John Pizzarelli Trio (Perugia, Giardini Carducci - 20 luglio 2001)
Marco Losavio (marco@jazzitalia.net)
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Siamo arrivati da poco a Perugia
e l'atmosfera è subito coinvolgente: molti
giovani, alcuni si esibiscono per strada (devo dire con ottimi risultati), sul palco dei
Giardini Carducci già iniziano i concerti gratuiti e, guardando il programma,
il primo di mio interesse è alle
18,00
con il John Pizzarelli
Trio. E' un trio molto affiatato con numerose esibizioni dal
vivo alle spalle e qualche incisione, tra cui l'ultima
Let
There Be Love (Telarc).
Neanche il tempo
di guardarci intorno che dalle scale laterali a Piazza Italia, arriva
solitario John
Pizzarelli con la sua chitarra, pronto per un rapido sound check e per
iniziare il concerto.
Ovviamente lo fermo e lo saluto e lui, subito cordiale e disponibile, prima mi
fa i complimenti per una camicia un po' cromatica che indossavo e poi mi da
appuntamento nel backstage.
Ci vediamo quindi nel retropalco e cominciamo a chiaccherare. Gli accenno ad un
famoso aneddoto letto in un'intervista secondo cui suo padre Bucky lo
costringeva a suonare bene
Avalon
prima di pranzo. Ride compiaciuto e conferma
sottolineando inoltre che la richiesta era proprio su un brano difficile come Avalon e
non su qualcos'altro. Evidentemente Bucky aveva già intuito che il figlio
sarebbe diventato un ottimo musicista.
Guardo il fodero della sua chitarra e non resisto nel chiedergli se per caso
avesse portato con se la mitica Benedetto a 7 corde. Ovviamente no, troppo
rischioso mi dice, al suo posto utilizza già da un po', anche sui dischi, una Moll modello
John Pizzarelli. La
prende e me la mostra, la pubblicizza un po' dicendomi che costa
"solo" 4.000 dollari (che comunque sono niente in confronto ai 20.000
della Benedetto), e sostiene che ha un ottimo suono, è in massello, ha la
caratteristica settima corda ed è costruita da questo liutaio con cui oramai
collabora già da un po' anche suo padre (che usa un 7 string Classic Custom
model) e che gli sembra lavorare molto bene.
In effetti la chitarra ha un design essenziale, cassa media, si intravede subito l'utilizzo
di legni di qualità, provata da spenta ha mostrato un'acustica davvero
notevole. Il manico con tastiera in ebano, nonostante le 7 corde (la settima è un
La di spessore 0.70
e il Mi basso è 062!), è morbido e consente di suonare voicing pieni e precisi
anche nella parte alta, inoltre rende agevole l'uso della settima corda
utilizzata o come raddoppio del basso o per i walkin' .
Le meccaniche sono
Shaller, il ponte è in ebano e il pickup è un custom costruito da Kent
Armstrong (vero guru dei pickup) appositamente per Moll. La chitarra ha, infine,
solo una manopola per il volume, nessun tono. Ricorda un po' la linea, più
industriale, costruita
dalla Heritage, casa fondata da vecchi liutai della Gibson proprio per ricreare
chitarre essenziali, un po' old-style, ma con legni di ottima qualità.
Come amplificatore sul
palco c'era un Fender Twin che pare non fornirgli un'amplificazione ideale
(li trova un po' troppo "forti") ma è sufficientemente
versatile, inoltre lo preferisce, ad esempio, al Polytone in quanto lo ritiene
troppo scuro. Di solito usa anche gli Ultrasound.
Dopo aver parlato un po' della chitarra mi ha detto che è stato contento di
avere questi appuntamenti giornalieri con il pubblico di Umbria Jazz sia nei
concerti gratuiti (p.zza IV Novembre e Giardini Carducci) sia la sera alla
Bottega del Vino. E, aggiungo, dieci giorni per venti concerti non è da tutti.
