Terence
BLANCHARD:
Gli
Entusiasmanti Viaggi nel Jazz
Dr. Herb Wong, Settembre 2001
Trad. by Annamaria Costalonga
Jazzitalia ringrazia l'International
Association for Jazz Education
per la concessione in esclusiva a tradurre questa intervista.
Fra quei musicisti jazz che hanno portato avanti con successo due o più
attività professionali parallele, si distingue Terence Blanchard,
eccezionale trombettista e figura ispirata di artista, con il suo far capolino
ora qui, ora là. La sua onnipresenza merita una dovuta attenzione. Ma quanti
Terence Blanchard ci sono? Si può vedere il suo nome su colonne sonore, sentire
la sua musica a teatro o alla televisione...o vedere la sua band esibirsi ad un
evento jazz...o insegnare ad una masterclass...e, ovviamente, si possono
ascoltare i suoi dischi strepitosi.
Nell'ultima decade e anche più, Blanchard è stato prolifico, ha scritto
della musica per numerosi film, mettendosi al primo posto in questo genere.
Nella molteplicità delle direzioni della sua carriera, si presenta come
stroradinario e raffinato trombettista, compositore,
arrangiatore e capobanda – direttiva questa, che considera come suo
costante obiettivo e principio creativo. Produrre i suoi acclamati CD insieme
alla sua band è un'attività in più, ma per lui vitale; le sue composizioni sono
piene di armonie effervescenti e animate linee interne- nell'insieme aggiungono
lustro e spirito spensierato alla sua seducente tavolozza di capacità artistiche
e opere musicali.
I recenti successi hanno allargato la sua meritata fama. L'anno scorso il
cd intitolato Wandering
Moon, della Sony
Classical, che presentava delle composizioni nuove, è stato citato per una
nomination ai Grammy
Awards
come "Miglior performance per
assolo strumentale". E' stato anche il vincitore a pieni voti della elezione
per il Down Beat 2000
come "Album Jazz
dell'Anno", "Trombettista Jazz dell'Anno" e "Artista Jazz
dell'Anno". Nello stesso anno, è stato insignito della carica di
direttore artistico
del Thelonious Monk Institute
of Jazz Performance presso lo USC. Una vera ispirazione per quanto riguarda
l'insegnamento del jazz, lavora con giovani musicisti jazz di talento e su altri
programmi educativi.
Attualmente il suo quintetto (Brice Winston al sax tenore, Ed
Simon al piano, Derek Nievergelt al basso e alla batteria Eric
Harland) è stato in tournée negli Stati Uniti, si è esibito nei locali e nei
festival jazz, contemporaneamente all'uscita del suo ultimo CD
Let's Get Lost – Le canzoni di
Jimmy McHugh (un'icona
della canzone popolare americana). La musica fa da meraviglioso sottofondo a
quattro delle migliori e più raffinate cantanti jazz che ci siano oggi: Diana
Krall, Diane Reeves, Jane Monheit
e Cassandra Wilson.
Ricostruire le tappe della sua infanzia ed evoluzione come musicista jazz può
essere utile per comprendere meglio le idee e le forze "sinergiche" che hanno
influenzato il formarsi delle sue concezioni musicali e il profilo della sua
attività.
Per avvicinarmi alla sua strategia di equilibrio fra i diversi livelli della
scena musicale, ho avuto con lui parecchie conversazioni in questi ultimi anni;
qui di seguito ne riporto dei brani. Le sue risposte forniscono informazioni,
dati, impressioni e interpretazioni per quel che riguarda il suo modo di
sentire, le sue attitudini, i suoi valori e la sua etica. Vederlo in azione ora
con una big band di "All Stars" di liceo, ora con la "Jazz in Film" Orchestra al
Jazz Festival di Monterey e alla Telluride Jazz Celebration in Colorado, e
vedere inoltre il suo quintetto nel locale jazz "Yoshi" a Oakland si aggiungono
come ulteriori esperienze per approfondire la sua figura.
L'inizio
WONG:
Sei nato il 13 marzo 1962 a New Orleans, in Louisiana e cresciuto in una
casa dove si coltivava un amore profondo per la musica. Tuo padre, Joseph Oliver
Blanchard è stato sempre un catalizzatore della tua curiosità e del tuo fervido
interesse per la musica. Quanto ti ha aiutato il confronto con la sua attitudine
per la musica?
