Uri Caine Trio e Don Byron
Teatro Verdi, Pordenone, 4 aprile 2009
di Giovanni Greto
Uri Caine,
pianoforte
Kenny Davis, contrabbasso
Ben Perowsky,
batteria
Don Byron, clarinetto e sax tenore
Secondo il programma di sala, la serata avrebbe dovuto prevedere una prima
parte nella quale duettavano
Caine
e Byron ed una seconda affidata al trio del pianista. Fortunatamente non
è andata così. Byron e
Caine
hanno eseguito tre brani, "What is this thing called love"
di Cole Porter, dall'andamento cameristico, assai languido, con sonorità altalenanti
quanto a volume e lunghissimi florilegi quasi senza respiro di Byron, sostenuto
da una ostinata cadenza di Caine; la malinconica "Basquiat"
di Don Byron; "Moment's notice" di
John Coltrane,
spezzettata con swing da
Caine,
mentre Byron sceglieva un'emissione di suoni molto acuti all'interno di un
fraseggio sciolto, mai scolastico, che riserva sempre dei percorsi inaspettati,
pur mantenendo una rispettosa base di partenza "mainstream".
Ciò che personalmente ci cattura, ascoltando
Byron, è quel suo non emettere mai un suono superpulito, il voler aggredire
il brano, magari rischiando di prendere qualche stonatura, ma, se è in serata -
a Pordenone lo era - di ingaggiare quasi una lotta tra sé e la scrittura, fino a
stravolgerlo e ad interpretarlo a proprio piacimento che, quasi sempre, coincide
con il gradimento del pubblico. E dopo il ghiotto antipasto, si ascoltano due brani
in trio con un
Perowsky come sempre ispiratissimo e che carpisce la tensione del
pezzo pur suonando in maniera estremamente rilassata. A parte lo strumento, non
si porta dietro nemmeno i piatti, ma fa suonare bene qualsiasi oggetto gli venga
messo a disposizione. Il primo pezzo, "Snaggletooth"
di Caine è intriso di swing – splendida la cavata essenziale di Kenny Davis
al contrabbasso – e si articola con sospensioni e stop. Quando
Caine
fa il solo, Perowsky
lo arricchisce con accenti sparati a raffica sapientemente; si costruisce nei rilanci
dei piccoli assolo facendo crescere la tensione fino ad esplodere con soddisfazione
di chi suona e del pubblico. Il secondo ha un percorso ritmicamente latineggiante
in cui Perowsky
si ritaglia un apprezzatissimo assolo in crescendo con energiche e rinfrescanti
risonanze dei piatti ed un finale, come sempre impeccabile, all'unisono. A questo
punto rientra dalle quinte Byron per eseguire quattro pezzi ed un breve bis
per un pubblico che sarebbe volentieri rimasto fino a notte fonda, ammaliato e rapito
come avviene di rado; soprattutto quando sul palco c'è chi suona davvero con il
cuore.
Entusiasmante per la carica e lo swing "Fosbury
flop" di Byron, che sembra volersi cimentare con un assolo infinito colorato
da Perowsky
che trae dalla sua tavolozza acciaccature, accenti spostati, fendenti bene assestati
sui tamburi.
Caine ascolta centellinando le note e poi parte con un assolo favoloso,
raddoppiando – non so come abbia fatto – a velocità supersonica, pur rimanendo in
souplesse. Inserti ellingtoniani e tanto, tanto gusto esecutivo e di scelta melodica.
E' uno di quei brani che potrebbero durare all'infinito senza che in platea si senta
volare una mosca. C'è spazio anche per Davis, caricato dagli incitamenti
vocali di Byron e dalle spazzole di
Perowsky.
Byron ha utilizzato con saggia parsimonia il sax tenore, che ha imbracciato ormai
da parecchio tempo, non arrivando, almeno per ora, ad un livello soddisfacente quale
quello del clarinetto. Comunque è giusto lasciarlo sperimentare altri strumenti,
quando è in serata come quella friulana. Nel brano successivo c'è spazio anche per
un funky sincopato infiorettato da un clarinetto che induce alla trance,
mentre il contrabbasso e il pianoforte mantengono una solida base ripetitiva ed
ostinata.
Arriva "Body And Soul" al tenore e al
clarinetto e l'arrembante "Joe Btesylk" di
Don Byron in cui nei fraseggi l'autore cita "Bluesette" di
Toots Thielemans
ed il tormentone latino "Macarena" di qualche anno fa, mentre
Caine
accenna a "Waltz For Debby". C'è un drive incredibile tra contrabbasso e
batteria durante l'assolo del primo. Il pubblico si spella le mani ma il concerto
è durato quasi due ore e, forse anche per rispetto verso il personale di sala, c'è
il tempo soltanto per un rapido bis, "WRU",
di Ornette
Coleman.
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30/01/2011 | Una gallery di oltre 60 scatti al New York Winter Jazz Fest 2011: Chico Hamilton, Don Byron, Geri Allen, JD Allen, Butch Morris, Steve Coleman Vernon Reid, Anat Cohen, Aaron Goldberg, Nasheet Waits, Abraham Burton, Eric McPherson...(Petra Cvelbar)
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Data pubblicazione: 09/06/2009
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