Giorgio Rimondi
Il suono in figure - Pensare con la musica
2008
Scuola di cultura contemporanea, Mantova
Questo 2008 si è rivelato ricco di
pubblicazioni sul jazz. Ad onta della recessione imperante, il mercato editoriale
legato alla nostra musica preferita non solo non ha mostrato segni di cedimento,
ma vive un pieno fermento. Molti sono i testi che puntano a una visione d'insieme
del jazz nel suo vissuto novecentesco come il già recensito libro di Filippo
Bianchi Il secolo del jazz o
il mio Jazz! Appunti e note del secolo breve.
La mostra tenutasi al Mart di Rovereto - curata da Alan Soutif - autore della
prefazione al libro di Bianchi - ha poi acceso i riflettori sul connubio arte-jazz
con una ricchezza di risvolti sicuramente impensabili ai non addetti ai lavori e
suggellato definitivamente il matrimonio tra il secolo da poco terminato e la musica
nera. In questa temperie culturale si inserisce il lavoro di Giorgio Rimondi,
un veterano dell'approccio culturale al jazz.
Giorgio Rimondi insegna Letteratura italiana
a Ferrara, ma da anni analizza la jazz fiction e la cultura afroamericana producendo
studi notevolissimi come Jazz Band. Percorsi letterari fra avanguardia, consumo
e musica sincopata, (1994) e La scrittura
sincopata. Jazz e letteratura nel Novecento italiano (1999),
per finire con il recente Amiri Baraka. Ritratto dell'artista in nero (2007),
curato assieme a Franco Minganti.
Questo nuovo lavoro parte da alcuni nodi concettuali forti: il jazz come
antropologia oltre che come vettore di una riflessione filosofico-estetica sulle
arti. Superate le usuali trappole interpretative Rimondi innanzitutto punta a ripensare
il jazz, sfruttando tutte le risorse culturali a disposizione per leggerlo come
fenomeno complessivo con criteri di analisi che superano la divisione in stili (swing,
bop, free) o la loro gerarchizzazione temporale (il new orleans viene prima dello
swing che viene prima del bop). Nella musica afroamericana si possono invece leggere
delle persistenze, per l'autore figure di lunga durata (presenza delle blue
notes, memoria visiva, il continuum della vocalità, il double talk, le filosofie
dell'improvvisazione con la loro pratica sociale, comunitaria) alla cui luce vanno
ripensate le vicende estetiche afroamericane.
Da Marx ad Adorno, da Baraka a Rilke, da Parker a Lévi-Strauss il jazz
viene smontato e rimontato utilizzando gli attrezzi culturali messi a disposizione
dal Novecento: il rapporto con la nascente analisi psicanalitica, l'interpretazione
sociologica ed economica. I riferimenti calzanti e spesso inediti ai massimi intellettuali
italiani, europei ed americani del Novecento che si sono occupati di Jazz. In mezzo
al tourbillon di celebrazioni dedicate al Futurismo la ricerca di Rimondi
accende i riflettori sull'apprezzamento che molti esponenti illustri del futurismo
(come Carlo Belli) muovevano al jazz. Un approccio volto a valorizzare sempre
l'aspetto meno noto, a problematizzare i temi, a trovare le schegge di modernità
(titolo di un altro notevole capitolo) negli intellettuali, in particolare quelli
più lontani cronologicamente della prima metà del secolo scorso. Valga ad esempio
il discorso sul "femminile nel jazz", che partendo da Freud conduce questo argomento
verso lidi lontani, valendosi della miglior letteratura mondiale sul tema:
Ma se, in conclusione, riconoscere che l'Africa e le donne condividono lo stesso
spazio simbolico e lo stesso potere generativo è forse possibile, chissà quanti
ammetterebbero che nella comune passione jazzistica si rifletta qualcosa della nostra
più intima, e oscura, femminilità…
Questa provocatoria affermazione germina nel capitolo successivo, l'altra
metà del jazz, dove viene indagata secondo varie angolazioni la presenza delle
donne nell'universo musicale afroamericano: negata e misconosciuta secondo qualche
ricercatrice quella delle musiciste, importante invece quella delle cantanti; spesso
fondatrici di una etica alternativa e oppositiva, come è il canto di Billie Holiday
secondo Angela Davis e Farah Griffin o quello di Bessie Smith
per Jackie Kay. Tre critiche, tre intellettuali di vaglia, prive di una specifica
esperienza in campo jazzistico quindi portartici di un'ottica non musicologica,
alle prese con artiste donne. Il libro si compone di due parti, nella prima,
i monologhi l'autore fissa le sue idee lasciando alla seconda, quella dei
dialoghi il confronto e la discussione con artisti ed intellettuali del calibro
-per fare qualche nome- di Angela Davis, Amiri Baraka, Daniel Harding
e Giampiero Cane: ne vien fuori un avvincente diario a più voci.
Personaggi di assoluta rilevanza, tra i quali alcuni, come il filosofo
Christian Béthune con la sua interpretazione filosofica dell'Adorno critico
di jazz o l'antropologo Jean Jamin, non sono usuali nella letteratura jazzistica
italiana. E' questo per me il pregio di questo lavoro di Rimondi: il suo amore per
il jazz lo spinge a cercarlo anche dove non penseremmo mai di trovarlo e questo
soddisfa stimoli intellettuali in maniera copiosa…
Franco Bergoglio per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 28/03/2009
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