Piazza Jazz 2009
31 luglio – 2 agosto, Piazza Armerina
di Antonio
Terzo
La Sicilia, come tutta la penisola, non attraversa certo un buon momento
sul piano culturale, e la musica ne risente di conseguenza; anche – e soprattutto
– il jazz. Probabilmente è per questo motivo che spiccano quelle realtà dove cuore
e passione sono il motore primo, e tutto il resto viene dopo.
Fra queste realtà va sicuramente annoverata la prima edizione di Piazza
Jazz, festival che, unendo sotto la direzione artistica di
Giovanni
Mazzarino gli sforzi dell'associazione culturale "Non Solo Jazz" e dell'illuminata
amministrazione comunale targata Carmelo Nigrelli, per tre giorni ha fatto
risuonare di musica e cultura la città dei mosaici, grazie pure a protagonisti di
rilievo internazionale.
Apre le danze il quartetto di Roberta Marchese,
inaugurando il Chiostro dell'ex Convento di Sant'Anna, rimasto chiuso per vent'anni,
con un programma di brazilian jazz a tempo di bossa nova. Un avvio molto leggero,
dove l'allegra voce della Marchese, accompagnata da chitarra acustica, basso a cinque
corde e batteria, si cimenta in prevalenza nel repertorio del grande Antonio Carlos
Jobim, del quale canta con trasporto Águas De Março,
Chega De Saudade, il medley composto da
Este Seu Olhar/Desafinado/Garota
de Ipanema e sul finire Insensatez
(How Insensitive), toccando anche altri importanti autori del genere, da Geraldo
Pereira con A Falsa Baiana, a Luis Melodia con
una fresca e pimpante A Voz do Morro (intriganti
gli accenti spostati della batteria sulle spazzole e ripresa del tema ad opera del
basso), da Rio di Roberto Menescal a
Brasil (Meu Brasil Brasileiro) di Ary Barroso,
dove si evidenzia la chitarra.
Su
tutt'altro registro si muove il concerto al Chiostro dei Gesuiti nell'atrio della
Biblioteca Comunale, tenuto dal
Giuseppe
Mirabella Quartet con un ospite speciale, Adam Nussbaum
alla batteria. Una formazione originale che abbina le carezzevoli corde della chitarra
di Mirabella
al morbido velluto dell'organo Hammond suonato con gustosa misura da Angelo Cultreri
ed ai ficcanti fraseggi del contralto di
Orazio Maugeri,
il tutto preziosamente rifinito dalle pennellate del drummer americano. Così si
svolge Poinciana, seguita da
Melvin's Masquerade (di Melvin Rhyne), dove
Mirabella
sfoggia un vocabolario fluido e ben strutturato, mentre
Maugeri
trascina il pubblico sulle intense note del suo sax. Nussbaum è attento compagno
di palco, i suoi volumi calano per dare spazio all'Hammond, limitandosi a spingere
dalle retrovie. E nonostante la sua presenza sia estemporanea, l'affiatamento è
tale che il quartetto si permette anche un brano totalmente free, con le mazze della
batteria e l'ausilio di qualche effetto, seguito da As
I Am, un 3/4 scritto dallo stesso chitarrista e ben spazzolato da Nussbaum;
quindi Retrato (Giovanni
Mazzarino), un latin ritmato su cui si adagia il lessico spigliato del chitarrista,
per chiudere con Jesse's Groove, un blues soffuso
sugli accordi dell'organo in cui chitarra e sax si compenetrano a vicenda nell'esposizione
del tema per poi infilare i rispettivi assolo. Un set in cui traspare un coinvolgimento
fra gli abituali membri del gruppo, portato alle stelle dalla presenza della scintillante
batteria di Nussbaum.
Sonorità ancora differenti quelle che pervadono l'esibizione della vocalist
Maria Pia De
Vito con il pianista gallese Huw Warren in "Diálektos Duo". Il
progetto si riferisce non solo ai dialetti linguistici ma pure all'etimo "dialogo"
nonché alla stessa articolazione dei fonemi da cui ha vita il linguaggio. Warren
crea al piano paesaggi come un viaggio in luoghi diversi e suggestivi, a cui la
De Vito,
affascinante zingara del canto, abbina le proprie suggestioni vocali. In
And the Kitchen Sink, l'introduzione vocalizzata
ed ariosa suscita una tensione che sfocia nel giro armonico, con intreccio di ruoli:
la De Vito fa da ritmica quando Warren opera sulle corde del piano, e tratteggia
l'armonia, mostrando – se mai ve ne fosse bisogno – un'ampia estensione vocale.
