Richard Cook
Miles live e in studio
Quattordici album fondamentali
Il saggiatore 2008
Non c'è fan che ignori quanto la discografia di Miles Davis sia
un labirinto inestricabile, specialmente se manca un opportuno Virgilio a indicarci
la strada per i sette passi verso il paradiso (*), mentre si sta rovistando nello
scaffale di un negozio o surfeggiando in internet.
Proprio questo 2009
ha visto il cinquantesimo compleanno di Kind Of Blue (1959),
capolavoro assoluto del periodo modale di Davis e, a detta di molti, del jazz di
sempre. Un disco che mette stranamente d'accordo tutti: ascoltatori, critici e musicisti.
La casa editrice
Il saggiatore,
che a suo tempo ha pubblicato il lavoro di Ashley Kahn Kind Of Blue
(2003) indagine esclusiva di quel masteripece
davisiano, replica e completa idealmente l'opera con l'edizione italiana di questo
libro di Richard Cook (1957-2007),
critico musicale e coautore insieme a Brian Morton della monumentale The
Penguin Guide To Jazz Recordings (1992),
un must per i collezionisti -praticamente il Mereghetti del jazz- con esaustive
discografie cronologiche di centinaia di artisti e migliaia di dischi censiti. Un
catalogo che possiede un indice in appendice così completo da permettere incroci
e confronti, delizia degli eruditi.
Solamente un Richard Cook, forte di una simile esperienza, poteva
scoperchiare la vastissima discografia di Miles Davis e illustrare attraverso
quattordici incisioni topiche i momenti di snodo nella sua carriera, con lo slancio
a creare un'arte ogni volta diversa, ogni volta nuova. La maledizione a cambiare
secondo la celebre affermazione del trombettista. Un continuo forzare gli stili
già esistenti il (bebop, l'hard bop), crearne di nuovi (modale, jazz-rock) o a confrontarsi
con i patrimonio della black music più attuale (funk, rap).
In ciascun capitolo Cook racconta la realizzazione di un singolo
disco e ci fa penetrare la mentalità dell'uomo e l'estetica del musicista: l'abilità
camaleontica nel cambiare approccio, il fiuto inarrivabile nello scoprire nuovi
talenti. Cook segue Davis (mai gratuitamente complice) nella sua attività live
e nel lavoro in sala d'incisione. Il pregio del libro di Cook consiste appunto nel
caricarsi l'onere e la responsabilità di guidarci nello scegliere le opere
meritorie dal corpus davisiano.
Ovviamente alcune delle proposte fanno (e faranno) discutere: per esempio
Cook è assai duro con il Miles Davis del periodo "Marcus
Miller" e un suo severo giudizio sul celebre disco
Tutu rovescia alcuni luoghi comuni inerenti la
rinascita artistica del nostro. Certo, il tempo ha già giustiziato i boatos
della critica compiacente che ha spesso inneggiato al "capolavoro" quando si trattava
di normale routine; è diverso poi analizzare Birth of the
cool (1948) o
Amandla (1989).
Sul primo la storia si è incaricata da tempo di riservagli uno spazio congruo, ma
le distanze spazio - temporali tra i due lavori sono siderali. Il buon Cook
alla fin fine non si è assegnato un compito davvero improbo: 14 dischi non sono
un numero tale da scoraggiare un pigro neofita; ma neanche così pochi da non rendere
giustizia all'arte del divino Miles.
(*) Gioco di parole con Seven Steps To Heaven, disco di Davis
del 1963.
Franco Bergoglio per Jazzitalia
25/03/2010 | Hal McKusick si racconta. Il jazz degli anni '40-'50 visti da un protagonista forse non così noto, ma presente e determinante come pochi. "Pochi altosassofonisti viventi hanno vissuto e suonato tanto jazz quanto Hal Mckusick. Il suo primo impiego retribuito risale al 1939 all'età di 15 anni. Poi, a partire dal 1943, ha suonato in diverse tra le più interessanti orchestre dell'epoca: Les Brown, Woody Herman, Boyd Reaburn, Claude Thornill e Elliot Lawrence. Ha suonato praticamente con tutti i grandi jazzisti tra i quali Art Farmer, Al Cohn, Bill Evans, Eddie Costa, Paul Chambers, Connie Kay, Barry Galbraith e John Coltrane." (Marc Myers) |
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Data pubblicazione: 20/08/2009
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