Umbria Jazz Winter XIV
Orvieto, 28 dicembre 2006 - 1 gennaio 2007
di Marco De Masi
Le Gallery di:
Giorgio Alto
- Bruno Gianquintieri
Alessia Scali
- Francesco Truono
Concerto per Sauro
Danilo Rea, Renato Sellani, Giovanni Tommaso, Enzo Pietropaoli,
Roberto Gatto
La quattordicesima edizione di Umbria Jazz Winter, andata in scena ad
Orvieto dal 28 dicembre all'1
gennaio, è stata contrassegnata dall'incontro tra il jazz e la canzone d'autore:
un binomio che molti anni fa negli Stati Uniti ha prodotti quei famosissimi standards
su cui i jazzisti di tutto il mondo continuano ancora oggi ad improvvisare. Questo
"fenomeno" ha raggiunto ormai da anni anche nel nostro paese, ed ha contribuito
a rafforzare un'identità troppo spesso condizionata dagli stereotipi d'oltre oceano.
I progetti musicali in cartellone sono stati molti, e di vario genere:
da Roberta Gambarini
con il suo trio a
Stefano
Bollani (che si è esibito sia in solo che con il trio); da
Sergio Cammariere
a Paolo Fresu
(con il PAF, in duo con
Uri Caine
e con il Devil quartet); fino alla all stars band degli "Uomini
in frac" in omaggio a Domenico Modugno. Tutto italiano è stato anche
il "Progetto per Sauro", uno dei fondatori di Umbria Jazz recentemente scomparso,
al quale sono stati dedicati tre concerti con i nostri musicisti jazz più importanti:
Danilo
Rea,
Roberto
Gatto, Giovanni Tommaso,
Renato
Sellani, organizzati in diverse formazioni, dal duo "Rea/Sellani"
al quartetto di Tommaso.
Le uniche presenze rilevanti degli stranieri sono state, invece, solo quelle
del Roy Hargrove quintet e del Lew Soloff quartet.
Da segnalare, inoltre, la presentazione del libro di Franco Fayenz
e Riccardo Brazzale su Lennie Tristano dal titolo "Lennie
Tristano un mito, un maestro, quasi un santone" insieme alla "Suite
for Lennie" dedicata al pianista di origini italiane, ed eseguita da Gerardo
Iacoucci al pianoforte, Stefano Cantarino al contrabbasso, con interventi
video di Massimo Achilli.
Una manifestazione perfettamente riuscita quella di quest'anno, che oltre
ad aver registrato un grande successo di pubblico, ha dimostrato di saper caratterizzare
la propria offerta, evitando di consegnarsi nelle mani dei grandi nomi internazionali,
per puntare invece sugli ottimi talenti del nostro paese, tenendoci a sottolineare
ancora una volta le importanti dimensioni di questa nuova "via italiana nel jazz"
(Carlo Pagnotta, direttore artistico di UJ).
28 dicembre
Un doppio concerto per la serata di inaugurazione della quattordicesima edizione
di Umbria Jazz Winter ad Orvieto, che mette in relazione la tradizione musicale
afroamericana con quella cantautorale contemporanea del nostro paese. Da una parte
Roberta Gambarini
insieme al suo trio che offre una raffinata rappresentazione delle songs
americane in uno stile altamente celebrativo; dall'altra le suggestive composizioni
di Sergio
Cammariere che nascono da una complessa mescolanza di generi. Ma andiamo
per ordine…
Roberta Gambarini Trio
Che
a Roberta Gambarini,
straordinaria cantante ed interprete torinese, residente da otto anni negli Stati
Uniti – luogo in cui ottenuto la definitiva consacrazione collaborando con artisti
del calibro di Hank Jones …–, sia stato affidato il compito di aprire la
manifestazione umbra, non è affatto un caso. La fresca nomination ai Grammy
Awards per l'album "Easy
to love" e la conseguente esplosa popolarità, le hanno consegnato
un privilegio che la cantante è riuscita ad onorare con un ottimo concerto, supportata
da una sezione ritmica davvero importante (quella del Roy Hargrove quintet).
Sorretta quindi musicisti solidissimi, versatili, capaci di esaltare la sua
interpretazione, la "neonominata" è riuscita a dare prova di una tecnica vocale
eccellente: magistrale uso delle dinamiche e ottima padronanza su tutti i registri.
