Intervista a Greta Panettieri maggio o2015 di Laura Scoteroni Foto di Pasquale Fabrizio Amodeo
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Greta Panettieri è una vocalist di classe, dopo l'esperienza
americana durata 11 anni, è ritornata in Italia, con tanti progetti musicali, tra
i quali l'ultimo cd uscito nel 2014 dal titolo
"Non gioco più" (Italian '60 in jazz), nel quale omaggia Mina con un sound
nuovo e originale. Dotata di una estensione vocale che le permette di modulare con
scioltezza il timbro dal vellutato al ‘registro fischiato', la cantante-autrice
si muove connaturale sinuosità tra jazz, soul, bossa nova, pop. L'abbiamo incontrata
in occasione della sua tappa a Napoli dove si è esibita in quintetto, nell'ambito
dei suoi concerti in giro per la penisola, ponendogli qualche domanda.
Che tipi di studi hai fatto?
In realtà ho iniziato con la musica classica, con il violino, ho studiato per un
po' al conservatorio poi è arrivato anche il pianoforte. Però cantare è sempre stato
‘nelle mie corde', come si dice. Ho iniziato a cantare abbastanza presto, mi ero
iscritta ad un corso di pianoforte jazz a Perugia e, sentendomi cantare, il mio
maestro di piano mi ha detto ‘facciamo che io suono il pianoforte e tu canti' e
da lì è cambiato tutto. Non è certo questo il motivo per cui ho iniziato a cantare,
ma tutto parte dalla scoperta di una grandissima passione, perché da lì ho iniziato
a scoprire il jazz con la foga dell'adolescenza, a gran velocità. A vent'anni ho
vinto la borsa di studio per andare a Boston, ma sono andata a New York; ci sono
andata perché avevo già fatto gli studi classici per gli strumenti, diciamo che
l'approccio al jazz scolastico è bellissimo e sicuramente importante, però avevo
più voglia di altro, oltre al fatto che, comunque, la Berklee School di Boston
è una scuola molto costosa, anche con la borsa di studio.
Come hai fatto? Hai deciso così su due piedi?
Sono andata a New York con il mio zainetto in spalla per rimanere un mese e mezzo,
mentre sono passati undici anni.
Questa scelta è stata un naturale ingresso nel mondo internazionale,
in particolare quello americano, dove hai avuto un contratto con la Universal ?
Inizialmente New York, più che gli Stati Uniti, è una città che ti offre tantissime
occasioni, è molto dura, non è assolutamente facile; però è una città che ti permette
di provare ad essere te stessa e andare alla ricerca di quello che tu vuoi. Sicuramente
c'è un gran giro di persone, quindi alla fine prova che ti riprova, magari qualcuno
che ti sente, arriva. Ho fatto questo contratto facendo un'audizione, ovviamente
sono passati due anni prima della firma, però è una cosa che non succede così facilmente
nel resto del mondo.
Ora che sei rientrata, quale differenza c'è tra il modo
di fare musica in America e in Italia?
Il modo di fare musica è abbastanza simile, purtroppo il business è molto diverso.
L'esperienza di più di dieci anni all'estero mi ha formato, quando sono andata via
ero una bambina, magari anche per quello mi sentivo esclusa dalla scena, per cui
c'è anche una dedizione giusta in questo senso. Però qui è un po' più complicato,
bisogna iniziare a far parte di alcuni circuiti, bisogna affermarsi in qualche modo,
mentre New York è molto meritocratica, quindi se vali vai avanti, altrimenti non
c'è sbocco: è una città molto dura, ma anche molto sincera. Un aspetto che in Italia
non c'è. Poi, ovviamente, si riescono a fare le cose e sono contenta per il mio
ritorno; in questo la mia posizione si sta evolvendo, però sicuramente la differenza
è che qui bisogna avere un network attivo, mentre lì esci di casa e puoi incontrare
delle persone, qui, invece, te le devi andare a cercare.
Tra le tante collaborazioni con i musicisti che hai avuto,
quale ti ha lasciato il segno?
