Torino Jazz Festival 2016 Torino, 23 aprile - 1 maggio 2016
di Vincenzo Fugaldi
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Ancora una volta la direzione artistica di Stefano Zenni
ha centrato l'obiettivo di offrire un'ampia panoramica della condizione attuale
del jazz, con una enorme quantità di concerti ed eventi che si sono svolti in un
gran numero di spazi del capoluogo piemontese.
Chi scrive ne ha seguito una porzione sostanziosa, che è iniziata
con una della produzioni originali del festival, un reading teatral-musicale dedicato
al racconto El perseguidor dello scrittore argentino Julio Cortázar, pubblicato
nel 1959 nella raccolta Le armi segrete, noto nella prima traduzione italiana
con il titolo Il persecutore e oggi ritradotto e pubblicato dall'editore
Sur con il titolo L'inseguitore, arricchito da uno splendido corredo illustrativo
di José Muñoz. La lunga stesura del racconto era stata ispirata a Cortázar dalla
morte di Charlie Parker, e il compito di rendere il ritmo sincopato, swingante e
sghembo della scrittura dell'argentino è stato affidato all'attore Vinicio Marchioni,
responsabile anche dell'adattamento e della drammaturgia, mentre la parte musicale
a Francesco
Cafiso e al suo quartetto. La prova, non semplice se si conosce il racconto,
ha richiesto un grande lavoro di preparazione per amalgamare testo e azione musicale,
per far sì che il suono non soverchiasse la parola ma, anzi, ne valorizzasse il
ritmo interno e la drammaticità. Così la dinamica dizione di Marchioni ha trovato
idoneo contraltare nei travolgenti fraseggi rigorosamente bebop dell'alto di Cafiso,
calato nel suo ruolo con l'enfasi e l'entusiasmo che spesso lo contraddistinguono,
e nel vigoroso sostegno dei suoi sodali (Mauro
Schiavone-pianoforte,
Pietro Ciancaglini-contrabbasso,
Adam Pache-batteria), in una applauditissima celebrazione di una figura,
quella di Parker, che rimane costantemente centrale nella storia del jazz.
Ancora una produzione originale del
TJF l'incontro fra l'Orchestra del fuoco di Roy Paci e la cantante marocchina
naturalizzata francese Hindi Zahra. L'Orchestra, costituita da Paci nel
2012, schiera una nutrita sezione di fiati,
archi e una ritmica che annovera, fra gli altri, Zeno De Rossi alla batteria
e Fabio Giachino al pianoforte e al piano elettrico. La giovane cantante
ha un repertorio di matrice difficilmente definibile, ma che poggiava sulla danzante
solidità degli arrangiamenti affidati da Paci alla sua ampia compagine orchestrale.
Un trio inedito (Fabio Gorlier- pianoforte, Simone
Bellavia-contrabbasso,
Gaetano Fasano-batteria)
ha accompagnato Maria Pia De Vito, nello spazio del Magazzino sul Po, nella riproposizione
di uno tra i più felici progetti musicali dovuti alla creatività della nota artista
napoletana, quello dedicato a Joni Mitchell. È stato come sempre emozionante riascoltare
capolavori come A Case Of You, Goodbye Porkpie Hat, God Must Be
a Boogie Man reinterpretati con passione, gusto, piena padronanza, nonostante
le difficili condizioni acustiche e ambientali dello spazio che ospitava il gruppo.
L'ensemble costituito recentemente da
Cristiano Calcagnile
(oltre al leader alla batteria, Massimo Falascone, Nino Locatelli,
Paolo Botti, Gabriele Mitelli, Pasquale Mirra, Gabriele
Evangelista e Dudu Kouatè), dall'evocativo nome di Multikulti,
si è rivelato fra le più riuscite proposte del festival. Un omaggio a Don Cherry
non di circostanza che ha restituito del partner di Ornette l'anima più creativa,
grazie a un ottetto di raro equilibrio, che si incentrava sulla pocket trumpet
di Mitelli, sui colori della viola, del banjo e degli altri strumenti imbracciati
da Botti, sul ruolo multiforme del percussionista, dove ciascun componente contribuiva
senza mai sovrastare gli altri all'ottimo gioco d'insieme. Una miriade di strumenti
coloratissimi ha riempito l'intero palco del Teatro Vittoria, e un accurato lavoro
sull'opera e sul repertorio di Don Cherry ha riunito in forma di suite in mirabile
equilibrio brani come Complete Communion, Infant Happiness, Dewey's
Tune, Happy House, Symphony For Improvisers, per poi arrivare
a estratti dalla East Suite e dalla Mobuto Suite, con Mopti
e Guinea, per chiudere sulla indimenticabile nenia di Maliniyè. Ovazione
finale, meritatissima, e molta emozione, per un concerto da ricordare.