Il testo di Allirallena è scritto dalla cantante
partenopea su un brano di Warren (Singing of You?),
un'aria con andamento ternario di grande poeticità, mentre in
Miguillim, ispirata invece ad una composizione
dell'amica Rita
Marcotulli, la
De Vito
rima la batteria sostenendo gli svolazzi del piano. Grande momento di pathos
per Si Fosse n'Auciello, poesia di Totò musicata
dalla stessa De
Vito con la benedizione dell'erede del Principe De Curtis, la figlia Liliana:
delicata e commovente. Quindi ancora un pensiero rivolto a Napoli, città dalla mille
contraddizioni, e sulla musica di Warren, iniziata con un rintocco sui tasti bassi
stoppati da una monetina da 5 pennies, viene adattata una composizione napoletana
del 1200 con invocazione al sole di uscire per illuminare la città e i suoi governanti:
Jesce, anche in questo caso un risultato sublime.
Il pezzo che dà titolo al disco e al progetto, Diálektos, utilizza sulla
voce un chorus con delay per ordire un loop ritmico su cui i due musicisti imbastiscono
le loro improvvisazioni: un incontro fra Africa e Mediterraneo. Si cambia continente
con Beatriz, di Chico Buarque de Hollanda e
Edu Lobo, una
De Vito ancora istrionica e struggente. E incantato da questa incantevole
ammaliatrice di suoni, il pubblico richiede a gran voce il bis.
Il
giorno seguente regala nel concerto delle 18.30 un'altra gemma di sicura germinazione
con il duo Stefania Patané e Sandro Maccarrone. La voce delicatissima
e raffinata della cantante catanese sorvola appena la sapiente chitarra del compagno,
in un repertorio scelto con cura, a metà fra America Latina e Mediterraneo, come
ad unire i Sud del mondo. Accanto alle canções brasiliane, eseguite andando
oltre la solita rappresentazione oleografica del Brasile e dei suoi rinomati autori,
come Querelas do Brasil di Sebastiao
Tapajos, trova posto anche Tango di Jaques Morelenbaum
e Ryuichi Sakamoto, con testo portoghese di Paula Morelenbaum: la voce della Patanè
è di grande finezza ed il chorus sulla chitarra, nonostante certe ardite soluzioni
solistiche, risulta funzionale al pezzo. Oltre all'omaggio a Francesco De Gregori
con la toccante Pezzi di Vetro, e quello a Norma
Winstone con una personale Lazy Afternoon, spiccano
le composizioni originali, come la deliziosa Spring
di Maccarrone e la buona prova della stessa Patanè come autrice di
Eu seu quem é, senza dimenticare la rivisitazione
della popolare Ciuri Ciuri con piglio etno-arabeggiante
e Rattera, ancora del chitarrista, dedicata
alla litigiosa Sicilia con l'auspicio di maggiore cooperazione. Non mancano gli
standard, come My Foolish Heart, arrangiamento
in bossa in cui la cantante si produce, sempre con eleganza, al bongo, mentre la
chitarra si distingue in Joy Spring con un marcato
walking e un rifinito assolo. Dopo Piano na Mangueira
(Jobim), ultimo brano in scaletta, la richiesta del bis fa chiudere il concerto
con A Felicidade. Una coppia artistica di lungo
corso e ben affiatata, un repertorio vario ma non dispersivo, con una voce, quella
di Stefania Patanè, da tenere d'occhio: ottime premesse per porsi sulla scia di
duo chitarra e voce come Noa e Gil Dor o Tuck & Patti.
Un viaggio nella canzone d'autore italiana è il progetto Flora Faja
Italian Songs, in quest'occasione presentato con la formula del quintetto:
e forse in questa veste "ridotta" risulta più raccolto e meno ridondante che con
l'orchestra. A scortare l'esuberante vocalista sono il sax contralto di
Orazio Maugeri,
il piano di Giuseppe Vasapolli, il contrabbasso di Riccardo Lo Bue
e la batteria di Fabrizio Giambanco, per una rivisitazione in chiave jazz
di capolavori della canzone italiana, con soluzioni ritmiche ed arrangiamenti di
gran pregio ad opera di
Mazzarino,
autore anche delle musiche degli innesti originali con testi scritti dalla stessa
Faja: da Senza Fine, con un graffiante contributo
di Maugeri,
a La vita è strana/Eppur
mi son scordato di te con coda in ottave di Vasapolli, a cui fanno seguito
E se domani, con ritmo trasversale, e
Parlami d'amore Mariù, con inciso in 3/4 ed un
sapore d'antan modernizzato dai frequenti cambi di tonalità. Ad aprire l'unica
composizione interamente originale della serata, Un colore
che non so, è il piano di Vasapolli, con un rubato che cattura l'attenzione
del pubblico, per una ballad larga, sabbiata dalle spazzole di Giambanco, senza
il sax. Per ragioni di tempo si giunge alla fine con Cosa
vuoi dalla vita/Ma l'amore no,
che dopo l'obbligato con il sax si distende a ritmo di samba lungo il turnaround
finale, con la platea che mostra d'aver apprezzato la performance "leggera".