Dove invece ci si aspettava qualcosa in più, vista la fama – spesso traditrice –
che la precedeva, era nell'improvvisazione: escursioni brevi, spesso ripetitive,
in cui non sembrava essere presente una dose sufficiente di fantasia e convinzione.
Una
scaletta forse poco dinamica, abbondantemente farcita di ballads, e fortunatamente
animata nella parte centrale dall'apparizione di Roy Hargrove, con il quale
la cantante torinese ha duettato in un paio di dialoghi purtroppo non del tutto
riusciti. Tra i brani, il tema del Maestro Ennio Morricone scritto per il
film "Nuovo cinema paradiso" e la title track
del nuovo lavoro
Easy to love.
Una musica d'altri tempi, in cui la formidabile capacità dei musicisti non
è sembrata bastare a far crescere le potenzialità di un progetto artisticamente
debole – nel senso della ricerca…– che trova invece nella denominazione di "spettacolo"
(entrateinment) una collocazione più adeguata.
Sergio Cammariere
Una piacevole sorpresa. Dal vivo
Sergio Cammariere
sa davvero emozionare, esprimendosi con lirismo e ricercatezza in uno stile composto
come un mosaico di esperienze tra loro diversissime (musica classica, sonorità sudamericane,
jazz, canzone d'autore). Si passa quindi da ascolti ricchi pathos in cui le escursioni
strumentali diventano protagoniste della scena, ad episodi di radice più cantautorale
dove la profonda ed espressiva voce di
Cammariere,
accompagnata solamente dal piano, incanta per la sua trasparente intimità.
Tanta musica da ascoltare: dai romantici interludi del pianoforte di
Cammariere
ai potenti fraseggi della tromba di
Fabrizio Bosso;
che spesso sanno congiungersi con una tale forza espressiva da rendere quasi superfluo
il ritorno al cantato.
Un'esibizione che certamente non ha rivelato nulla di nuovo sull'artista
di Crotone, già vincitore di premi di grande prestigio come la "targa Tenco" e il
"premio De André" (tralascio volutamente il riconoscimento della critica a Sanremo),
ma che offre l'occasione per confermare un talento di un artista di casa nostra
che, se non si lascerà tentare dalla fame di consensi, potrà sicuramente scrivere
in futuro pagine di ottima musica.
29
dicembre
Due esibizioni questa sera: quelle di
Stefano
Bollani in piano solo e del quintetto di Roy Hargrove, specchio
di due concezioni profondamente diverse di intendere la musica jazz. Da una parte
quella del pianista milanese, ricca di influenze – dalla musica colta a quella brasiliana,
passando per la canzone d'autore italiana –, dall'altra una coscienza musicale più
"schierata", meno eclettica, che ha nella tradizione afroamericana il suo primo
punto di riferimento.
Stefano Bollani Piano Solo
Il concerto inizia con un medley di tre brani di autori brasiliani
– tra cui uno dell'indimenticabile Joao Gilberto – in cui il pianista mescola
uno stile lirico insieme a complesse decostruzioni delle melodie. Le trovate non
sono mai banali: sia nella "semplice" elaborazione melodica che nello sviluppo del
brano dove entrambe le mani iniziano a descrivere, prendendosi gioco dei propri
ruoli tradizionali, linee che si intrecciano e si rincorrono come in una fuga
bacchiana: la sinistra non accompagna, ma ingaggia continui duelli con la mano
destra.
Un grande talento. Immenso per la naturalezza che esprime fra i tasti del
suo pianoforte, per la inesausta fantasia delle sue improvvisazioni e per la tecnica
eccellente con cui le esegue; ed anche per la grande capacità che ha di comunicare
con il pubblico (soprattutto con la musica, oltre che con le sue solite divertenti
battute). Insomma, un artista che continua a crescere e a meravigliare il suo pubblico
– peraltro sempre più vasto – grazie al proprio eclettismo compositivo-improvvisativo
che gli permette di mescolare con naturalezza, musiche di diverse radici culturali
in un impasto di assoluta originalità e freschezza.
