Sento di stare avendo un'opportunità
che pochi sassofonisti hanno nella loro vita, ripetere un evento, ossia Charlie
Parker con l'orchestra, per cui per me è una grande soddisfazione, un impegno
importante, quasi una missione, per la quale ringrazio Umbria Jazz.
A.T.: C'è un recupero
filologico delle partiture, per i temi, ma per quanto riguarda gli assolo è invece
farina del tuo sacco.
F.C.: Sì, i temi, gli arrangiamenti
sono tratti dalle partiture originali, mentre gli assolo sono mie improvvisazioni
libere, in cui faccio ciò che è mio e non certo quello che ha suonato Bird...
A.T.: Quindi un approccio
che non pretende di riprodurre qualcosa che di per sé stessa sarebbe irripetibile…
F.C.: Infatti, anche perché
secondo me sarebbe sbagliato e soprattutto io sarei falso: fare qualcosa che non
è frutto dell'ispirazione musicale del momento, qualcosa che è scritta, non mi darebbe
né divertimento, né emozione!
A.T.:
Hai suonato in tour in duo con il maestro
Franco D'Andrea,
una delle persone che più ha creduto in te: che ricordo hai di quell'esperienza
che risale ormai a circa due anni fa?
F.C.:
Franco D'Andrea
è uno dei pochi musicisti che davvero ha creduto in me, fin dall'inizio, che non
si è tirato indietro quando c'era da suonare al "Pescara Jazz Festival" nonostante
io avessi allora tredici anni. Quindi per me è stata una grande fortuna, m'ha portato
tanta fortuna: lui ha avuto una grande responsabilità, ed io ho suonato con uno
dei più grandi pianisti italiani.
A.T.:
E da allora hai fatto tantissimi incontri: ce ne racconti?
F.C.: Sono stato 3-4 volte
a New York, sempre grazie a Umbria Jazz, dove ho conosciuto numerosi musicisti,
una grande esperienza. E poi suonare in una città dove ci sono tutti i più grandi…
La prima volta che ho suonato a New York mi venne consegnato il premio dell'International
Jazz Festivals Organization, l'organizzazione dei festival internazionali del
jazz, e ho suonato davanti a Percy Heath,
Clark Terry,
Wynton Marsalis, la Lincoln Center Orchestra, quindi una grande responsabilità
e soprattutto un'enorme emozione.
A.T.: E questo rapporto
particolare con Wynton Marsalis?
F.C.: Musicalmente è il
più grande trombettista e musicista dei nostri tempi. Poi c'è anche un rapporto
amichevole, siamo quasi come fratelli, ci vogliamo bene tantissimo. Sono stato a
New York due settimane fa e non ci siamo potuti incontrare, ma ci siamo sentiti
telefonicamente.
A.T.:
Per quanto riguarda le attese ed aspettative che si sono venute a creare
attorno a te, molti ritengono che ci sia un grande talento che si farà: ma Francesco
Cafiso cosa ne pensa?
F.C.: Fortunatamente questa
cosa si sta spegnendo, adesso molti mi considerano "il musicista" Francesco Cafiso,
anche chi in precedenza non "osava" definirmi "musicista"…
A.T.: E tu senti il peso
di questa responsabilità del "sedicenne" che non si sa cosa diventerà fra dieci
anni?
F.C.: No, per niente: io
suono e basta.
A.T.:
E allora, fra una decina-ventina d'anni come si vede Francesco Cafiso?
F.C.: Fino ad adesso è
stato tutto naturale, senza alcuna forzatura, sia musicalmente che per quanto riguarda
la partecipazione ai festival: spero che proceda così. Certo lo studio deve supportare
tutto, se c'è lo studio oltre al talento, si fa esperienza e si continua ad andare
avanti e migliorare. Perché la musica non finisce mai, è infinita.
A.T.: Talento e studio.
Sentendoti suonare, c'è chi ha ritenuto che tu studiassi e facessi riferimento a
"patterns" e trascrizioni dei grandi, e chi invece ha dichiarato come tu non sapessi
neppure cosa fosse andarsi a leggere gli assolo di Parker, tutto scaturendo da dentro,
spontaneamente.
F.C.: Infatti ho fatto
riferimento soltanto ad una trascrizione, di Miles Davis,
So What, ma poi ho ascoltato tutto, da Charlie
Parker a
John Coltrane, Eric Dolphy, ho cercato di non fossilizzarmi
mai su un musicista soltanto. E poi adesso vorrei comporre, alcune cose le ho già
scritte. Quindi cerco al contrario di essere quanto più possibile originale.
A.T.: E cosa ascolti
oggi per aiutare questa tua maturazione artistica?
F.C.: Ascolto tutto, pianisti
come Mehldau,
contrabbassisti come Mingus, l'orchestra di Duke Ellington, di tutto,
non c'è un musicista che ascolto in particolare, perché ciascun musicista ha qualcosa
di proprio, di diverso, di buono rispetto ad un altro.
A.T.: Contraltisti?
F.C.: Anche lì… Jackie
Mclean per esempio sembra stonato, ma in realtà ha creato un suo stile e riesce
a trasmettere qualcosa con quel suo mood nero; ed è diverso da
Phil Woods, che invece possiede una tecnica straordinaria, ha
un suono diverso, è differente nelle progressioni, nel modo di pensare alla musica.
Charlie Parker è ancora più nero, molto blues, tonale,
John Coltrane
invece è modale. Tutti hanno qualcosa di personale, di proprio.
A.T.: Hai mai pensato
di cambiare sax, per esempio passare al tenore?