L'improvvisazione jazz come esperienza del raccontarsi
di Linda de Flammineis
John Coltrane
tecnica mista su carta abrasiva cm20,3x27,3
Mauro Angiargiu
In nome di quell'intreccio che nell'improvvisazione jazz si realizza tra sé, l'altro
e il mondo, si rende evidente come in essa si realizzi quella che si definisce
esperienza del raccontarsi;
quel superare i limiti della propria individualità, predisponendosi ad includere
l'altro nell'atto creativo, conferisce ad essa tale carattere, permettendole di prendere
le distanze da un'arida narrazione meccanica.
Nell'improvvisazione, infatti, l'alterità cui ci si rivolge, oltre ad essere quella
che si trova fuori di sé, coincidente tanto con la tradizione, quanto con gli altri
componenti della band o con il pubblico, è quella che il soggetto trova in
se stesso ed è il dialogo costante con essa che fa sì che il percorso creativo si
traduca al contempo in una comunicazione autentica ed in una reale occasione di
crescita.
La differenza tra le due forme narrative è la stessa esistente tra il musicista
jazz che improvvisa ed un musicista che, al contrario, si attiene rigorosamente
alla notazione; quest'ultimo si concentra sopratutto sull'abilità comunicativa,
sulla forma della comunicazione di un prodotto, ma non fa esperienza della propria
identità, permanendo, così, inalterato.
Sono i due momenti del tentare e sottostare, essenziali in tale pratica,
a fare in modo che essa, invece, possa incidere profondamente sulla sfera identitaria;
essendo l'improvvisazione convergenza tra il momento compositivo ed esecutivo, priva
di una progettazione, ma esplicantesi nell'istantaneità, tutto si svolge attraverso
il tentativo di trovare nuove soluzioni e la sottomissione ai percorsi che da esse
vengono indicati.
Il jazzista se non ha la possibilità di retrocedere per la correzione, può però
reagire a quanto già prodotto ed ogni risposta ad esso crea un ulteriore spunto,
al quale deve sottostare se vuole procedere ancora oltre e se vuole farlo su una
linea di continuità; entra in dialogo con se stesso, interrogandosi e cercando sempre
nuove risposte.
I due momenti del tentare e sottostare equivalgono a lasciar fluire ciò che proviene
dalla propria interiorità ed elaborarlo al fine di dar vita ad un autentico momento
creativo in cui si oltrepassano i limiti di ciò che è già noto.
Così tale raccontarsi che è l'improvvisazione fa sì che si riveli una propensione
al sociale già nella dimensione del sé.
Nel disporsi all'ascolto di ciò che emerge dal profondo di se stesso, la soggettività
del musicista si traduce in alterità prossima al sé; quest'ultimo legge i caratteri
impressi nel sé dall'esperienza della propria esistenza e nell'atto di raccontarli
li rapporta al suo presente, al contesto sociale in cui è radicato e con il quale
inevitabilmente si confronta; è così che conferisce ad essi una nuova forma, riorganizzando
le gerarchie di ciò che è significativo per se e che per questo caratterizza. Il
jazzista ponendosi all'ascolto delle sue convinzioni le mette in gioco rispetto
al suo presente; come spiega
John Coltrane,
il musicista perde e trova la sua identità allo stesso tempo:
"Non c'è mai fine. Ci sono sempre nuovi suoni da immaginare, nuovi sentimenti da
cogliere.
E sempre c'è il bisogno di continuare a purificare questi sentimenti e suoni in
modo che noi
possiamo veramente vedere quello che abbiamo scoperto nel suo stato puro.
In modo che noi possiamo vedere sempre più limpidamente quello che siamo. In questo
modo
noi possiamo dare a chi ascolta l'essenza, il meglio di quello che siamo.
Ma per fare tutto questo dobbiamo continuamente pulire lo specchio."
Tutt'altro che processo puramente germinale, l'improvvisazione appare, dunque, come
il luogo in cui si esplica la capacità autoriflessiva dell'uomo, la sua disponibilità
a ricontestualizzarsi che implica il rifiuto di un'identità stabile e volta ad una
sterile riproduzione sempre di se stessa.
Al contrario essa è emblematica della moderna necessità di far fronte alla sempre
maggiore molteplicità e diversificazione delle cerchie sociali di cui siamo parte,
della maggiore mobilità che le caratterizza, dove si rompe l'intreccio tra nascita,
collocazione, destinazione ed identità, lasciando che questa divenga sempre più
provvisoria e mobile e dove ciò che appare indispensabile, affinché questa non sia
banale, non è sapere da dove si viene, ma come si è capaci di gestirsi di fronte
alla varietà ed all'incessante divenire delle situazioni a cui siamo inevitabilmente
esposti.
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Data pubblicazione: 24/10/2010
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