Quattro chiacchiere con…Filomena Campus
agosto 2011
A cura di Alceste Ayroldi
Dalla Sardegna a Londra il passo non è proprio breve. Come e perché sei approdata
in Inghilterra?
Nel 2001 ho deciso di lasciare la Sardegna per
un Master in regia teatrale alla University of London (Goldsmiths College). Un'esperienza
che mi ha fatto crescere e che mi ha permesso di conoscere registi e artisti che
hanno fortemente influenzato il mio lavoro teatrale e musicale.
Quell'anno ho avuto la fortuna di incontrare musicisti del calibro di Orphy Robinson,
Rowland Sutherland, Jean Toussaint, Dudley Phillips, Guy Barker.
Oltre a splendide amicizie, sono nate solide collaborazioni musicali che hanno dato
e stanno dando ancora molti frutti. Anche se Londra è una città molto difficile
mi sono sentita accolta e incoraggiata nei progetti sia teatrali che musicali, e
arricchita enormemente dalla realtà multiculturale londinese. Non sono più riuscita
a tornare.
Vocalist, regista teatrale, docente universitaria: quale è il tuo background
culturale?
Ho una laurea in lingue e letterature straniere con una specializzazione in semiotica
del teatro. L'arte, la comunicazione, il teatro e la musica sono le mie grandi passioni
e negli ultimi anni sono riuscita a fondere questo aspetto ‘multimediale' del mio
lavoro in progetti importanti. Ho insegnato regia teatrale, live art e performing
arts per diversi anni in alcune università inglesi, ma dallo scorso anno ho deciso
di concentrarmi solo sulla parte creativa e ho quindi lasciato il contratto di insegnamento.
La parte accademica continua a interessarmi, ma insegnare a tempo pieno richiede
una dedizione che il mio amore per la musica non mi permette più.
Quale è stato l'anello di congiunzione con il jazz?
L'amore per il jazz c'e' sempre stato, ma la spinta fu l'incontro con
Paolo Fresu
e Maria Pia
De Vito ai seminari jazz di Nuoro. Capii immediatamente che il jazz
era la mia strada, e la mia vita cambiò radicalmente. Ho sempre portato avanti lo
studio della letteratura, del teatro e della musica su binari diversi. Solo a Londra
c'è stata una vera e propria fusione, con la sperimentazione e la scoperta di nuove
realtà, come ad esempio il free di Evan Parker e della London Improvisers
Orchestra, in cui l'aspetto performativo era esplorato nel suo rapporto con i suoni
a volte viscerali e i ritmi sparsi, irregolari. L'aspetto ‘rituale' della performance,
la magia che si crea sul palco nel rapporto tra performer e ‘spett-attore' mi ha
sempre affascinato ed è un aspetto che esploro e curo particolarmente nei miei concerti.
Tu sei una esploratrice della voce. Rispetto al passato, secondo il tuo giudizio,
quali sono le strade della sperimentazione? Cosa c'è di nuovo?
Mi interessa l'uso della voce come strumento, la ricchezza infinita di suoni che
vengono troppo spesso limitati all'uso della ‘parola' nella melodia e qualche lieve
variazione. Ho una stima immensa per chi sperimenta e sa osare. Ho avuto una grande
maestra come
Maria Pia De Vito, e sicuramente anche Maria Joao,
Sheila Jordan,
Betty Carter, Norma Winstone hanno avuto un ruolo importante nella
mia formazione. Devo dire che, a parte rari casi come Cleveland Watkiss, ultimamente
non ho incontrato vocalists interessati a uscire dagli schemi del jazz vocale tradizionale,
mainstream. E trovo ancora ispirazione nelle opere per me visual-vocal di Lauren
Newton, Ursula Dudziak,
Jay
Clayton…
Da "inglese", un tuo giudizio sul jazz italiano…
Elegante, melodico, poetico, emozionante.
Da "italiana", un tuo giudizio sul jazz inglese, europeo e americano…
Nel jazz inglese ci sono diverse ‘categorie' che vanno dal jazz più tradizionale
e americaneggiante di Guy Barker, più vicino a Marsalis, a quello piu europeo
di Andy Sheppard
o John Taylor, a quello ritmicamente e armonicamente complesso che ha radici
nel jazz americano di Jean Toussaint o jamaicano/africano nelle incredibili
composizioni di Orphy Robinson, Rowland Sutherland, Denise Baptiste, Byron Wallen…una
varietà che è lo specchio di una società con radici lontane e molto diverse.
Nel 2003 hai fondato il collettivo Theatralia:
ce ne vorresti parlare?
Theatralia è un collettivo di artisti che sperimenta sul testo attraverso teatro
fisico, digital art, live art, musica e multimedia. Il gruppo cambia a seconda del
progetto, e dal 2005 abbiamo realizzato produzioni
di successo che hanno avuto importanti riconoscimenti come la sponsorizzazione dell'Arts
Council England, che ha finanziato produzioni come U-238 (adattato dallo
splendido testo di Marco Paolini, che ha assistito allo spettacolo al Camden People's
Theatre), e Misterioso di Stefano Benni ai prestigiosi Riverside Studios
(teatro storico in cui recitarono da Samuel Beckett a Dario Fo). Tra un progetto
e l'altro organizzo gli ‘Interludes' di Theatralia, degli happenings di improvvisazione
totale che coinvolgono musicisti, attori, danzatori e visual artists come Sdna (www.sdna.tv)
con cui collaboro da molti anni.
Quanto di "teatralità" c'è nelle tue composizioni? Ti senti più cantante o
attrice?