BLANCHARD: Mio padre ascoltava tanta opera lirica a casa. Mi ha sempre impegnato
a pensare sulle cose mostrandomi giochi matematici o indovinelli per far
lavorare il mio cervello già quand'ero piccolo. Uscivamo in strada ad ascoltare
della musica, facevamo delle esperienze nel nostro vicinato, e poi tornavamo a
casa per farci dire da nostro padre: "Guarda, è Oscar Peterson. Siediti e
ascoltalo!". Oppure lo trovavi che si ascoltava Rigoletto e mi diceva: "Hey,
ragazzo, devi ascoltare questo, una delle più belle opere di tutti i tempi." Sì,
era proprio come la mamma di Mo' Better Blues. Si sedeva sul divano ad
ascoltarmi mentre facevo le mie lezioni di piano, mi fermava e mi diceva di
correggere gli errori.
WONG:
Ci sono stati altri membri della tua famiglia ad aiutarti nel tuo viaggio
nella musica?
BLANCHARD: Sì, mia zia, era una insegnante di canto e pianoforte; mi ha fatto
entrare al programma musicale estivo della Loyola University quand'ero
all'ultimo anno delle elementari. Lì ho incontrato Wynton e Branford Marsalis.
WONG:
Oltre all'influenza di tuo padre e dei dischi che avevi a casa, cos'altro
ti ha portato al jazz?
BLANCHARD: A New Orleans si sentono sempre jazz band con diversi funzioni e in
ambienti diversi. Me ne sono interessato perchè mi sembrava molto divertente
suonare il jazz. Ma solo alle superiori ho incominciato a conoscere la
tradizione del bebop e Bird, Miles Davis, Clifford Brown ,
Dizzie Gillespie e
gli altri.
WONG: Come e quando hai cominciato a suonare la tromba?
BLANCHARD: Ho cominciato a prendere lezioni di piano all'età di cinque anni, e
mi esercitavo a casa di mia nonna.
I miei dopo avevano preso in affitto un pianoforte, così ho potuto suonarlo a
casa mia. Un giorno però sono tornato a casa da scuola dopo aver visto una
dimostrazione di musica tradizionale di New Orleans e ho detto:"Voglio suonare
la tromba!". L'anno dopo, i miei alla fine mi comprarono una tromba, non presi
lezioni però fino ai miei primi anni delle superiori.
WONG: Quali registrazioni in particolare ti hanno ispirato di più in quegli
anni?
BLANCHARD: Una è stata "Clifford Brown-Max Roach, Inc." con Clifford che suonava
Sweet Clifford – è stato veramente scioccante! L'altra, è stata
Someday My
Prince Will Come di Miles Davis…oh sì, anche
Clifford Brown With Strings.
WONG: Hai frequentato il New Orleans Center for Creative Arts, (NOCCA). Quanto
utile ti è stata questa scuola nel soddisfare le tue esigenze?
BLANCHARD: Avevamo dei grandi insegnanti. La scuola ci ha anche incoraggiati ad
avere insegnanti privati. Ho studiato composizione e pianoforte con Roger
Dickerson - mi ha influenzato considerevolmente; ho studiato anche la tromba con
George Jansen. Al NOCCA il Dr.Bert Breaux mi ha insegnato teoria ed analisi;
facevamo anche composizione e arrangiamento. Ellis Marsalis insegnava a leggere
a prima vista; altre lezioni riguardavano il canto, l'ensemble e l'esecuzione.
WONG: Hai avuto un'istruzione vasta e molto interdisciplinare.
BLANCHARD: Oh, sì. Era esattamente questo che affascinava di quella scuola. Con
Breaux, non pensavamo ci fosse una gran differenza fra musica jazz e musica
classica. Le studiavamo entrambe come una rappresentazione della società e della
cultura in cui erano state rispettivamente create.
L'insegnamento del Jazz
WONG: Quali sono le tue considerazioni a proposito dell'insegnamento del jazz?
BLANCHARD: Prima di tutto,
credo sia estremamente importante dare agli studenti il senso della storia
della musica. Poi, il senso del tempo e dello sforzo
necessario per raggiungere gli obiettivi. In terzo luogo, fargli sembrare che
sia tutto raggiungibile ad un certo livello. Anche se i musicisti jazz sono
spesso visti come con la capacità innata di suonare, in verità siamo proprio
come tutti: dobbiamo lavorare sodo. Solo lavorando sodo si ottengono risultati.
Faccio spesso il paragone fra la musica e lo sport; sembra che i ragazzi
capiscano più facilmente.
WONG: Facci un esempio.
BLANCHARD: I patiti del basket sanno come Magic Johnson o Michael Jordan stiano
in campo tutto il giorno a far rimbalzare la palla o come se la portino con sé e
la facciano rimbalzare per tutto il giorno. Lo fanno per una ragione, non perché
amino il gioco del basket. Lo fanno per sviluppare la coordinazione fra la mano
e l'occhio. E la si raggiunge solo dopo un certo periodo di tempo e di sforzi.
La stessa cosa vale per l'uso della lingua, delle dita, del fiato ed altre
capacità necessarie a suonare uno strumento a fiato.
