Addio Ornette!
giugno 2015
di Gianni Montano
foto di
Petra
Cvelbar
«Io credo che la parola "free" si intoni piuttosto alla condizione
umana in generale.
Ognuno, se ragioniamo in astratto, quando nasce è libero e dovrebbe avere dinanzi
a se infinite possibilità.
Poi in realtà fra questa libertà astratta e l'esistenza c'è la qualità della vita.
La vita è libera quando c'è salute e amore.»
(Ornette Coleman)
Ornette Coleman si è spento ad 85 anni, l'11 giugno scorso,
a Manhattan, dove viveva. Era nato il 9 marzo 1930 in Texas (Fort Worth) e la sua
impronta rimarrà eternamente nella storia di questa musica avendo avuto il merito
più di ogni altro, di aver liberato il jazz da qualsiasi elemento che potesse "imbrigliarlo"
nella convenzionalità.
Il mondo del jazz perde quindi un grande personaggio, uno dei
suoi maestri ancora in vita, un vero rivoluzionario della musica del novecento,
dall'inizio alla fine della sua carriera artistica. Sì, perchè, a ottantacinque
anni compiuti, il sassofonista texano era ancora in attività. Da pochi mesi era
stato, infatti, pubblicato "New vocabulary", attribuito al gruppo eponimo,
un trio completato da due giovani e poco conosciuti strumentisti più, in alcuni
brani, l'ospite Adam Holzman, tastierista noto per la sua collaborazione con Miles
Davis. Come al solito Ornette aveva fatto centro, in questa circostanza, ricevendo
apprezzamenti ed elogi da tutte le riviste specializzate. Ecco un'ennesima conferma
della capacità di Coleman di interagire con la contemporaneità, spesso anticipando
gli sviluppi successivi, mai rimanendo fermo a specchiarsi nella sua arte, né tornando
indietro per autocelebrarsi.
Eppure il musicista afroamericano aveva cominciato presto a irritare o a scandalizzare
l'establishment con un disco come "Free jazz", inciso nel
1960 e assurto subito a stella polare di un genere
che avrebbe da lì in poi utilizzato quel nome per definirsi. Il jazz, a quel punto,
abbandonava le certezze di una scansione regolare, tradiva il sistema tonale per
spingersi oltre, dal punto di vista armonico e ritmico. Da quel momento, ma anche
precedentemente, non sono mancati i detrattori, quelli che negavano valore e dignità
al suono dolente, ricco di pathos e intriso nel blues che proveniva dal sax alto
di plastica, e che sostenevano trattarsi di un vero e proprio bluff tutto quello
che i suoi gruppi producevano.
Ornette ha continuato ad andare avanti imperterrito per la sua
strada, incurante di eventuali critiche, pubblicando altri dischi molto importanti,
oltre a veri e propri capolavori. Fra gli altri sono da ricordare almeno i due volumi
registrati a Stoccolma "At the golden circle" in compagnia di David Izenzon
e Charles Moffett. In sintesi in questi due cd si assiste ad una sorta di spostamento
delle ricerche, delle acquisizioni di Coleman in un ambito più raccolto, cameristico,
Il messaggio trascinante e dirompente di altre situazioni diventa classico, sotto
certi punti di vista, senza diventare accademico. Sublime e subliminale.
E' degli anni ottanta, poi, "In all languages", doppio
album alquanto particolare: in un capitolo si assiste ad una sorta di reunion (ma
siamo lontanissimi dal revival) dello storico quartetto, quello con Don Cherry,
Charlie
Haden e Billy Higgins, nell'altro è protagonista il Prime time, l'ensemble
free funk che aveva ancora una volta indignato i puristi. Molti non avevano capito
e digerito il carattere della svolta elettrica, in realtà col Prime time, sia dal
vivo che su disco, Ornette è riuscito a tirar fuori tanta bella musica pulsante,
energetica, griffata dal fraseggio unico del suo sassofono.
Oltre al sax, Coleman ha tormentato la tromba e il violino, utilizzando
i due strumenti in modo naif, eterodosso, con una non tecnica esibita, per aggiungere
colori alla tavolozza del suo sound inconfondibile, perchè il sassofonista americano
era egli stesso un tipo "naif", decisamente, come sosteneva d'altra parte
Giorgio Gaslini.
Non si poteva neppure prenderlo troppo sul serio, perciò, quando enunciava le sue
teorie armolodiche, molto simili nel fondo al mitico uccello, l'araba fenice "dove
sia nessun lo dice, cosa sia nessun lo sa...". Meglio molto meglio lasciar perdere
il musicologo e continuare ad ascoltare i suoi dischi, tutti di livello, dove sono
banditi i clichè, le ripetizioni, il deja vu. E' per questo che, malgrado l'età
anagrafica, si piange la morte di un'anima giovane, in movimento, un musicista sempre
all'avanguardia come scelta necessaria di vita.
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 15/06/2015
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