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Francesco Cafiso, l'enfant prodige che vuole crescere
di Antonio Terzo
foto di Paolo Acquati

Si apre come ci si aspetterebbe, ossia con la familiare arpa di Just Friends, l'omaggio che Francesco Cafiso, sedicenne altoista di Vittoria, Ragusa, ha reso giorno 9 luglio all'evento che vide Charlie Parker, Bird, suonare a seguito di un'orchestra di archi, per dar vita all'album che sarebbe passato alla storia con il nome di "Bird with strings". E "Francesco Cafiso & strings" si intitola questo concerto, che il giovane sassofonista suona alla testa dei Solisti di Perugia, a sottolineare le analogie ma anche le differenze con l'inarrivabile originale. Autentiche pure le partiture orchestrali di Dan Morgensten, che l'organico segue meticolosamente, ma che Cafiso, invece, si guarda bene dall'eseguire in modo filologico, evitando cioè di suonare tanto pedissequamente quanto sterilmente gli assolo di Parker: il risultato è perciò molto genuino, e permette al titolare di metterci del suo, di soffiare alla propria maniera, rispettando in ciò il "concept" parkeriano. Anche Everything Happens To Me procede con una esecuzione lineare, essenziale e puntuale, così come April in Paris, lancinante l'assolo dell'altoista, vibrato ed intenso. I brani si susseguono e ad ogni chiusura è un tripudio d'applausi, da parte di un Teatro Morlacchi stracolmo di spettatori: vi spiccano senza dubbio Out of nowhere, per la sincerità nell'approccio, con intervento del sax sì tematico ma anche personale, Laura, dove netta è l'acquisizione di maturità di Caifso, scrollatosi di dosso pure certe inflessioni stereotipate e di maniera che inevitabilmente ne avevano accompagnato l'ascesa come "fenomeno", l'ammiccante They Can't Take That Away From Me, ed una languida e deliziosa I'm in the mood for love. Forse l'unico pezzo che suona piuttosto ostentato ed artificioso risulta Summertime, ma il pubblico pare comunque apprezzarlo. E se fino a What is this thing called love i più attenti ed appassionati si saranno di certo accorti che la scaletta originale del vinile è stata totalmente rispettata, di seguito subentrano alcune "sorprese" quali Stardust, Yesterdays, una rilassata I should care… Da registrare in chiusura il pregevole break di Stefano Bagnoli, condotto tutto sulle sue spazzole fruscianti ed ammaliatrici, sebbene non da meno siano gli altri membri ormai fissi del quartetto di Cafiso, Riccardo Arrighini al piano e Aldo Zunino al contrabbasso. E come bis, un'immancabile Cherokee, in quartetto e senza orchestra, che, raddoppiando in assolo la velocità esecutiva del nostro – assolutamente a proprio agio fuori da ogni schema se non quello dell'anima del brano – ha letteralmente tirato giù il teatro.

Questo quanto è avvenuto il 9 luglio ad Umbria Jazz '05. Ed è di poco tempo prima la notizia che l'autorevole Downbeat ha inserito l'esibizione di Cafiso al "Pescara Jazz Festival" del 2002, in duo con Franco D'Andrea, nella lista dei venticinque eventi più significativi di tutti i tempi fra tutti i festival del mondo, a fianco delle performances di Hancock, Shorter, Davis, Elligton.
Nel bene e nel male, dunque, di questo sedicenne musicista si parla, si discute, si ascolta e soprattutto lo si vede crescere. E la nostra curiosità non poteva non portarci a cogliere, proprio a Perugia,
giorno 10 luglio, l'occasione di incontrarlo e fargli direttamente qualche domanda.

A.T.: Partiamo proprio da Umbria Jazz '05 e dal progetto che propone la mitica session "Birds with strings": cosa hai provato quando ti è stata prospettata quest'idea?
F.C.: Sento di stare avendo un'opportunità che pochi sassofonisti hanno nella loro vita, ripetere un evento, ossia Charlie Parker con l'orchestra, per cui per me è una grande soddisfazione, un impegno importante, quasi una missione, per la quale ringrazio Umbria Jazz.

A.T.: C'è un recupero filologico delle partiture, per i temi, ma per quanto riguarda gli assolo è invece farina del tuo sacco.
F.C.: Sì, i temi, gli arrangiamenti sono tratti dalle partiture originali, mentre gli assolo sono mie improvvisazioni libere, in cui faccio ciò che è mio e non certo quello che ha suonato Bird...

A.T.: Quindi un approccio che non pretende di riprodurre qualcosa che di per sé stessa sarebbe irripetibile…
F.C.: Infatti, anche perché secondo me sarebbe sbagliato e soprattutto io sarei falso: fare qualcosa che non è frutto dell'ispirazione musicale del momento, qualcosa che è scritta, non mi darebbe né divertimento, né emozione!