Ce ne sono tantissime, anche con musicisti meno famosi, anche qui in Italia, sicuramente
lavorare con Gegè Telesforo è stata una grandissima soddisfazione, anche perché
ci troviamo abbastanza bene. Io sono partita con ‘Doc' che è stata una trasmissione
che è servita ad avvicinarmi al jazz nel momento in cui l'ho scoperto, quindi tornare
in Italia e trovarmi a lavorare con Gegè è un onore. Gegè ha un grande merito che
è tra i pochi ad essere aperto alla novità: è bastata una email, nessuno me lo aveva
presentato, a incuriosirlo e mi ha invitato a fare una jam a casa sua. E' bastato
un click per iniziare una collaborazione che va avanti tutt'ora, infatti c'è un
grande disco che sta facendo Gegè di cui io faccio parte in veste di autrice. Poi,
ci sono stati tanti americani e tanti brasiliani, sicuramente Meredith Harrington
che è stata una persona molto positiva, lei è la batterista di
Herbie Hancock, Mitchel Forman che ho conosciuto solo tramite
mail. Ma ci sono collaborazioni che sono avvenute un po' sulla distanza, come quella
con Larry Williams e, tra i brasiliani, Paulo Antonio Braga.
Tra jazz, bossanova e questo pop rivisitato, qual è quello
che ti senti calzare meglio?
In realtà è difficile dirlo, perché la musica a me piace quasi tutta. Io credo di
appartenere a un genere, ma non ti voglio dare una definizione o un giudizio, perché
io credo che sia restrittivo per me. Per esempio mi piace anche la musica folklorica,
la musica napoletana, perché può esserci una cosa che ti piace cantare anche se
fai jazz, può benissimo esserlo così il funk, la musica brasiliana. La musica brasiliana
è infinita, ha una quantità di sub-generi così come il jazz, dove c'è stata la contaminazione
funk, l'avanguardia, l'elettronica. Miles Davis se gli dicevi che faceva
jazz era capace di alzarsi e picchiarti ed andarsene: dopo ‘Birth of the Cool'
non ne voleva più parlare. Credo che bisogna alla fine trovare la propria voce,
personalizzarsi, esprimersi. A me non va di ghettizzarmi, voglio provare a trovare
una linea espressiva.
Tre brani della tua vita cui sei legata?
‘Night in Tunisia' è uno dei miei primi brani, anche se difficilissimo, quando
l'ho sentito ho detto: io questo sono, poi banalissimamente ‘La Garota
de Ipanema', ‘La Ciga Plastica ‘ di Ugo D'Leon. Me ne sono appena venute
in mente altre cento!
Prossimi progetti musicali?
Siamo in uscita con un singolo tratto da ‘Non gioco più' che è ‘Un anno
d'amore' nella versione originale francese. Questo progetto lo stiamo lanciando
anche in Francia ed uscirà il mese prossimo. Sono già al lavoro con Andrea che è
il mio partner, compagno di vita e di musica, il pilastro della mia vita, sia personale
che musicale, siamo già a otto inediti per il prossimo album, che probabilmente
uscirà o alla fine di quest'anno o all'inizio del prossimo.
Su cosa verterà? Jazz o altre sonorità?
Sicuramente la sonorità sono più jazz, rispetto a quelle americane che sono più
funk-soul, diciamo tra ‘Non gioco più' che è stato il nostro album più jazz
e ‘Greta's Bakery'; ci saranno anche dei brani italiani, delle grandi collaborazioni.
Poi c'è il disco di Gegè che sarà in uscita ma di cui non posso ancora parlare.
"Viaggio in Jazz" la tua biografia a fumetti, come nasce
la scelta del fumetto?
Se guardi la mia faccia, tante persone mi dicono che assomiglio ad un fumetto, però
il fumetto è la realtà che più si avvicina a quella che è stata la mia vita, perché
a ripensarci col senno di poi sono successe tante cose, quasi surreali. Io credo
che quando si vive la propria vita secondo la propria passione, sei molto aperto
a che ti succedano delle cose non convenzionali, che io auguro a tutti perché credo
sia un grande stimolo. Incontri persone che mai avresti pensato, anche qui è un'occasione,
che io ho vissuto per indole, però il fumetto mi dava la possibilità di non scrivere,
è stato divertente, un connubio di cose. La mia amica disegnatrice e fumettista
Jasmine Cacciola, mi diceva che il fumetto è un'arte completa perché c'è
la sceneggiatura, la scenografia, l'inquadratura, l'effetto speciale, manca il sonoro
che lo metto io!