WONG: Quando ti rivolgi ai giovani allievi o agli aspiranti musicisti per
inculcare questi valori, ci sono altre tematiche che affronti con lo stesso
metodo del paragone?
BLANCHARD: Uso i paragoni anche per una tematica chiave per i ragazzi: riuscire
a parlare il linguaggio del jazz quando si suona. Spesso presentano problemi di
fraseggio o non capiscono come suonare in un ambiente jazz. Sicuramente imparano
alcuni assoli, ma assumere il fraseggio è veramente arduo.
L'analogia che uso è
con un qualsiasi disco pop, non ha importanza chi sia l'artista. Buona parte
della gente riesce a cantare il testo di una canzone con l'inflessione di chi la
canta. Anche se molti insegnanti dicono che bisogna ascoltare parecchi dischi,
penso fermamente che bisogna prenderne uno solo - dico, solo uno - e ascoltarlo
sempre. Così si assorbe tutto quello che il disco può offrire! E' così che ho
imparato, ma consigliare di focalizzare buona parte dello studio su un unico
disco è una cosa discutibile per molti.
Avevo un paio di dischi di Miles Davis, che ho ascoltato e riascoltato per così
tanto tempo che alla fine riuscivo a cantare le parti della batteria, e pure a
cantare le parti del basso - perché cercavo di farmi un'idea di cosa fosse il
jazz!
Quando queste cose diventano parte del tuo subconscio puoi incominciare a capire
come parlare il loro linguaggio
WONG: Ti ricordi i titoli di questi dischi speciali?
BLANCHARD: Quello principale era l'album
Four and More con il quintetto di
Miles, che includeva Herbie Hancock, George Coleman, Ron Carter
e Tony Williams.
WONG: Oh, ma è il concerto live alla Philharmonic Hall del Lincoln Center of
Performing Arts! E tu consigli una "full immersion"?
BLANCHARD: Esattamente, e attraverso il subconscio. Dico ai ragazzi: "Registrate
la musica, ascoltatela in macchina, e fatela andare. Non pensateci, dovunque
andiate, solo fatela andare continuamente! Non accendete la radio: in poco
tempo, canterete tutti pezzi della vostra cassetta".
WONG: Come consideri quelli che aiutano i giovani, e li preparano a sostenere la
nostra arte del jazz. Che promesse ci riserba il futuro?
BLANCHARD: Il futuro può essere solo più roseo, con così tanti giovani artisti
sulla scena, il periodo di informazione che stiamo vivendo offre molte risorse
importanti da cui i ragazzi possono trarre beneficio. E' una generazione
completamente nuova, e ci sono stuoli di giovani emergenti che desiderano
profondamente suonare. Pochi anni fa, avevo nella mia band un sax contralto di
19 anni, letteralmente strepitoso, Aaron Fletcher. Be', ti giri intorno e dici
"WOW!". Tanti cuccioli sulla scena! E' grandioso!
WONG: Spiegaci il tuo metodo di ascolto nel tentativo di scoprire il jazz.
BLANCHARD: Il mistero era: "Cos'è il jazz?" Ascoltavo gli assoli di tromba, ma
capivo che non era una soluzione, perché il batterista faceva qualcosa di
diverso. Così l'ascolto è molto elementare. Ascoltavo e riascoltavo i dischi
fino a romperli. Ascoltavo Herbie e il suo modo di complicare le cose. Ho
ricordato prima come avevo lavorato il disco di Max Roach e Clifford Brown [qui Terence canta l'assolo di Sweet Clifford]. Di solito lo ascoltavo sempre, nel
tentativo di farmi un'idea. Quei dischi mi confondevano, anche perché Miles e
Clifford rappresentavano due stili diversi. Alla fine, ho scoperto,
nell'ascoltarli, una sorta di base comune, ed era questo che dicevo ai miei
amici che non amavano il jazz. Li facevo sedere, gli mettevo su i dischi e gli
facevo notare: "Ascolta il bassista come tiene il tempo, come il batterista
accenta le melodie con certi ritmi per contrappuntarle e come il pianista dia
colore." Mettevo su anche un disco di Coltrane - ancora una volta è qualcosa di
diverso, ma gli elementi base in comune rimangono gli stessi.
WONG: Hai analizzato i motivi per cui avevi eletto questi dischi a modello?
BLANCHARD: Incominciai a capire i motivi per cui avevo scelto questi dischi: si
trattava di gruppi professionisti molto ben consolidati, che avevano dei
concetti ben chiari e suoni ben definiti come gruppo.