Il set successivo presenta il nuovo lavoro discografico di
Giovanni
Mazzarino, Light, qui in versione trio con il posatissimo
Marco Panascia
al contrabbasso e l'effervescente Adam Nussbaum alla batteria. A dare l'avvio
è proprio Light, rilassata e solare, con Nussbaum
alle spazzole che è un piacere osservare, ed un denso groove che promana dal contrabbasso
di Panascia e che porta al tema principale con la batteria a distillare dosi centellinate
di ritmo. Amabile No way, ballad in cui il pianismo
riflessivo del titolare può abbandonarsi a dilatate divagazioni improvvisative,
lasciando buoni margini per il recitato nitido e concentrato di
Panascia
e le lucide spazzolate di Nussbaum, con smisurata classe. I due pezzi successivi
sono suonati in combinazione: London, grande
semplicità unita ad un'esecuzione avvincente, principia con un vamp introduttivo
che innesca una seconda parte dove primeggiano le fantasiose e sempre sorprendenti
batterie del drummer americano; quindi Piazza,
lirico omaggio alla città dove il pianista messinese risiede ormai da circa diciotto
anni, una perla che racchiude un meditativo assolo del contrabbasso ed un profondo
intervento del piano. Quindi Calà, altra composizione
all'insegna dell'immediatezza e dell'efficacia, seguita da
Beautiful Child, composta per la nascita del figlio,
diciotto anni fa: due soli accordi sopra cui il walking bass di
Panascia
asseconda le frustate su piatti e tamburi da parte di Nussbaum, che, fatto più unico
che raro, rompe una bacchetta (più tardi richiesta da un allievo come cimelio).
Un concerto emozionante con un
Mazzarino
emozionato per la folta presenza di pubblico che a gran voce reclama ancora un altro
brano: We Three, una ballad distesa ed intensa
di Adam Nussbaum, che chiude davvero in bellezza.
La terza giornata è arricchita dalla presenza di 80 videomakers provenienti
da 40 diverse nazioni che partecipano alla manifestazione Cinemadamare '09,
catturati dalle peculiarità architettoniche della cittadina ma anche dalle note
di jazz che vi si respirano. Primo concerto con il duo tutto femminile Capponi-Donato:
Marta Capponi, cantante frosinate molto affezionata alle terre di Sicilia,
incontra la pianista e compositrice peloritana Cettina Donato per un progetto
quasi estemporaneo cui, per i primi due pezzi, si aggiungono il contrabbasso di
Alberto Fidone e le inesauribili batterie di Adam Nussbaum. Le composizioni
del duo sono giocate sulle atmosfere a cui danno vita le strutture semplici – spesso
dei pedali di due accordi – unite alla voce caldo-umida della Capponi: così
By Mistake, della pianista, e
Good Faith, dove il ritmo in 7/4 contribuisce ad
un bel mood. Scesi dal palco i due occasionali accompagnatori, le musiciste rimangono
da sole con In a Moment (Capponi), fascinosa
la ballad, sottile la voce, per proseguire quindi con And
I look for you, in 3/4, e Maybe I should leave
for good, ancora della Capponi, questa volta un pezzo articolato che
produce grande tensione prima di riversarsi su un inciso più aperto. La stoffa c'è
ed il pubblico se ne accorge chiedendo anche un bis, soddisfatto con
Waltz Time (Donato), ovviamente un valzer, condotto
sui vocalizzi della Capponi. Indubbiamente la presenza di più timbri e colori strumentali
potrebbe rendere maggiore giustizia alle interessanti composizioni delle due jazziste
ed alla emozionante vocalità della Capponi.
Ancora
sul filo di coinvolgenti suggestioni il concerto di
Rosalba
Bentivoglio, in trio con Giuseppe Vasapolli (piano) e
Orazio Maugeri
(sax soprano). E non è casuale la scelta del soprano, suono che molto si avvicina
a quello della voce della
Bentivoglio:
ispirata ad una frase di Vincenzo Consolo, Lunatica
prevede una simmetria sax-voce dove in pratica l'altezza è la stessa, più caldo
e meno nasale il timbro della cantante catanese, che raggiunge vette acute e bassi
profondi, ottimo
Maugeri in assolo. Tratto dal disco con Paul McCandless, stellare musicista
con il quale la
Bentivoglio
ha collaborato a lungo, Il Restauro si basa
su di una progressione discendente per un'esecuzione particolarmente difficile,
specie dal vivo, che lascia il pubblico in assoluto silenzio; mentre
Last Bloom, composto proprio da McCandless, nel
poetico testo in siciliano della
Bentivoglio
diviene L'urtimu ciuri, con scat sillabico che
riprende le linee ondivaghe dell'ancista americano. Altro stupendo affresco di melodia
e armonia, in 5/4, è Cieli di Marzo, spazioso
l'intervento di
Maugeri, un moto ondoso quello di Vasapolli, il quale, sul palco con
la cantante per la prima volta, traduce in musica le sue emozioni per trasmetterle
ai presenti attraverso i suoi contributi pianistici carichi di sfumature e intensità.