A.T.: Hai suonato in tour in duo con il maestro Franco D'Andrea, una delle persone che più ha creduto in te: che ricordo hai di quell'esperienza che risale ormai a circa due anni fa?
F.C.: Franco D'Andrea è uno dei pochi musicisti che davvero ha creduto in me, fin dall'inizio, che non si è tirato indietro quando c'era da suonare al "Pescara Jazz Festival" nonostante io avessi allora tredici anni. Quindi per me è stata una grande fortuna, m'ha portato tanta fortuna: lui ha avuto una grande responsabilità, ed io ho suonato con uno dei più grandi pianisti italiani.

A.T.: E da allora hai fatto tantissimi incontri: ce ne racconti?
F.C.: Sono stato 3-4 volte a New York, sempre grazie a Umbria Jazz, dove ho conosciuto numerosi musicisti, una grande esperienza. E poi suonare in una città dove ci sono tutti i più grandi… La prima volta che ho suonato a New York mi venne consegnato il premio dell'International Jazz Festivals Organization, l'organizzazione dei festival internazionali del jazz, e ho suonato davanti a Percy Heath, Clark Terry, Wynton Marsalis, la Lincoln Center Orchestra, quindi una grande responsabilità e soprattutto un'enorme emozione.

A.T.: E questo rapporto particolare con Wynton Marsalis?
F.C.: Musicalmente è il più grande trombettista e musicista dei nostri tempi. Poi c'è anche un rapporto amichevole, siamo quasi come fratelli, ci vogliamo bene tantissimo. Sono stato a New York due settimane fa e non ci siamo potuti incontrare, ma ci siamo sentiti telefonicamente.

A.T.: Per quanto riguarda le attese ed aspettative che si sono venute a creare attorno a te, molti ritengono che ci sia un grande talento che si farà: ma Francesco Cafiso cosa ne pensa?
F.C.: Fortunatamente questa cosa si sta spegnendo, adesso molti mi considerano "il musicista" Francesco Cafiso, anche chi in precedenza non "osava" definirmi "musicista"…

A.T.: E tu senti il peso di questa responsabilità del "sedicenne" che non si sa cosa diventerà fra dieci anni?
F.C.: No, per niente: io suono e basta.

A.T.: E allora, fra una decina-ventina d'anni come si vede Francesco Cafiso?
F.C.: Fino ad adesso è stato tutto naturale, senza alcuna forzatura, sia musicalmente che per quanto riguarda la partecipazione ai festival: spero che proceda così. Certo lo studio deve supportare tutto, se c'è lo studio oltre al talento, si fa esperienza e si continua ad andare avanti e migliorare. Perché la musica non finisce mai, è infinita.

A.T.: Talento e studio. Sentendoti suonare, c'è chi ha ritenuto che tu studiassi e facessi riferimento a "patterns" e trascrizioni dei grandi, e chi invece ha dichiarato come tu non sapessi neppure cosa fosse andarsi a leggere gli assolo di Parker, tutto scaturendo da dentro, spontaneamente.
F.C.: Infatti ho fatto riferimento soltanto ad una trascrizione, di Miles Davis, So What, ma poi ho ascoltato tutto, da Charlie Parker a John Coltrane, Eric Dolphy, ho cercato di non fossilizzarmi mai su un musicista soltanto. E poi adesso vorrei comporre, alcune cose le ho già scritte. Quindi cerco al contrario di essere quanto più possibile originale.

A.T.: E cosa ascolti oggi per aiutare questa tua maturazione artistica?
F.C.: Ascolto tutto, pianisti come Mehldau, contrabbassisti come Mingus, l'orchestra di Duke Ellington, di tutto, non c'è un musicista che ascolto in particolare, perché ciascun musicista ha qualcosa di proprio, di diverso, di buono rispetto ad un altro.

A.T.: Contraltisti?
F.C.: Anche lì… Jackie Mclean per esempio sembra stonato, ma in realtà ha creato un suo stile e riesce a trasmettere qualcosa con quel suo mood nero; ed è diverso da Phil Woods, che invece possiede una tecnica straordinaria, ha un suono diverso, è differente nelle progressioni, nel modo di pensare alla musica. Charlie Parker è ancora più nero, molto blues, tonale, John Coltrane invece è modale. Tutti hanno qualcosa di personale, di proprio.

A.T.: Hai mai pensato di cambiare sax, per esempio passare al tenore?
F.C.: No.. Ho in effetti provato il baritono e mi piace molto, ma per adesso mi sentirete ancora al contralto!

 







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Data pubblicazione: 16/09/2005

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