Intervista a
Claudio Filippini
Perugia, luglio 2006
di Alberto Francavilla
Claudio
Filippini è nato a Pescara 23 anni fa ed ha già convinto critica e pubblico
- che nel 2003 gli hanno assegnato il prestigioso
premio
Massimo Urbani - con la sua bravura, distinguendosi come interprete
originale e creativo grazie alla sviluppata abilità improvvisativa, ad una visione
fortemente personale della musica e ad una ottima padronanza tecnica del pianoforte.
Attualmente collabora con artisti come:
Stefano
Di Battista,
Roberto
Gatto, Ares Tavolazzi,
Rosario Giuliani,
Aldo Romano,
Fabrizio Bosso,
Luca Bulgarelli, Marcello Di Leonardo, Israel Varela Esquivel,
Diana Torto,
Maurizio Rolli,
Massimo Moriconi,
Massimo
Manzi.
Ad Umbria Jazz 2006
Claudio Filippini
si è esibito in trio con Daniele Mencarelli al contrabbasso ed
Emanuele
Maniscalco alla batteria. Questo ensemble si è rivelato come uno dei
più apprezzati all'interno della rassegna, grazie ad uno stile originale e marcatamente
personale, a dispetto di chi dice che i giovani musicisti oggi siano solo dei magistrali
esecutori ma che non abbiano forte personalità. Nel concerto seguito il 13 luglio
alla Rocca Paolina abbiamo avuto conferma di quanto detto finora: innanzitutto la
scelta del repertorio, composto per la maggior parte di brani scritti da
Filippini
o Mencarelli, anche se non è mancato l'omaggio ad un superclassico come
Caravan di Duke Ellington. Inoltre i
tre si sono distinti anche dal punto di vista espressivo, con
Filippini
che ha sfoggiato uno stile decisamente percussivo, dovuto un uso caratteristico
della mano sinistra, e creando così una sorta di linea di contatto con la batteria
di Maniscalco. Questi, a sua volta, ha mostrato un'attitudine verso sonorità
decise, che in alcuni momenti lo avvicinavano ai suoi colleghi rock. Mencarelli,
da parte sua, si è distinto, oltre che musicalmente, anche dal punto di vista compositivo,
con melodie che ricercavano una certa dolcezza melodica, ma senza rinunciare alla
sperimentazione linguistica. Dopo l'esibizione ho avvicinato
Claudio Filippini
per un'intervista.
A.F.: Innanzitutto, ci
spiegheresti l'origine di questo trio?
C.F.:
Il trio che hai ascoltato stasera è nato fondamentalmente dall'unione di
due duo. Ho conosciuto Daniele un anno fa grazie a Francesco Ciarfuglia.
Abbiamo suonato per la prima volta in jam-session e sono rimasto subito colpito
dal suo talento e dalla sua musicalità. Con
Emanuele,
che conosco da più tempo suono stabilmente in un progetto del trombettista bresciano
Fulvio Sigurtà, all'interno del quale io suono il Fender Rhodes.
A.F.: Quale è stato il
tuo percorso di studi?
C.F.: Ho cominciato a studiare
musica classica a sei anni circa, mentre mi sono accostato al jazz verso i dodici.
Due anni fa mi sono finalmente diplomato…
A.F.: C'è qualche musicista,
non solo jazz, al quale ti sei ispirato?
C.F.: Sono un grande amante
del repertorio contemporaneo, quello che va da fine ‘800 in poi, come ad esempio
Ravel e Debussy. Poi ovviamente tutta la storia del jazz ha fatto
il resto, ma non vorrei tralasciare che sono un fanatico del rock inglese!
A.F.: Ed in particolare
c'è un'artista al quale ti accosteresti nell'approccio allo strumento?
C.F.: C'è stata una persona
che ci ha lasciato proprio in questi giorni che mi ha fatto scoprire la musica jazz.
Si chiamava
Angelo Canelli, gli devo moltissimo per quanto riguarda il modo di pensare
la musica e l'approccio fisico sullo strumento. È stato il mio primo insegnante
di piano jazz, mi ha fatto riamare la musica dopo un periodo per me buio. Un altra
persona che mi ha dato tanto è
George
Cables.
A.F.: Stasera avete suonato
un repertorio quasi totalmente vostro. È un caso o una tua/vostra prerogativa?
C.F.: In realtà è una peculiarità
di questo progetto. All'inizio avevo quasi paura di scrivere, hai presente il classico
blocco davanti alla pagina bianca? Ma poi ho pensato che questo potesse essere un
momento buono per poter suonare la mia musica e quindi ho scritto diverse cose.
Qualcosa di simile faccio con i Quadricromia, un progetto di Torino in cui
suoniamo solo brani originali e diamo anche molto più spazio alla sperimentazione
ed all'improvvisazione.
A.F.: Hai altri progetti
in cantiere?
C.F.: Ce n'è uno in programma
con un chitarrista danese (del quale non vuole rivelare il nome, nda), e
riguarda sia il campo acustico che quello elettronico. Questo è dovuto alla mia
grande curiosità verso la musica nordeuropea, che utilizza l'elettronica in modo
minimale per la ricerca del suono, quello che fanno i Sigur Ros, per intenderci.
Poi c'è un altro progetto con Enrico Melozzi, un ragazzo di 28 anni che suona
il violoncello e compone per archi: con lui mi sono esibito in uno spettacolo in
musica su Oliver Twist all'Auditorium di Roma a dicembre. Era una sorta di concept-show
multimediale che consisteva in un concerto per pianoforte a quattro mani e orchestra
con il supporto di immagini rielaborate e proiettate su video.
A.F.: Perché, secondo
te, molti musicisti italiani se ne vanno all'estero?
C.F.: Sicuramente una motivazione
di fondo può essere costituita dalla ricerca di nuove sonorità, dal confronto con
personalità diverse. Dal mio piccolo ho avuto modo di girare in Europa e in America
diverse volte e sono venuto a contatto con realtà eccezionali. Sono molto affascinato
dalla Scandinavia, ma è un sogno che per ora voglio lasciare nel cassetto
A.F.: C'è qualche altro
strumento che ti affascina?
C.F.: Mi piace la batteria.
Non so se riuscirò a suonarla ma mi intriga molto.
A.F.: Se potessi "rubare"
un brano a qualche tuo collega, quale sceglieresti?
C.F.: Eh, bella domanda,
ce ne fosse solo uno. Guarda, potrebbe essere "In A Sentimental
Mood" di Ellington, così come la Sonatina di Ravel oppure
"Paranoid android" dei
Radiohead. In realtà mi piacciono troppe cose per operare una scelta così
decisa.
A.F.: Un concerto che
ti ha particolarmente emozionato?
C.F.: Ancora una domanda
difficile. Ti dico i primi che mi vengono in mente: il Trio di
George
Cables a Lanciano nel ‘96 (all'epoca avevo 13 anni), poi il
Wayne Shorter Quartet (lo stesso esibitosi quest'anno a Umbria Jazz,
nda) all'Auditorium di Roma nel 2004, e poi
un concerto di
Herbie Hancock in Trio a Reggio Emilia nel
2001, pazzesco se pensi che
Herbie Hancock suona raramente con una formazione così ridotta!
A.F.: Grazie per la tua
disponibilità.
C.F.: Di niente, è sempre
un piacere potersi spiegare anche a parole, oltre che con la musica…
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
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Data pubblicazione: 29/10/2006
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