Ultimo brano La danza del sole, un calipso solare
colorato dal soprano, ed eseguito dalla cantante suonando la mbira (che purtroppo
si sente appena). Una vocalist che va oltre l'uso strumentale della voce, a volte
diafana, a volte anche potente, sempre evocativa.
Il concerto che chiude l'intera rassegna è di quelli che non si dimenticano:
l'Island Blue Quartet di
Francesco
Cafiso –
Mazzarino
(piano), Toscano (contrabbasso) e l'amico flicornista
Dino Rubino
– con l'aggiunta di quello stacanovista delle bacchette che risponde al nome di
Adam Nussbaum.
Francesco
Cafiso ha imparato a giocare bene le sue carte, non si ferma un attimo e
in poco più di un mese dalla chiusura del suo festival di Vittoria, è già stato
ad Umbria Jazz e in Francia, ha suonato in tour con Wynton Marsalis, e con il suo
Italian Jazz Quartet si è esibito alle Canarie: e, ricettivo e brillante com'è,
sembra sempre avere nuove frecce al proprio sax. Dopo l'enunciazione del tema di
A New Trip insieme al flicorno,
Cafiso
prende a viaggiare su binari altri andando a ricercare nuove vie oltre ciò che è
melodia armonia e ritmo, mentre il pastoso flicorno di Rubino mette a nudo la linearità
delle complesse architetture costruite dal contraltista. In
Pablo, trascinante ed orecchiabile tango firmato
Rubino,
Nussbaum, infaticabile vulcano di idee, suona battendo le mani direttamente sui
tamburi, sotto il periodare ponderato del flicornista, che prende pure lui a giocare
con le frasi. Un amalgama perfetto che emerge in Conversations
(Rubino), parallelismi in contrappunto fra i due fiati in tacet della band,
quindi il trio ritmico con posto per un affabile
Mazzarino.
Denso e misurato il flicorno, Nussbaum a sottolinearne tutti i colori, quando
Cafiso
al suo turno attacca replicando la frase di chiusura di Rubino, per poi dar vita
ad un fiume di citazioni e stili dai grandi sassofonisti del jazz. Coda con il solo
quartetto che infine lascia Nussbaum in solitudine con la sua batteria: un'esplosione
di gioia. A testimoniare la bellezza del brano Piazza,
presentato da
Mazzarino la sera prima, la nuova esecuzione ne mostra risvolti ancora
sorprendenti: introduzione quasi noir del piano, poi
Cafiso
irrompe con tutta la sua energia per infilare una serie incredibile di chorus,
Rubino
stacca un assolo dai toni appassionati, quindi una strepitosa chiusura in crescendo
di tutto l'ensemble sul pedale proposto da
Mazzarino
e Toscano. Pubblico in visibilio che pretende a gran voce il bis: e
Cafiso
riparte con un infuocato standard.
C'è da aggiungere che ogni serata si è protratta fino a notte fonda con le
jam session svoltesi presso il ristorante-pizzeria "Amici Miei", dove si sono alternati
non soltanto alcuni dei musicisti presenti, fra cui Nello Toscano, Fabrizio
Giambanco,
Orazio Maugeri e Giuseppe Vasapolli, ma anche i docenti delle
masterclass, con l'eplxoit, l'ultima notte, di
Maria Pia De
Vito, Huw Warren, Adam Nussbaum,
Marco Panascia,
Francesco
Cafiso,
Dino Rubino
e Mazzarino,
tutti insieme a rendere praticamente irripetibile la serata e la musica.
A latere della rassegna, si sono infatti svolti dei workshops tenuti
d Maria Pia
De Vito e Huw Warren, Adam Nussbaum,
Marco Panascia,
Giuseppe
Mirabella,
Orazio Maugeri
e Giovanni
Mazzarino, direttore della scuola, a cui hanno partecipato più di 50
studenti, professionisti e giovani leve. Fra queste, è stata assegnata una borsa
di studio che per questa prima edizione è andata alla cantante Daniela Spalletta,
la quale si esibirà in concerto al Vittoria Jazz Festival
2010.
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
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Data pubblicazione: 16/08/2009
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