WONG: Ah, sì, si tratta di gruppi che hanno segnato un bel po' di storia del
jazz di alta qualità, non certo band dai rapporti a breve termine o formate
giusto per il disco. Sei stato con i Jazz Messengers di Art Blakey dal
1982 al
1986, una delle più grosse e consolidate jazz band della storia del jazz, dove
sei poi emerso come una giovane star della tromba. Blakey deve aver avverato le
tue speranze di trovare qualcuno come lui, che ti guidasse e desse ispirazione
nel tuo venire alla ribalta.
BLANCHARD: Be' questo è il lato divertente, Herb. Credo che i ragazzi della mia
band siano stufi di sentirmi parlare di Art Blakey, perché tiro fuori sempre
aneddoti su di lui: l'esperienza con lui però è stata cruciale per me e ha
significato molto per la mia crescita come musicista e anche come persona! Ora
capisco perché Art mi raccontava tutte quelle storie. A 19 o 20 anni, pensi di
sapere tutto. E' stato molto paziente con noi. Mi ricordo di un paragone che
faceva Wynton (Marsalis), «E' come essere piloti. Bisogna avere "le ore di
volo"».
WONG: La tua filosofia, il tuo approccio sembrano proprio un modello efficace
per l'insegnamento e per l'apprendimento.
BLANCHARD: E' proprio questa
la problematica dell'istruzione nelle scuole.
Ancora adesso mi sforzo di capire come insegnare efficacemente perché ad un
certo momento devo dire ai ragazzi di imitare gli artisti per "parlare il
linguaggio del jazz".
Allo stesso tempo ci sono così tanti tipi di linguaggio jazz. E' a questo punto
che entrano in gioco le scelte personali: qualcosa che devono fare per conto
proprio
WONG: Nell'incitare a formarsi una propria individualità, in che maniera
suggeriresti di aiutare i giovani a far uscire la loro creatività?
BLANCHARD: Penso attraverso la
composizione. Li incito a scrivere un certo
numero di canzoni. Possono anche non essere un gran che, ma bisogna comunque
scrivere un tot di canzoni banali prima di saltare fuori con una veramente
buona! Bisogna rielaborare queste cose dentro di sé.
WONG: Dicci come il comporre si riversa nell'esecuzione e nell'improvvisazione.
BLANCHARD: Art diceva sempre,
«Scrivendo trovi te stesso. Devi buttare giù le
note sulla carta, e lì queste prendono un significato totalmente diverso.» E'
paragonabile a scrivere un tema per una lezione. Per esempio, molti non si
rendono conto quanto parlino sgrammaticato, finchè non scrivono, e parecchio di
quello che scrivono poi non si capisce. Quando si scrive, concepiamo con la
nostra mente. Puoi suonare delle variazioni in una certa maniera, solo se le
metti giù per iscritto puoi vedere quello che ti va e quello che non ti va.
WONG: E poichè questo procedimento può insegnarti ad essere selettivo, dovrebbe
anche potenziare le capacità di improvvisazione.
BLANCHARD: Sì, inoltre apre le orecchie ad un altro mondo.
WONG: Tutta questa fretta nell'improvvisare subito, non rappresenta un' altra
problematica?
BLANCHARD: Sì, ed è anche una
forma di fuga; siccome è così immediata, alcune
cose vengono direttamente tralasciate da parte di alcuni giovani musicisti, come
l'importanza di ogni nota. Qualche volta suonano delle note che non hanno senso.
Le note si susseguono così veloci che chi suona non percepisce il loro effetto.
Ma ci si può sedere e fissare per sempre le note attraverso la composizione.
WONG: La tua agenda già piena di attività si è ulteriormente infittita, quando a
settembre del 2000 sei stato nominato dalla USC direttore artistico del
Thelonious Monk Institute of Jazz Performance, con il compito di dirigere
l'attività artistica del Jazz Ensemble dell'istituto. Noto che il corso di studi
prevede "sviluppo artistico, arrangiamento, composizione, supporto nell'iter
professionale, e programmazione di concerti", più masterclass e programmi a
livello di campus. Con un'istruzione scolastica di così ampio respiro, con
queste esperienze, abilità, bisogni, e altre variabili, il tuo programma deve
richiedere una gran quantità di spazio.
BLANCHARD: Assolutamente sì. Il mio programma
deve essere flessibile, a causa
dell'elevato livello artistico dell'ultimo gruppo di studenti. Cioè, gli
studenti che sono entrati ora nel programma sono così avanti rispetto a quelli
del ciclo precedente, che non avremo bisogno di trattare le stesse problematiche
musicali del gruppo precedente. Bisogna tagliare su misura il programma perché
gli studenti riconoscano i loro punti di forza e di debolezza, così possono fare
una scelta obiettiva ed intelligente su che cosa dovranno studiare per
sviluppare il loro stile. A questo punto non si tratta più di imparare la storia
del jazz, hanno già fatto i loro compiti a casa. Così ora li incoraggiamo ad
accettare alcune parti della loro personalità musicale e, spero, a far crescere
ed espandere le loro idee, che aiuteremo ad essere uniche.