La mia scrittura è molto ‘teatrale', a volte creo dei veri e propri personaggi,
come la cattivissima creatura del brano ‘Hoos Foos' per la quale indosso una mezza
maschera durante il concerto. Nella tradizione della commedia dell'arte la ‘half
mask' ha proprio la caratteristica di essere umana solo a meta', per cui l'altra
parte e' irriverente e non conosce regole, come quella di Arlecchino. Ho notato
che gli spettatori e soprattutto i bambini si spaventano, ma restano ad ascoltare
curiosi, quasi ipnotizzati fino alla fine del pezzo, fino a quando cioè tolgo la
maschera. Reazioni diverse si hanno quando improvviso come in un ‘grammelot' con
il naso rosso da clown. Mi sento più cantante, anche se mi rendo conto che la regista
e' sempre presente. Forse un po' brechtianamente.
Jester Of Jazz (Giullare del Jazz), il tuo lavoro discografico racconta il
tuo ruolo nella musica, nell'arte?
Sicuramente. Mi sento giullare come nel significato originale del termine, che fu
il motivo del premio Nobel a Dario Fo, "che nella tradizione dei giullari medievali
fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati". Come artista mi sento
responsabile dei tempi che stiamo vivendo e credo che ogni possibilità di riflettere,
anche se attraverso un naso rosso o una dolce canzone, possa essere importante e
produca qualche beneficio, o almeno un dubbio, un punto di domanda nella mente dello
spettatore. Credo che in questo caso l'insegnamento di maestri come Boal, Barba,
Brecht, DV8, Complicite, Bausch e tanti altri si sia radicato nella mia esperienza
quotidiana e nel mio lavoro. Franca Rame, in una nota al testo che ho scritto per
lei, Queen of Clowns, mi ha fatto riflettere molto su questo aspetto, ricordandomi
che se ho qualcosa da dire non devo sussurrarlo ma avere il coraggio di dirlo a
piena voce.
Un lavoro che si ritaglia il ruolo di crocevia tra jazz, contemporanea e
teatro: come è nato?
Per anni mi sono posta il problema di essere troppo ‘eclettica', di trovare il modo
e il tempo necessario per curare ogni aspetto in modo professionale. Quando ho smesso
di pormi troppi problemi ho capito che invece questa' e' proprio la mia forza, il
mio talento, sono semplicemente io. Il primo frutto di questa accettazione o consapevolezza
è proprio l'album Jester of Jazz.
Anche Paolo Fresu ha voluto contribuire "live" al tuo lavoro. Quale è stato
il suo valore aggiunto?
Oltre a un'autentica amicizia nutro per Paolo grande stima e gratitudine. E' stato,
e continua ad essere, un esempio sotto molti punti di vista, dal suo amore per il
jazz a quello per la nostra Sardegna. Nelle sue note di copertina al mio Cd ha colto
un lato che io non avevo ancora messo a fuoco nella mia musica, cioè le radici sarde,
gli echi delle voci ancestrali delle madri, che ritrovo, stupita e a volte commossa,
nel mio canto.
La presentazione del disco a Londra per due concerti insieme (al Pizza Express di
Dean Street) ha arricchito i nostri brani di un suono unico che si e' sposato magnificamente
con i testi, con le armonie, e che ha portato l'improvvisazione in direzione inaspettate,
sorprendenti. Spero davvero che sia solo l'inizio di future collaborazioni.
Pensi di ritornare in Italia?
Torno spesso in Italia, la mia famiglia vive in Sardegna e le radici sono molto
forti. Ora vivo tra Londra e Berlino e devo confessare che, almeno per ora, non
ho un grande desiderio di tornare a vivere in Italia. In realtà mi sento assolutamente
cittadina europea, mi sposto continuamente per concerti e viaggiare è una condizione
in cui mi trovo a mio agio. Talora soffro per il mio paese, perché ha una bellezza
di natura, arte e architettura che altri paesi non potranno mai avere, ma noto con
molta amarezza un imbarbarimento negli ultimi anni, che a volte trovo imbarazzante.
Spero però che ci sia un risveglio delle coscienze e che si ritrovino il gusto e
l'eleganza che fino a non molto tempo fa ci appartenevano.
Quali sono i tuoi prossimi obbiettivi, i tuoi programmi?
Sto lavorando a un nuovo progetto in duo con un bravo chitarrista di origini sarde
che vive a Londra da molti anni,
Giorgio Serci,
con cui abbiamo già fatto alcuni concerti molto belli in Croazia e a Capalbio. In
questo progetto ci sono composizioni completamente originali con musiche di Serci
e testi miei, oltre a poesie e brevi testi di varie ispirazioni (Niki de Saint Phalle,
Maria Carta, Jack Hirschman, Chico Buarque, Boal e altri…) Inoltre voglio
tornare presto in studio di registrazione per un secondo cd con il quartetto.
La tua attuale playlist…
Soundsongs – Lauren Newton
Giornale di Bordo – Angeli, Salis, Murgia, Drake
Meu Caro Amigo – Chico Buarque
Ginga Carioca – Hermeto Pascoal
Chiaro – Luca Aquino
Un Giorno feriale –
Pietro Tonolo
The conference – Nitin Sawhney
Crepuscule with Nellie – Norma Winstone
Brilliant Corners – Monk
Sonos e Memorias – Fresu
Pina Soundtrack – (Wim Wenders Film)
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COMMENTI | Inserito il 20/9/2011 alle 17.22.53 da "kinamour" Commento: Bellissima e bravissima. Mille auguri per i nuovi progetti. Agnese | |
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Data pubblicazione: 18/09/2011
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