente africano dietro forme accettabili dalla società
bianca occidentale, che vengono, però, vissute secondo il proprio modo di essere
e di sentire.
Nel jazz la ripetizione nella differenza propria del signifyn'g si traduce proprio
in quella decostruzione e ricontestualizzazione di materiali della tradizione che
avviene attraverso l'improvvisazione; è dialogo con il materiale della tradizione
dove il suo senso è sottoposto ad una rilettura ed ad un' inevitabile metamorfosi.
Tale dinamica di appropriazione e trasformazione del senso si ricongiunge direttamente
all'immagine simbolica della doppia coscienza descritta da Du Bois, ossia l'essere
al contempo dentro e fuori la tradizione e l'identità americana. Si è dentro perché
si opera su quella tradizione, ma si è allo stesso tempo fuori perché le si da un
nuovo senso che si origina dal punto di vista di un uomo che ha alle sue spalle
emarginazione, schiavitù ed ancora qualche legame con l'Africa.
Tutta l'ambivalenza dell'identità afro-americana si condensa nella pratica del
signifyn'g, in quel sentimento di medesimezza e irriducibile diversità al contempo
e nella dialettica tra il legame con la tradizione e tensione all'individualizzazione.
In questo costante rapportarsi alla tradizione, proprio dell'improvvisazione, emerge
un altro aspetto del concetto di doppia coscienza di Du Bois, ossia quella necessità
di mascherarsi dietro contenuti accettabili dalla società americana, ma al contempo
utilizzare quella maschera per affermare la sua diversità e garantirsi la sopravvivenza.
Infatti se qui si estrinseca l'essere al contempo, da parte dei neri, dentro e fuori
il sistema sociale americano, si rende evidente anche la volontà di superare tale
dicotomia.
Dato tale tipo di legame con la tradizione è dunque possibile dedurre che nell'improvvisazione,
pur manifestandosi una volontà di esprimere la propria interiorità ed il proprio
particolare punto di vista, ciò non avviene nel tentativo di trascendere radicalmente
l'influenza altrui, né la tradizione va intesa come rigido vincolo alla propria
creatività. La tradizione è lo sfondo con il quale il musicista si confronta; essa
viene interrogata, talvolta provocata o diviene oggetto di ammirazione esprimendo,
così, il proprio modo di vivere e di concepire l'ordine di cui si è parte.
Inoltre, frequentemente, l'insieme degli elementi tradizionali cui si attinge sono
propri della cultura euro-americana, essi sono per lo più il frutto di compositori
bianchi che possono essere considerati gli iniziatori della tradizione del musical
americano.
In
questo attingere alla produzione musicale, prettamente americana, per dare il via
al proprio processo creativo, si rende evidente la forte eterogeneità di elementi
musicali del jazz che è fortemente relazionata all'eterogeneità dell'esperienza
culturale afro-americana; da ciò è possibile dedurre che il vero significato del
jazz e dell'improvvisazione, si distanzi dall'obiettivo dei movimenti nazionalisti
neri che ambivano alla creazione di uno spazio culturale radicalmente nero, contrapposto
ed in lotta con quello dei bianchi americani (di cui l'esempio più estremo è rappresentato
dall'organizzazione settaria della "Nation of Islam" a cui aderì il leader
afro-americano Malcom X (Omaha, Nebraska, 19 maggio 1925
- New York City, New York, 21 febbraio 1965)); tale organizzazione aveva
come fine la creazione, all'interno degli Stati Uniti, di una nazione esclusivamente
nera e filoislamica, dove l'islamismo rappresentava l'elemento di rottura con il
resto della società ed evocava l'appartenenza all'Africa riproducendo forme di razzismo
verso chi non ne era membro.
Il messaggio più profondo del jazz è, al contrario, la proposta di un dialogo
che superi le barriere razziali. Improvvisare sulla tradizione coincide con un'interazione,
su un piano di parità, con quell'alterità che viene ad identificarsi con la dimensione
culturale euro-americana; è possibilità di prendere posizione di fronte ad essa,
di esprimere il proprio punto di vista in libertà e rendendosi, così, possibile
per il nero americano il superamento della lacerazione identitaria, descritta da
Du Bois, attraverso il concetto di doppia coscienza.
La propria psiche viene liberata dall'assedio esercitato su di essa dal punto
di vista dell'oppressore ostacolante una reale consapevolezza di sé; al contrario
l'oppressore perde i caratteri che lo rendono tale permettendo alla dolorosa dualità
di elevarsi allo stato di una sintesi superiore che è quella di un'identità la cui
ricchezza e fertilità è data dall'armonia della pluralità degli elementi culturali
che la animano.
Il jazz ha posto al suo centro la questione della libertà ed ha garantito uno spazio
in cui viverla e comprenderla nella sua vera essenza, attraverso un invito a prendere
atto di diversi modi di vivere e concepire l'ordine. Tale ricerca della libertà,
nell'improvvisazione jazz, coincide con la ricerca di una forma migliore di società;
infatti agendo su ciò che è condiviso il musicista jazz riesce a guadagnarsi quel
riconoscimento a lungo negato, a ritagliarsi uno spazio dialogico in cui si realizzano
legami altrimenti impossibili. Egli riesce a trovare la possibilità di fare delle
considerazioni, di articolare gli universi di senso che lo trascendono, proponendo
al mondo il proprio senso ed ottenendo la possibilità di apparire e distinguersi
sullo spazio pubblico, in una specificità che si origina dalla sua stessa costituzione
corporea e che però non annulla, ma si ricongiunge, all'alterità.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
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Davide Sparti, Il Corpo Sonoro. Oralità e Scrittura nel Jazz, Il Mulino, Bologna,
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Charles Taylor, Il disagio della modernità, Laterza, Roma/Bari, 2002.
Stefano Zenni, I segreti del jazz, Nuovi Equilibri, Viterbo, 2007.
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Data pubblicazione: 20/08/2010
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