Nella sala del Circolo dei lettori, il bandoneonista Paolo Russo, italiano
trasferitosi in Danimarca, ha utilizzato il suo strumento per interpretare, con
gusto e ottimo successo, alcuni standard jazzistici come You Don't Know What
Love Is, In A Sentimental Mood, My One And Only Love, Portrait
In Black And White, la shorteriana Footprints, per poi concentrarsi sul
tango e su alcune sue composizioni originali.
Battista Lena ha portato a Torino il suo ultimo progetto, Ultimo cielo,
che ha registrato in Francia e che dovrebbe vedere la pubblicazione per l'etichetta
Label Bleu. Dedicato al pittore Pinot Gallizio, le cui opere venivano proiettate
su una rete collocata innanzi ai musicisti, il progetto ha coinvolto la Banda Città
di Alba, ma anche alcuni solisti di rilievo come Fulvio Sigurtà, Gabriele
Mirabassi, Daniele Mencarelli e Stefano Tamborrino, e ha visto
la presenza di Franck Assemat alla conduction. Influenze delicatamente
minimaliste, momenti rotiani, una scrittura articolata e varia sostenuta dal nutrito
corpo bandistico a tratti guidato dalla conduction, e arricchita da preziosi interventi
solistici della lirica tromba di Sigurtà e del sinuoso clarinetto di Mirabassi.
In una inedita formazione in trio, i Volcan di Gonzalo Rubalcaba (Armando
Gola al basso elettrico e Horacio "El Negro" Hernandez alla batteria)
hanno affrontato l'enorme folla che gremiva Piazza Castello sfoderando il côté
piu elettrico e vistoso del loro repertorio, trascurando o quasi le atmosfere legate
agli aspetti più delicati della loro musica. In questa dimensione, ovviamente, si
perdono le sfumature più significative dell'arte del pianista, ma sono state soddisfatte
le esigenze del vasto uditorio. Scatenati più che mai i due partner, specie l'instancabile
batterista, e ampio uso delle tastiere da parte del leader. Finale sulla loro scoppiettante
versione di Salt Peanuts.
Anche ai Frontal del pianista Simone Graziano (David Binney
e Dan Kinzelman ai sassofoni, Gabriele Evangelista al contrabbasso
e Stefano Tamborrino alla batteria) il festival ha riservato, come a Calcagnile,
un concerto mattutino al Teatro Alfieri. Frontal è oggi al secondo disco («Trentacinque»,
Auand), e mostra una costante evoluzione come ensemble, evidenziando il fervido
pensiero musicale del leader, sapiente artefice di architetture sonore, capace di
cucire i brani intorno ai musicisti, come nella migliore tradizione. L'alternarsi
fra l'alto di Binney e il tenore di Kinzelman crea colori differenti, e la competenza
compositiva ed esecutiva di Graziano fa il resto, rendendo l'esperienza del concerto
estremamente intensa e coinvolgente, nei brani estesi e ricchi di momenti improvvisativi.
Dopo l'esecuzione di Falk the Bow e dell'intima Lucyne, di Starlette
e Kamennaja Baba, memorabile la versione di Rock Song, composizione
contenuta nel primo cd del gruppo che contiene due assolo in crescendo dei sassofonisti
da manuale.
La prova di Piazza Castello è stata affrontata e risolta egregiamente dalla Minafrìc
Orchestra di Pino Minafra, insieme al quartetto vocale Faraualla, che ha contribuito
anche con uno spazio proprio dedicato a due canti tradizionali pugliesi e da
Bella Ciao. Reduci da una impegnativa prova alla fiera Jazzahead di Brema, dove
avevano affascinato la platea del Kulturzentrum Schlachthof, i musicisti hanno portato
una ventata di calda mediterraneità che non poteva non trascinare il pubblico, con
le composizioni di
Livio Minafra e Nicola Pisani, la consueta perizia improvvisativa
e un approccio festoso, ludico, dominato dalla estrosa personalità e dalla ironica
vocalità del leader. Come sempre toccante l'intenso Canto General, introdotto
dalla declamazione del poema di Pablo Neruda da parte di Marcello Spinetta, e infuocati
gli assolo che si inframezzavano alle trame compositive e agli arrangiamenti di
quella che è una delle migliori compagini orchestrali italiane.