Dopo
la coinvolgente esecuzione di Antonia (dal suo
ultimo lavoro in piano solo
con l'ECM), e l'astrattismo di Visione uno (presa
dall'album per la Label Bleu "I
Visionari"),
Bollani
ha chiesto al pubblico – come è consueto fare nei suoi concerti di piano solo –
di proporre dei brani per eseguirli (impastati insieme) in un'estemporanea improvvisazione:
tra le melodie di "Braccio di ferro" ed "Heidi" legate insieme dalla
sua folle genialità,
Stefano
Bollani ha davvero rapito con la sua musica un pubblico mai stanco di
ascoltarlo ed applaudirlo. Aspetteremo quindi con ansia i suoi prossimi lavori per
l'ECM, etichetta con la quale il pianista ha firmato per tre album: in solo, in
trio con la sua ritmica danese, in duo con
Enrico Rava.
Auguri.
Roy Hargrove Quintet
Tra le stelle che hanno brillato nel cielo nero di Orvieto, quella di
Roy Hargrove non è stata di certo quella più luminosa. Nonostante fosse sostenuto
da musicisti straordinari, il trombettista – uno dei più importanti della sua generazione
– non ha sfoggiato un forma ottimale: improvvisazioni brevi, pesanti, che avevano
molta difficoltà a decollare.
Un diverso impatto sul pubblico hanno avuto invece le scorribande del sassofonista
Justin Robinson, tecnicamente impeccabile, forse però troppo impegnato a stupire
il pubblico con scale eseguite a velocità vertiginosa senza fare però molta attenzione
all'interplay.
Detto
ciò, rimane, oltre ogni equivoco, il sound stupefacente del quintetto: uno
swing e una solida fluidità ritmica travolgenti. Ottimi tutti i componenti: dal
pianista Gerald Clayton col suo tocco ritmico, incisivo e minimale; alla
morbida, fantasiosa e solidissima sezione ritmica composta dal batterista Montez
Coleman e dal contrabbassista Joe Sanders.
Toccanti momenti di lirismo quando Hargrove imbraccia il flicorno
soprano, strumento che gli permette di comunicare tutto il calore della sua voce
così profonda ed espressiva. Momenti che durano però solo il tempo di un paio di
ballads, sostituiti poi da quel sound aggressivo, ritmico, e per certi
versi venato di "free" che ha caratterizzato il grosso delle esecuzioni del
quintetto.
Un concerto per orecchie allenate.
30 dicembre
"Uomini in frac" omaggio a Domenico Modugno. Una serata simbolo del
festival: jazz italiano e canzone d'autore. È con l'omaggio alla musica di Domenico
Modugno – primo vero cantautore moderno italiano – che jazz e canzone si incontrano
nuovamente per riaffermare il loro legame nel nome di una rivisitazione italiana
della musica afroamericana. E il risultato è felicissimo. Quasi sorprendente.
Le voci: suggestiva e calzante quella di Peppe Servillo, ricca di
espressione e teatralità come nella bellissima "Cosa sono
le nuvole" di Modugno/Pasolini; più spiazzante quella di Lindo Ferretti,
che canta – nel "Vecchio frac" – soprattutto
sul registro grave usando un timbro molto ruvido, a tratti "spettrale". La band:
fenomenale nello sviluppo delle melodie, nella tensione che riesce a conferire a
ogni brano, ma soprattutto nel sostenere con enfasi e vivacità le improvvisazioni
eccellenti dei solisti. Musicisti eclettici,
Danilo
Rea,
Furio Di Castri,
Gianluca Petrella,
che non a caso sono stati felici di prendere parte al progetto per rendere omaggio
al grande Modugno, l'artista che rivoluzionò la canzone italiana degli anni
cinquanta. Musicisti che – fortunatamente – non incorniciano le proprie creazioni
artistiche in un genere codificato ma che esprimono invece, attraverso la propria
musica, quella voglia di libertà, di fantasia, di volare, che proprio l'artista
pugliese suggeriva con le braccia aperte, protese verso il pubblico.
Sicuramente il maggiore successo della manifestazione. Decretato da un pubblico
mai stanco di applaudire le vibranti interpretazioni di Servillo, come di
consacrare con il battito delle proprie mani la fine di ogni improvvisazione. Un
trionfo.
1 gennaio
Doppio lavoro per
Paolo Fresu,
oggi in scena prima in duo con
Uri Caine,
poi col suo nuovo Devil quartet, di cui è previsto un album per la Blue
Note. Un concerto che permette di scoprire due anime del musicista sardo: quella
jazzistica da una parte, con l'interpretazione di standards americani; quella
più "sperimentale" dall'altra, dove il trombettista (anche se suona molto di più
il flicorno soprano) non si risparmia nell'uso di effetti elettronici per modificare
il timbro del suo strumento.