Lo chiamano per l'inizio del concerto e, insieme al fratello Martin
(contrabbasso) e a Ray Kennedy (piano) cominciano ad offrire al pubblico un
repertorio di standard americani noti e meno noti (brani di compositori come Sammy Cahn, George
e Ira Gershwin, Johnny Mercer, Jimmy Van Heusen, Cole Porter...) ma tutti con molto swing.
E
infatti lo swing è il vero protagonista di questo concerto, radicato nel DNA di
Pizzarelli ma anche nei suoi accompagnatori. Martin al contrabbasso non si
scompone e non fa soli, ma essere metronomici su questi brani e sostenerne
armonicamente le strutture non è affatto semplice (vi ricordo l'assenza della
batteria). Il pianista Ray Kennedy,
invece, si è subito rivelato vero partner di John, integrandosi perfettamente
con la chitarra e sfoggiando soli di ottima fattura riscuotendo numerosi
applausi.
Ma la scena è per John, un catalizzatore che riesce a catturare l'attenzione
del
pubblico sia con la voce che, soprattutto, con la sua chitarra che non smette un
attimo di suonare. Dal punto di vista tecnico John sorprende subito tutti mostrando una padronanza
assoluta dello strumento che diventa ancora più rilevante se si pensa che
canta su tutti i brani. In un brano ha effettuato un solo con armonici
aiutandosi con la mano destra per posizionare l'armonico in funzione dei
movimenti della mano sinistra. Il tutto a velocità notevole oltre che con ritmo
ed una pulizia sempre impeccabili.
L'accompagnamento di John sembrava sostituire le spazzole di
una batteria; ritmicamente costante, pulito, tra i cambi di giro armonico grazie
a delle veloci pennate raddoppiate creava degli stacchi di gusto.
I
soli sono stati sempre di ottimo livello, sia su singola linea (spesso
accompagnandosi con uno scat contemporaneo mai sfasato e con un'estensione
eccellente), che ad accordi con una costruzione tipica del chitarrismo di cui
suo padre è ancora oggi uno dei massimi esponenti. Immancabili alcuni
riferimenti stilistici che fanno e faranno parte del linguaggio chitarristico di
tanti come l'avanzamento per terzine di marca Charlie Christian
(vedi solo di Grand Slam).
La voce è molto modulata, l'esposizione della melodia è
tradizionale e non azzarda ma su ballad lente come
My Funny Valentine
e
Night
& Day si avverte un'intonazione perfetta. Su quest'ultimo, in particolare, ci sono
stati dei cambi di velocità esaltanti e un po' in tutti i brani c'erano obbligati
ritmici e armonici in cui il trio è stato sempre perfetto, soprattutto nei
finali mai banali, collaudatissimi, neanche si guardavano. Venivano utilizzati voce, chitarra e piano (spesso
con una terza o una quinta di differenza) in stile sezione sax. Insomma, John
Pizzarelli è un vero motore armonico e ritmico e l'affiatamento col fratello
Martin e, soprattutto, con Ray Kennedy hanno reso questo concerto estremamente
gradevole, di pregevole fattura.
L'unico appunto lo vorrei fare solo al suono della chitarra un po' troppo compresso e piatto.
Nel finale ha fatto ingresso anche la moglie di John Pizzarelli, Jessica
Molaskey che vanta svariate performance nei musical di Broadway.
Hanno eseguito tre brani e la voce della Molaskey si è rivelata molto valida,
inoltre hanno aggiunto un pizzico di dolcezza in più al concerto :-))
Due bis, molti applausi, grande disponibilità nel backstage per foto e
autografi, sempre sorridente, John Pizzarelli ha trasmesso a tutti una
sensazione di gioia dell'essere musicista di jazz, e ha fornito un contributo
importante nella divulgazione di questa musica. Ottima scelta da parte
dell'organizzazione, complimenti.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
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Data pubblicazione: 07/08/2001
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