Intervista Maria Pia De Vito
Lecce, 13 maggio 2004
di Cinzia Eramo
Paola Giaccone
La cornice del teatro Paisiello a Lecce ci regala, nella serata del
13 maggio 2004, uno straordinario concerto della cantante jazz Maria Pia De Vito accompagnata da un duo d'eccezione: Danilo Rea al pianoforte ed Enzo Pietropaoli al contrabbasso. A fine concerto, tra uno stuzzichino e l'altro, fra i tavoli di un'osteria la
De Vito ci spiega i motivi di questo viaggio attraverso la musica di Joni Mitchell.
C.E.:
Come nasce questo progetto dedicato alle canzoni di Joni Mitchell?
M.P.D.V.:
Nasce dal fatto che Joni Mitchell
è stata la prima cantante extra-jazzistica che mi sia interessata, anzi l'unica per molto tempo. Io ho cominciato facendo musica etnica, barocca e poi da quello sono passata al jazz; nel frattempo i miei coetanei ascoltavano il rock, ma a me non piaceva, invece lei mi ha colpito, in particolare l'album
Blue è il mio preferito. Poi lei si è sempre circondata di grandi jazzisti per questo mi è sempre interessato andare a sentire che stava facendo, che sviluppi c'erano nella sua musica.
Tuttavia avevo voglia di fare un progetto di canzoni dopo anni dedicati alla ricerca, al dialetto napoletano. Ho chiamato Danilo Rea al pianoforte per il suo modo di trattare la melodia, Enzo Pietropaoli al contrabbasso e Roberto Gatto alla batteria, in origine, perché ci conosciamo da anni e fra di noi c'è una grossa affinità, non solo musicale.
C.E.:
La scelta delle canzoni è legata a motivazioni precise?
M.P.D.V.:
In realtà, la scelta è stata duplice: quelli eseguiti sono solo una parte dei pezzi che io amerei fare e che in qualche modo entreranno in circolo prendendo il posto di altri in futuro. I brani che io amo profondamente saranno forse trenta...Alcuni sono stati scelti per mostrare un certo tipo di lavoro vedi
God Must Be a Boogie Man,
Goobye Pork-Pie Hat,
tratti dall'album Mingus, un album che mi ha cambiato la vita. Lei definiva quell'album
audio paintings, ogni brano era un dipinto sonoro. Quel modo particolare di utilizzare gli strumentisti come Pat Metheny, Jaco Pastorius, Wayne Shorter, per me è stato interessante andare a lavorare su quel materiale sonoro. Poi brani come
A Case of You è la canzone d'amore più struggente che io conosca…io scelgo sempre canzoni di cui sento il testo.
C.E.:
Ci aspettavamo
The Dry Cleaner From Des Moines come bis…
M.P.D.V.:
In effetti c'è di solito, ma poiché stasera ci siamo lasciati la possibilità di aprirci all'improvvisazione, c'è sembrato quasi un di più, per questo abbiamo preferito
River.
C.E.:
Fra i titoli dei brani contenuti negli album di importanti artiste jazz come
Cassandra Wilson, Dianne Reeves,
Holly Cole, Diana Krall c'è sempre una canzone di Joni Mitchell, come lo spieghi?
M.P.D.V.:
Sì, lo ho notato. Beh, lei è stata una che ha saputo coniugare una raffinatezza di testo con una raffinatezza di musica. La sua è una musica immediata, ma non semplicistica. Lei non scrive perché vuole arrivare, ma arriva alla gente perché ha questa capacità. In più siccome lei scrive assecondando i ritmi della parola, le sue composizioni non sono banali, ma sono asimmetriche: il suo è davvero un mettere la poesia in musica. Per questo penso che lavorare su questo materiale sia stimolante per tutti, e mi sembra giusto che lei diventi un esempio e un riferimento per i cantanti come lo sono
Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan etc.. anche i suoi sono standards!
C.E.:
Come mai non hai ancora inciso un disco di standards?
M.P.D.V.:
Io penso che per cantare oggi qualcosa che è stato scritto e cantato in maniera magistrale sessant'anni fa, ci voglia una grossa maturità. C'è chi parte facendo dischi di standards, anch'io li ho cantati per tanti anni ma non li ho mai incisi. Mi piacerebbe che chi ascoltasse uno standard cantato da me non rimpiangesse l'originale. Può darsi che adesso, in maturità, io riesca a personalizzare fino in fondo qualche standards, tuttavia anche questo lavoro su Joni Mitchell mi dà modo di tenermi in allenamento, che mi preparerà a delle incisioni di canzoni che mi piacciono compresi degli standards.
C.E.:
Che rapporto hai con le case discografiche italiane?
