Herbie Hancock Sextet
Featuring
Terence Blanchard
Roma Jazz Festival, Auditorium, 26 novembre 2008
di Dario Gentili
Herbie Hancock pianoforte, tastiere
Terence Blanchard
tromba
James Genus basso
Lionel Loueke chitarra
Gregoire Maret armonica
Kendrick Scott batteria
Alla fine del concerto, incamminandomi lentamente
verso l'uscita della Sala Santa Cecilia e, poi, dell'Auditorium, mi sorprende una
strana sensazione di spaesamento, che – mi accorgo – non dipende dalla folla di
gente che si accalca sulle scale. Quasi istintivamente guardo allora l'orologio
e realizzo che il concerto di
Herbie Hancock è durato quasi tre ore! Cose da altri tempi, mi viene
da pensare, essendo ormai i concerti jazz irrigimentati entro le due ore al massimo.
La durata inusuale è stata, quindi, la prima impressione che si è imposta dopo il
concerto. Una volta per strada, cercando di ricostruire nella memoria il susseguirsi
dei brani, comprendo che, durante l'esibizione di
Hancock, il tempo si era dilatato ulteriormente: quarant'anni circa!
Il tempo che, più o meno, intercorre da Speak Like A Child (1968)
fino a oggi. Non è stato, infatti, un concerto che presentava l'ultimo dei numerosissimi
progetti di cui
Hancock si rende da sempre promotore. Si è trattato piuttosto di un
viaggio musicale che ha attraversato gli ultimi quarant'anni di jazz afroamericano,
rivisitati da uno dei suoi principali protagonisti. Un musicista e un compositore
che ha lasciato tracce importanti in qualsiasi genere in cui si è cimentato, anche
in quelli più commerciali, cosa che gli ha attirato ben note critiche e accuse di
tradimento. Assistere al concerto di stasera è stato, allora, come sfogliare, in
ordine sparso - ma neanche troppo frettolosamente - un'enciclopedia del jazz moderno:
si è cominciato in stile funky, per poi passare al post-bop e al modale, senza dimenticare
una lunga parte centrale in cui è riecheggiato il Miles dei capolavori della svolta
elettrica (di cui
Hancock è stato parte essenziale), per giungere infine a Visitor
from Nowhere, brano del recente Footprint, che ha rinnovato il sodalizio
con
Wayne Shorter.
La formazione si è mossa abilmente tra esecuzioni acustiche ed elettriche,
tra strumenti acustici ed elettrici, a partire dallo stesso
Hancock, che si è alternato al pianoforte e al sintetizzatore. Tutti
musicisti di altissimo livello internazionale, ovviamente c'era da aspettarselo;
alcuni ben rodati come James Genus al basso e Kendrick Scott alla
batteria, ma non sono mancate piacevoli sorprese, come il chitarrista Lionel
Loueke, del quale è stato eseguito il brano Seventeen
e che ha avuto il privilegio di restare da solo sul palco a eseguire con voce e
chitarra una sua composizione d'impronta fortemente africana, impressionando per
tecnica e sensibilità. La scena degli assolo, invece, è stata spesso monopolizzata
dall'armonica di Gregoire Maret, non certo una scoperta di
Hancock, dal momento che ha collezionato già diverse collaborazioni
eccellenti. Con la sua piccola armonica ha occupato il ruolo di primo piano tradizionalmente
destinato al sax. E di fatto ha rubato la scena alla guest star del sestetto,
Terence Blanchard.
Per dire la verità, mi aspettavo molto di più da uno dei più grandi trombettisti
attualmente in circolazione. Eppure,
Blanchard
era entrato sulla scena con un assolo vertiginoso, davvero straordinario, però durante
il concerto si è rivelato più che altro una promessa non mantenuta in pieno. Si
è spesso tenuto ai margini, tessendo con la tromba soprattutto tappeti sonori con
distorsioni e riverberi, ma sacrificando troppo quel suono pulito e pieno che ha
contribuita alla sua fama di trombettista impareggiabile. Forse sul palco di
Hancock aleggiava il fantasma ingombrante di Miles e di altri leggendari
trombettisti …
Alla fine di un concerto che ha saputo soddisfare anche le orecchie jazzisticamente
più esigenti,
Hancock ha tuttavia dimostrato ancora una volta di saper intercettare
le aspettative del grande pubblico. Gran finale con la celeberrima
Cantaloupe Island versione acustica e
Chameleon versione funky, le due anime di
Herbie. E tutti se ne tornarono a casa felici e contenti.
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Data pubblicazione: 25/01/2009
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