WONG: Dal momento che questi studenti sono così avanzati, quali procedimenti che
tu consideri importanti poteresti esporgli?
BLANCHARD: Per esempio, ho in progetto di mostrare loro come trascriveremo
alcuni assoli. Prenderemo una frase da un assolo, ci scriveremo su una melodia,
e gli mostreremo come contrappuntare il tutto. Poi, gli faremo vedere come
aggiungere altri elementi alla frase, come possano variarla e non
necessariamente usarla così com'era, in modo che, speriamo, siano in grado di
prendere le idee nella loro testa e manipolarle.
WONG: In media, che età hanno gli studenti, e quante volte vai all'istituto?
BLANCHARD: l'età va dai 22 ai 29 anni e sono presente una settimana al mese per
tutto l'anno scolastico. Ho stabilito le modalità e le direttive delle nostre
attività, e quando sono via, un altro amministratore permette ulteriori
esperienze. I maestri del jazz inoltre fanno visita agli studenti e interagiscono
con loro. C'è un fiume di informazioni.
WONG: Questa periodicità permette di contattarti di persona attraverso una serie
progressiva di incontri. Sei capace di combinare i contesti dei vari
gruppi di studenti e le tue interazione con i singoli, mettendo in comune le tue
convinzioni, forti e ben vaste sull'esperienza e i tuoi valori. Deve essere
gratificante bilanciare questi vari livelli di obiettivi e strategie.
BLANCHARD: Ne vale veramente la pena ed è proprio gratificante. Mi piace il
termine "livelli"!
Carriere parallele
WONG: Come dividi la tua agenda fra l'attività della jazz band, la produzione di
colonne sonore e i tuoi programmi educativi?
BLANCHARD: Il fatto di avere parecchie attività professionali contemporaneamente
dimostra quanto è stato influente mio padre. Era fissato con la puntualità e
pure un maniaco del lavoro altamente efficiente. Mi ritrovo nei suoi stessi panni.
L'unica maniera efficace è mantenere costante il flusso delle attività
sull'agenda, proprio come una macchina ben oliata. Se il flusso si inceppa,
succede il caos. Robin mi fa questo lavoro, mi assicura che tutte le mie attività
fluiscano senza problemi. In questo momento, sto lavorando ad una colonna sonora
per un film che ucirà ad Agosto. Sono già preparato mentalmente. E
contemporaneamente, sono in tournée per la promozione del mio nuovo cd
Let's Get
Lost, ma dentro di me, raccolgo idee per la colonna sonora, quando non sono sul
palco. Così è affascinante, ma anche impegnativo perché ti obbliga a pensare e a
muoverti contemporaneamente, senza mai potersi riposare su un solo argomento.
WONG: Così, cosa ti spinge ad agire ora in una, ora in un'altra direzione, più la
volontà o la motivazione?
BLANCHARD: Più la motivazione: il bisogno di raggiungere qualcosa. Avere solo
un'attività professionale può portare ad una sorta di scoperta; ma la mia vita
ora è organizzata diversamente. La scoperta può essere basata anche su come una
disciplina ispiri l'altra e viceversa.
WONG: La sinergia ha come risultato una economia di energia creativa.
BLANCHARD: Assolutamente sì. A volte un'idea ispirata da una disciplina può non
andare bene per un'altra. Per esempio, mentre lavoravo sull film
Original Sin,
venni fuori con un tema troppo dell'altro mondo. Troppo di un altro genere!
Sentivo delle composizioni ispirate da ciò che vedevo e perciò avevo bisogno di
provarle, buttarle giù e metterle in riserva. La mia mente si è poi rilassata e
incominciai ad accompagnare il film diversamente.
WONG: Metti a confronto il procedimento della produzione di una colonna sonora
per un film con la composizione solo per il jazz.
BLANCHARD: La differenza principale è nello scopo. Se scrivo per un cd jazz, lo
scopo è quello di scrivere qualcosa di molto personale, che rifletta la mia
esperienza. Dipende da me quello che voglio esprimere. Se scrivo per un film o
per la televisione, la musica è ispirata visualmente e perciò esternamente ad
ogni esperienza personale. L'ispirazione è totalmente diversa, pure la
manipolazione delle idee che emerge è totalmente diversa. Secondo me, la musica
ha un'altra funzione.
WONG: Che differenza c'è fra gli strumenti che usi per scrivere colonne sonore e
quelli che usi per scrivere musica jazz?
