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Carla Bley - The Lost Chords Roma Jazz Festival - 29
ottobre 2003 - Auditorium Parco della Musica, Sala 700
di Dario Gentili foto Alessandro
Marongiu
Carla Bley -
pianoforte,
composizioni
ed arrangiamenti
Andy Sheppard - sax
Steve Swallow - basso elettrico
Billy Drummond – batteria
Pianista, compositrice, arrangiatrice, band leader, Carla Bley è uno dei personaggi più variegati della scena jazz: negli anni settanta, è l'indiscutibile signora dell'avanguardia, in quanto compositrice dei brani più significativi di Paul Bley e, insieme a Charlie Haden, ispiratrice e guida della Liberation Music Orchestra; al giorno d'oggi, signora del jazz in genere, in quanto leader di una delle jazz big band più versatili e longeve. Dopo decenni che il suo nome era legato quasi esclusivamente a lavori con la big band, il cui ultimo capitolo è
Looking for America proprio di quest'anno, all'Auditorium di Roma stasera Carla Bley presenta in anteprima il suo recentissimo progetto con il quartetto
The Lost Chords, che penso non tra molto vedremo tra le novità jazz nei negozi di musica. Tuttavia, nonostante la riduzione di numero, la accompagnano due membri storici della sua big band, il compagno di vita e d'avventure jazzistiche
Steve Swallow al basso elettrico e
Andy Sheppard ai sassofoni. Aria di famiglia, inoltre, non si respira solo tra i membri del quartetto, ma anche nella proposta musicale: come la stessa Carla Bley sottolinea, i brani proposti stasera, come anche quelli resi celebri nell'esecuzione della big band, non sono affatto pensati in base al numero di musicisti chiamati a suonarli. Certo, il concerto dell'Auditorium ha evidenziato, per la grande concentrazione e per l'attenzione fissa sugli spartiti dei pezzi da parte dei musicisti, che The Lost Chords è alla ricerca del giusto feeling e non è da escludere che
Carla Bley abbia scelto proprio una serie di concerti per provare al meglio i nuovi brani con l'inedito quartetto. Tuttavia, bisogna evidenziare quanto le partiture della Bley siano complesse e strutturate, pensate e scritte dalla compositrice in ogni minimo passaggio, ne è la conferma la misura di ogni intervento solista, soltanto gli assoli di
Sheppard sembrano a tratti lasciarsi andare, ma senza mai dare l'impressione di perdere la tonalità di fondo del brano.
Esemplare dello stile degli assoli sono proprio quelli al piano di Carla Bley, sempre asciutti e nitidi, ben lontani da ogni sorta di virtuosismo, ma sempre attenti a presentare il tema, restando comunque "dentro" la composizione.
Composizioni complesse e articolate, dicevamo. Ne può essere un esempio l'arrangiamento di
Three blind mice, che comincia con una tonalità swing con citazioni charleston, sulla scia di
quell'operazione di riscoperta della più verace e sincera anima musicale (ma anche politica) americana di cui Looking for America è alla ricerca, poi il pezzo improvvisamente s'interrompe e riparte in pieno stile funky, per chiudersi ancora con le sonorità d'apertura. Un'altra caratteristica delle composizioni di Carla Bley è l'ironia,
che stasera è emersa in particolare con
Hip-Hop, brano che dal titolo stigmatizza la tendenza musicale più in voga negli Stati Uniti, ma la sua ritmica tutt'altro che hip-hop, piuttosto funky, ne svela chiaramente l'intenzione sarcastica. Composizione tipica dello stile di Carla Bley è
Lost Chords, brano che dà il nome al quartetto, una suite divisa in tre parti. Il sax soprano di
Sheppard introduce un'atmosfera molto raffinata, puntellata dalle suggestioni del basso di
Swallow; la seconda parte, invece, torna a giocare con sonorità
retrò, rese esplicite dalle citazioni anni '30-'40 del piano di Carla; la terza parte conclude la suite con un'atmosfera di nuovo rarefatta e avvolgente, dettata dalla batteria di
Drummond, che da un intro vigoroso decresce lentamente fino a sfiorare soltanto i piatti con le spazzole.
Un concerto di gran classe, insomma, che ci ha presentato un'artista che, nonostante una carriera sempre inquieta, dimostra di non conoscere crisi d'ispirazione; ispirazione che, quando la scena musicale è sempre alla disperata ricerca di novità per adeguarsi ai tempi, non teme di cercare proprio nella musica più dimenticata del passato e apparentemente fuori moda le strade più all'avanguardia.
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16/05/2010 | Angelique Kidjo all'Auditorium Parco della Musica: "Ciò che canta è solare fusione fra la cultura del Benin, suo paese d'origine, ed il blues, il jazz, il funk e, soprattutto, la Makossa: un'ibridazione certo non nuova ma innovativa per temi e poetica, un mondo di suoni ed immagini dai contorni onirici, dalle evoluzioni potenti d'una voce ben definita e dinamica, di ampia estensione, ricca di coloriture flessibili nella varietas delle esecuzioni..." (Fabrizio Ciccarelli) |
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Data pubblicazione: 09/11/2003
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