M.P.D.V.:
Io ho registrato dei dischi a mio nome solo per l'EGEA, più inserita in un contesto jazzistico e per la POLO SUD, un'etichetta napoletana piccola e coraggiosa. Registrando per loro non ho mai avuto limitazioni artistiche. Se c'è qualcosa che mi sento di rimproverare è la non linearità di comportamento da un punto di vista professionale nei confronti dei musicisti.
C.E.:
I due dischi
Verso e
Nel Respiro sono stati prodotti dall'etichetta inglese
Provocateur, come è nato questo contatto?
M.P.D.V.:
La
Provocateur mi ha proprio richiesto di incidere questi progetti su cui stavo lavorando con John Taylor e Ralph Towner, questa richiesta nasce dal fatto che il fondatore della
Provocateur è
Colin Towns un compositore con il quale collaboro dal 1996. Ho inciso con la stessa etichetta con la
Colin Towns Mask Orchestra, con la Mask Symphonic con Norma Winstone.
C.E.:
Sei stata nominata ai referendum di Down Beat nella categoria "Beyond artist", come hai vissuto quel momento?
M.P.D.V.:
Naturalmente ero strafelice, ed è stata il frutto di una tournee europea con John Taylor e Ralph Towner che mi ha messo all'attenzione di giornalisti e critici di tutta Europa. Quando mi ha chiamato l'etichetta per darmi la notizia io ero incredula, tanto che ho fatto chiamare la redazione di Down Beat per averne conferma. E così è stato.
C.E.:
La scelta dei musicisti che ti circondano nasce da uno stretto legame umano oltre che professionale, non è vero?
M.P.D.V.:
Beh, io non riuscirei a suonare per anni con dei musicisti se in privato non riesco a confidarmi, ad aprirmi con loro, a condividere emozioni. La sintonia musicale che ho con Rita Marcotulli, con Enzo Pietropaoli, con Danilo Rea, con Ralph Towner, con John Taylor nasce anche dal fatto che loro hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia vita sia come persone che come musicisti.
C.E.:
Le influenze etniche provenienti dall'Africa, dall'India, dai Balcani, dal nord Europa come si collocano nella sua vocalità?
M.P.D.V.:
È la mia memoria musicale che le fa venir fuori, non c'è niente di programmato.
Innanzitutto, il mio battesimo musicale l'ho avuto a sedici anni quando sono stata chiamata a far parte di un gruppo il "Tiglio" in cui si faceva musica dell'est europeo, musica sud-americana, etc. Io suonavo la chitarra, oltre che le percussioni ed altri vari strumenti, e come se non bastasse cantavo in più lingue: tutta questa eredità musicale viene fuori quando vocalizzo in maniera molto naturale. Fa parte di me, anzi sono io!
C.E.:
Ami ricercare dischi?
M.P.D.V.:
Più che ripescare vecchie glorie, mi piace scoprire nuove realtà musicali. In questo momento sono affascinata dal jazz norvegese, sto ascoltando
Sidsel Endresen, Eivind Aarset, i Farmer's Market, Django Bates.
Poi mi sto riavvicinando alla musica barocca e anche qui sto facendo nuovi ascolti scoprendo voci di tutt'altro ambito.
C.E.:
Cosa pensi del filone pop-jazz che piace tanto alla gente:
Micheal Bublè, Norah Jones, Diana Krall...
M.P.D.V.:
Diana Krall all'inizio mi infastidiva, a causa del suo modo di riportare il jazz come musica di intrattenimento, anche se lei swinga, canta bene, suona bene il pianoforte.
Norah Jones è carina, i suoi brani sono carini, perché no! Vende milioni dischi, ma non dite che quello è jazz!
Micheal Bublè è invece un sotto-prodotto di Norah Jones, che replica grandi successi del passato. Il mio non è un discorso contro le persone. Infatti Diana Krall oggi ha fatto un disco coraggioso,
The girl in the other room (Bluenote-2004) dove ha inserito dei brani inediti, probabilmente l'incontro con
Elvis Costello, l'ha fatta maturare. Va bene lo stesso, ma non toccateci il jazz!
C.E.:
Hai vissuto a New York?
M.P.D.V.:
Sì, nel senso che dal 1990 al 1994 ho viaggiato molto. Ho avuto delle buone occasioni da subito, ma la vita lì è davvero dura, nel senso che se fossi rimasta lì avrei dovuto votare la mia vita solo alla musica. Io non sono così, io ho bisogno di vivere, se no di cosa canto, che racconto!
C.E.:
Hai degli altri interessi oltre alla musica?
M.P.D.V.:
Sì, la poesia, la letteratura, il cinema, insomma l'arte in genere.
La cosa che mi commuove di più è il talento umano.
Grazie Maria Pia per le emozioni che ci hai regalato questa sera attraverso la tua voce ed il tuo talento!
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Data pubblicazione: 11/12/2004
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