Pulse! (Jazz and the City) era un progetto a più mani, dovuto alla collaborazione
fra Max Casacci, il fondatore dei Subsonica, Daniele Mana, conosciuto
col nome di Vaghe Stelle, e il jazzista
Emanuele
Cisi, che hanno ospitato jazzisti come
Enrico Rava,
Gianluca Petrella,
Flavio Boltro,
Sergio Di Gennaro,
Furio Di Castri,
Enzo Zirilli, e inoltre il rapper Ensi e Musica Nuda. L'idea
era molto interessante, e consisteva nel campionamento di vari rumori urbani che
venivano utilizzati come tappeti sonori elettronici sui quali poggiavano, tra le
cose migliori, delle composizioni di Cisi, che accoglievano i suoi assolo e quelli
di Boltro e Petrella. La musica poi è sconfinata nell'hip hop e nelle canzoni del
duo Magoni-Spinetti.
Un concerto mainstream di qualità è stato quello del pianista
Riccardo Zegna
accompagnato al contrabbasso da Gabriele Evangelista e alla batteria da
Andrea Melani, che nell'atrio di Palazzo San Daniele hanno spaziato con estrema
padronanza fra alcuni noti classici, The Duke Ellington Sound Of Love di
Mingus, Con Alma di Gillespie, e tanto altro. Bella l'interazione fra i tre,
il tocco delicato del pianista e notevole il ruolo di Evangelista, che costituiva
la punta più avanzata verso la contemporaneità del trio.
Il Teatro Piccolo Regio ha ospitato la serata dedicata alla tradizione manouche,
incarnata dal gitano francese Angelo Debarre con il suo quartetto. Una padronanza
della chitarra davvero senza pari, l'accompagnamento essenziale di altre due chitarre
e un contrabbasso, e la magia di una musica senza tempo che si ripete identica e
ogni volta nuova, grazie alla freschezza delle proprie radici popolari. Fraseggi
suadenti e rapidissimi, e repertorio frizzante, comprendente tra gli hit del genere
anche la walleriana Honeysuckle Rose.
Il volume Storie poco standard (EDT) di Luca Bragalini ha ispirato
un lavoro teatral-musicale con la regia di Annalisa Bianco, il canto e la recitazione
di Monica Demuru, il contrabbasso di
Raffaello
Pareti e la batteria di Alessandro Marzi. Otto standard (fra
i quali Over the rainbow, Georgia On My Mind, My Favorite Things,
Nature Boy, I've Grown Accustomed To Her Face, Everytime I Say
Goodbye), altrettante narrazioni di qualità, una base musicale di minimale essenzialità
e l'istrionica personalità della Demuru, perfettamente a suo agio sia nel ruolo
attoriale sia in quello di cantante, hanno determinato il successo di uno spettacolo
particolare, differente dagli altri del festival.
Snakeoil (Tim Berne-sax alto; Oscar Noriega-cl.b.; Ryan
Ferriera-chit.; Matt Mitchell-p.; Ches Smith-vib., batt.) è la
formazione di Berne, con tre cd per l'ECM e uno per la sua Screwgun. Una cifra stilistica
di immediata riconoscibilità, lavoro profondo sulle strutture, millimetrica precisione
negli incastri improvvisativi, sono solo alcune delle grandi qualità di questo sodalizio,
che si avvale della variegata dinamica impressa dal vibrafono e dalla fantasia percussiva
di Smith, delle sfumature di colore aggiunte da Ferriera, della versatilità di Mitchell,
per poggiarvi il solismo asciutto ma carico di drammaticità di Berne e le volate
del clarinetto basso di Noriega. Musica ardua ma estremamente coinvolgente, fra
le cose migliori che il jazz di oggi ci propone.
La Chiesa della Gran Madre di Dio ha accolto i suoni angelici di Dimitri Grechi
Espinoza, che ne ha sfruttato il naturale riverbero per riproporre i brani dal
suo cd in solo «Angel's Blows». Una motivazione spirituale per uno studio
affascinante sulla bellezza del suono, tra arpeggi lenti e meditativi e creazione
di atmosfere di pregnante maestosità.
Queste sono ovviamente solo alcune tra le innumerevoli proposte di un festival che,
grazie a una direzione artistica aperta e illuminata, e a una città che crede profondamente
nel progetto, sta diventando una realtà sempre più radicata nel panorama italiano
ed europeo. Restano ancora da segnalare almeno l'interessantissima conferenza di
Zenni sul tema "Perché il jazz è nato a New Orleans (e non a New York)", i suggestivi
concerti in solo sulla passerella galleggiante sul Po, e le affollatissime e partecipate
jam session tenute ogni sera presso lo speak-easy Mad Dog dal trio del pianista
Fabio Giachino, un talento piemontese che sta mostrando una maturità artistica
di tutto rilievo.