BLANCHARD: Altra bella domanda! Per i film lavoro molto al
computer e stampo la
musica. Ma per scrivere il jazz preferisco ancora carta e penna. Semplicemente
c'è una vera associazione fra sedersi e scrivere i ritmi: ha anche un altro
significato. E so che sai che scrivo le mie cose su un quaderno di appunti.
Inoltre, scrivere a questo punto della mia carriera è diverso. Quand'ero
giovane, mi sembrava più facile, forse perché scrivevo musica che si riferiva ad
altra musica, basata su idee a loro volta magari basate su un disco, che capivo
mi aveva influenzato. Ora, comunque, non ho più questi riferimenti; è terribile!
Un foglio vuoto è veramente vuoto!
WONG: Presumo che qualunque cosa esca però, sia completamente tua!
BLANCHARD: E' questo l'obiettivo! Quando si prendono decisioni musicali che non
hanno punti di riferimento, bisogna scavare dentro di sé per vedere se la musica
sta in piedi, dal momento che può trattarsi di musica mai sentita prima. Mi
chiedo, "Deve stare qui questo?" e mi rispondo, "Non necessariamente".
WONG: E' una dichiarazione di un profondo impegno con te stesso, ogni volta che
fai così
BLANCHARD: Esattamente. Bisogna essere sicuri quando si fa una cernita.
WONG: Riaffini le tue capacità o esperimenti nuovi procedimenti per migliorare
il filtraggio delle tue idee?
BLANCHARD: Sono tornato a studiare composizione con il mio insegnante
Roger
Dickinson. Il suo consiglio è «scrivi tutto, non buttare via nulla. Quei
piccoli nuclei di idee che consideri insignificanti possono invece contenere uno
tensione verso qualcosa di più grande.» Le colonne sonore richiedono invece di
produrre così tanto in così breve tempo, che quando mi immagino come debba
essere una partitura, la scrivo su una brutta copia e la tengo fra gli appunti.
Posso anche non usare mai queste idee. O posso rivederle e dire, "Caspita, come
ho fatto a pensare a quel personaggio in quella maniera?"
Qualche volta queste idee hanno un senso e incitano nuove idee ad andare in una
direzione particolare. Ho un pezzo molto esteso che voglio scrivere da due anni
ma non ho avuto ancora il tempo o la motivazione per completarlo. Quando ho però
la motivazione originale, scrivo ogni aspetto del pezzo così come lo intendo.
Questi dettagli sono cambiati nel corso degli ultimi due anni.
E quando guardo nei miei appunti, è interessante rivedere i miei commenti. Mi
piace farlo, ho fatto così per alcune musiche del mio cd
Wandering Moon. Ho
scritto il pezzo If I Could, I Would
sulla base di un esercizio che mi aveva
dato il mio insegnante e che io a mia volta uso nelle masterclass, esercizio che
considero importante. Il mio insegnante aveva preso la frase «If I could tell
you, I would» con alla fine un punto interrogativo, e mi aveva chiesto di
scrivere un dialogo usando solo queste parole. La lezione seguente, dovevo
prendere quelle frasi e continuare a scrivere il dialogo - sostituendo però i
punti interrogativi con quelli esclamativi. Lo scopo era di dimostrare che la
punteggiatura dava parecchio significato a quelle frasi. Poi, dovevo prendere
queste stesse parole, cambiare tutti i significati e ancora scrivere un dialogo.
Così tutti i periodi, i punti esclamativi e interrogativi sono come dei segni
dinamici, accenti di frase, e altre notazioni che servono a manipolare le frasi
musicali.
WONG: E hai usato questo procedimento per la creazione del CD? Che forza!
BLANCHARD: E' un'esperienza che apre gli occhi. Ci si rende conto di quanto ogni
dettaglio sia vitale. Mi ha aiutato parecchio anche nelle mie composizioni
orchestrali. Quando si scrive per un film, molta musica è orchestrale. Non è
come una jazz band, dove ai musicisti viene detto cosa si prevede accadrà e
quindi sanno cosa fare. Ti rendi conto di quanto tutti i segni siano importanti:
i segni della frase, i segni dinamici, le pause, i segni di tempo, ecc.
WONG: Cosa ti offre la composizione per film che l'osservatore casuale non può
notare?
BLANCHARD: L'ispirazione a fare qualcosa di totalmente diverso – come se si
avesse il bisogno di una pausa ogni tanto - e ad apprezzare quello che già si ha.
E' questo che la scrittura per film mi offre.
WONG: Sei fortunato ad avere questa valvola di sfogo in più che ti permette
delle pause e di rivolgerti a o concentrarti su qualcosa di nuovo.
BLANCHARD: Me ne sono reso conto. Ho sempre avuto il bisogno di scrivere per
diverse situazioni musicali, non solo per il jazz, le colonne sonore me ne
offrono l'occasione. Per esempio, dovevo scrivere due concerti per pianoforte
per il film Caveman's Valentine
- cosa che non potrei mai fare in un disco jazz.