Paolo Fresu/Uri Caine Duo
Un
concerto facile da prevedere, una volta ascoltato il disco uscito qualche tempo
fa per la Blue Note: standards suonati in uno stile jazzistico convenzionale
(bop acustico), riletti a meraviglia dalla forte personalità dei due musicisti (che
tuttavia non emerge completamente). Uno scenario insolito per due artisti così proiettati
in avanti. È Dear old Stokholm, primo brano,
a suggerirci che non ci saremmo dovuti aspettare sorprese.
Una lunga serie di standards su cui i due musicisti intervengono con
la loro consueta classe, dialogando con sensibilità tra quelle melodie a noi tutti
così familiari. Ma c'è anche spazio per la musica colta: un madrigale scritto da
Monteverdi, eseguito con molta intensità ed apprezzato largamente dal pubblico.
Alternando il flicorno e la tromba,
Fresu,
sembra dominare la scena con quel suo modo di suonare così intenso e naturale. Contrariamente,
Caine,
non è sembrato del tutto a suo agio nei panni del puro pianista di jazz, concedendo
poco soprattutto nelle improvvisazioni.
Finito
il set, si è avvertita l'impressione di aver assistito a un qualcosa di già visto:
un concerto di ottimo livello, dove però la vera anima (l'estro) dei musicisti sembra
aver trovato poco spazio, soffocata da brani fin troppo suonati, e ascoltati.
Paolo Fresu Devil Quartet
È un musicista diverso, quello che troviamo sul palco per la seconda esibizione.
Un Paolo Fresu
non più rannicchiato su una sedia, ma in piedi, con lo sguardo rivolto ai membri
del suo gruppo, il Devil quartet, in attività da oltre tre anni:
Bebo Ferra
alla chitarra,
Paolino
Dalla Porta al contrabbasso e
Stefano Bagnoli
alla batteria.
Il nome del gruppo è nato casualmente, in seguito a una battuta – ovvia –
fatta sul nome del precedente Angel quartet: "…ma suonano come quattro
diavoli" (racconto di Carlo Pagnotta). Ed infatti i due progetti sembrano
in qualche modo essere legati da una sostanziale continuità, sia nell'approccio
timbrico che in quello compositivo, ma soprattutto nella struttura dell'organico
nonostante la maggiore vena acustica di questo ultimo.
Il repertorio del gruppo spazia tra brani originali e non, suonati con una
buona dose di energia, interplay, ma soprattutto con quella voglia di creare in
ogni improvvisazione qualcosa di unico ed irripetibile. Non mancano i suoni elettronici
a filtrare la voce strumentale del musicista sardo che, insieme alla chitarra di
Ferra,
riesce a creare effetti di tensione all'interno di ogni brano: l'elemento più caratterizzante
del quartetto. Un jazz molto moderno, dalle sonorità accese, dove la chitarra e
il contrabbasso con il loro lavoro ritmico-armonico conferiscono alla musica un
sound molto dinamico che permette grande libertà alla fantasia dell'improvvisatore:
l'ottimo Paolo
Fresu.
Un grande talento ormai riconosciuto ovunque, celebrato in questa edizione
di Umbria Jazz Winter da tre concerti (oltre a quelli di cui già si è parlato, uno
anche con il PAF) che ne hanno messo ulteriormente in risalto le doti di
musicista completo e poliedrico.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
01/10/2007 | Intervista a Paolo Fresu: "Credo che Miles sia stato un grandissimo esempio, ad di là del fatto che piaccia o non piaccia a tutti, per cui per me questo pensiero, questa sorta di insegnamento è stato illuminante, quindi molte delle cose che metto in pratica tutti i giorni magari non me ne rendo conto ma se ci penso bene so che vengono da quel tipo di scuola. Ancora oggi se ascolto "Kind Of Blue" continuo a ritrovare in esso una attualità sconvolgente in quanto a pesi, misure, silenzi, capacità improvvisativi, sviluppo dei solisti, interplay, è un disco di allora che però oggi continua ad essere una delle cose più belle che si siano mai sentite, un'opera fondamentale." (Giuseppe Mavilla) |
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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Data pubblicazione: 09/02/2007
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