Questa esperienza mi ha fatto riflettere su come avrei potuto scrivere per un
ensemble jazz, relativamente a delle idee che stavo buttando giù.
Il prossimo progetto fantastico
DISCOGRAFIA |
Come leader:
Let's Get Lost—Sony Classical (2001)
Wandering Moon—Sony Classical (2000)
Jazz in Film—Sony Classical (1999)
The Heart Speaks—Columbia/Sony (1995)
Romantic Defiance—Columbia/Sony (1995)
The Billie Holiday Songbook—Columbia/Sony (1994)
Simply Stated—Columbia/Sony (1992)
Terence Blanchard—Columbia/Sony (1991)
Con Donald Harrison:
Black Pearl—Columbia Records/CBS (1988)
Crystal Stair—Columbia Records/CBS (1987)
Discernment—Concord Records (1986)
New York Second Line—Concord Records (1984)
Colonne sonore/musiche per film
Original Sin—Chapter 111 (2001)
Caveman's Valentine—Decca (2001)
The Score for Eve's Bayou—Sonic Images/MCA (1997)
The Promised Land—Columbia/Sony (1995)
Clockers—Columbia/Sony (1995)
Backbeat—Polygram/Verve (1994)
Sugar Hill—Arista Records (1993)
Malcolm X—Columbia/Sony (1993)
Mo' Better Blues—Columbia/Sony (1990)
http://www.sonyclassical.com/music/89607/main.html
|
WONG: Quale progetto sogneresti di fare?
BLANCHARD: E' difficile a dirsi. Sarebbe forse uno in cui avrei l'occasione di
suonare con qualche grande musicista con cui non ho ancora suonato, come Wayne
Shorter, Herbie Hancock, Elvin Jones, e McCoy Tyner. Ho suonato con McCoy in
alcune sue serate ma non in un contesto formale dove potevamo registrare.
Sarebbe un sogno per me. Ho l'occasione di scrivere musica per qualcosa di
speciale. E la cosa più importante per me è vedere se posso lavorare insieme a
qualche grande e ottenerne un'esperienza preziosa - e anche vedere cosa vuol dire
stare insieme a loro in sala di registrazione.
WONG: Da ragazzo hai ascoltato parecchio i loro dischi.
BLANCHARD: Mi sento fortunato ad aver avuto l'opportunità di incontrare molti
dei grandi prima che sparissero: Dizzy, Miles e Art Blakey. Così sono
incoraggiato a pensare di poter suonare con alcuni dei miei miti. Ho avuto
l'occasione di suonare con delle leggende come Joe Henderson e Sonny Rollins.
WONG: Cerchi ancora il mistero del jazz?
BLANCHARD: Negli anni, il jazz si è così ampliato, così diversificato, che è
sempre più difficile definirlo oggi. Consideralo come un linguaggio. E' come
dire, "Cos'è la musica classica?". Odio i paragoni fra il jazz e la musica
classica. Nella musica classica, i compositori hanno preso la tradizione
popolare e l'hanno approfondita nelle loro composizioni; lo stesso procedimento
è stato usato per il jazz per tanti anni! Nel linguaggio del jazz, prendete ad
esempio cosa ha fatto Dizzy con la musica latina – o Coltrane con la musica
mediorientale. Si sono sentite in giro queste cose. Così io sto ancora
ricercando.
WONG: Fa parte della magica allure del jazz. Continua a cercare!
Prima di parlare delle tue prossime registrazioni, il tuo ultimo CD
Let's Get
Lost dà il benvenuto alle tue ultime ricerche tematiche e offre lo spunto per
chiederti di commentare la sua logica e come consideri il suo messaggio.
BLANCHARD: Siccome si tratta di musica scritta da
Jimmy McHugh, lasciami dire
che questa musica ti fa capire la sua genialità come compositore. Molte melodie
sono senza tempo, e belle. Penso che sia sano e importante sperimentare alcuni
tipi di musica. Ho sempre mantenuto il principio di non escludermi da esperienze
diverse fra loro. E se ho fatto questo genere di lavoro non significa che lo
debba fare per il resto della mia vita!
WONG: C'è una straordinaria intesa fra le quattro cantanti e i pezzi che devono
cantare. Combinazioni perfette. Come hai fatto ad ottenerle?
BLANCHARD: Per prima cosa, non sono stato io a scegliere le canzoni. E' il
contrario. Gli stili delle cantanti hanno stabilito il carattere delle canzoni.
Conosco bene il sound di tutte e quattro le cantanti: Dianne Reeves, Diana Krall,
Jane Monheit, e Cassandra Wilson. Il disco rappresenta proprio quello che amo
nel jazz: l'unicità di ciascun suono e di ogni approccio!
WONG: Sono d'accordo! E' in tutto e per tutto affascinante ascoltare le
idiosincrasie dei loro stili e come contribuiscano comunque all'unità della
musica. Ho trovato nel CD molto gusto e molta attenzione per quanto riguarda gli
strumenti: in parecchi gioiellini di McHugh, la combinazione fra le uscite
strumentali e le parti vocali ben calibrate fanno di Let's Get Lost un brillante
esempio di concezione e interpretazione. Posso chiederti dove potrà portare la
tua prossima visione poetica?
BLANCHARD: Voglio sviluppare quei nuclei tematici e quelle idee che ho tenuto in
serbo. Ecco dove mi concentrerò prossimamente. A proposito, quest'intervista è
stata interessante. Mi piacciono le domande.
Senza dubbio, Terence Blanchard ha risolto strategicamente l'ingorgo delle sue
molte carriere.
Apettatevi sempre qualcosa in più dal suo terreno creativo, mentre la sua
tromba brillante canta e risuona nel nostro terreno multimediale. Non
sorprendetevi, quindi, se si ricava un'altra carriera nel suo vasto mondo di
viaggi entusiasmanti!
Nota del curatore: Come per avverare la previsione quasi mediatica di Herb Wong,
la University of New Orleans ha annunciato poco prima di stampare l'articolo che
Blanchard succederà ad Ellis Marsalis come direttore del suo programma Jazz a
decorrere dal 20 agosto 2001. Blanchard continuerà comunque la sua
collaborazione con il Thelonious Monk Institute dello USC. |
Il dottor Wong è un ex presidente della
IAJE, è entrato nella
Hall of Fame nel
1993. La sua rubrica "Jazz Perspectives", iniziata nel 1976, è la più vecchia
rubrica ancora presente nel Jazz Education Journal. Come presidente e produttore
principale delle etichette Palo Alto Jazz e Blackhawk, ha presieduto la
produzione di oltre 150 registrazioni e CD interattivi per artisti come Stan
Getz, Elvin Jones, Dianne Reeves, Tom Harrell, Phil Woods,
Sonny Stitt, Sheila Jordan, Art Pepper e Richie Cole. E' il fondatore e direttore artistico di molti
eventi e festival jazz
a Palo Alto in California, (attualmente sta producendo dei nuovi eventi a Redwood City), è produttore per la Palo Alto Jazz Alliance, ed è
l'amministratore e curatore e sequence producer per
www.JazzAmerica.net
Per oltre 30 anni ha lavorato come annunciatore alla KJAZ, la stazione radio
non-stop di San Francisco, dove è stato anche direttore per l'educazione e dei
rappporti con l'industria musicale. Ha scritto molti ed è autore del The
Ultimate Jazz Fake Book (Hal Leonard). Ha contribuito come curatore a Down Beat
e Jazz Times, ha firmato degli articoli apparsi su Schwann Spectrum,
The Jazz Review, Urban West, The San Francico Chronicle, e sull'Oakland Tribune.
Il dottor Wong è stato un pioniere per quanto riguarda il nuovo metodo educativo
per le scuole elementari e medie superiori a Berkley, che ha prodotto artisti
come Benny Green, Peter Apfelbaum, Joshua Redman, Rodney Franklin
e Steve
Bernstein. E' stato amministratore e professore alla Western Washington
University e alla University of California-Berkeley, dove insegna storia del
jazz in diversi dipartimenti. Inoltre è un educatore ambientale ed ecologista
con all'attivo decine di pubblicazioni. |
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prossime date
del Terence Blanchard Quintet
in Italia
18/08/2011 | Gent Jazz Festival - X edizione: Dieci candeline per il Gent Jazz Festival, la rassegna jazzistica che si tiene nel ridente borgo medievale a meno di 60Km da Bruxelles, in Belgio, nella sede rinnovata del Bijloke Music Centre. Michel Portal, Sonny Rollins, Al Foster, Dave Holland, Al Di Meola, B.B. King, Terence Blanchard, Chick Corea...Questa decima edizione conferma il Gent Jazz come festival che, pur muovendosi nel contesto del jazz americano ed internazionale, riesce a coglierne le molteplici sfaccettature, proponendo i migliori nomi presenti sulla scena. (Antonio Terzo) |
14/02/2004 | Jazzitalia intervista in esclusiva i Take 6 a New York: "...Amiamo tutta la musica, e abbiamo cantato praticamente tutti i generi musicali, inclusi jazz, gospel, doo-wop, latin, R&B, hip-hop, opera, pop, e persino country western." (Sandra Kimbrough) |
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Data pubblicazione: 17/01/2002
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