Il giro d'Italia a bordo di un disco
Gabriele Rampino, Dodicilune
di Alceste Ayroldi
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Qual è la vostra filosofia di vita? Perché fare il discografico?
Hai una domanda di riserva? A parte gli scherzi, credo sia una urgenza antica (perché
risale alla passione di infanzia per il vinile e per il disco in genere) e una esigenza
molto attuale di documentare un'arte che altrimenti non sopravviverebbe alla estemporaneità.
Nel jazz in particolare il disco e i discografici (etichette, produttori) hanno
avuto e dovrebbero tuttora avere una rilevanza decisiva e noi sentiamo forte questo
ruolo. Poi far parte geneticamente di un disco, sin dalla ideazione e sino alla
commercializzazione e comunicazione, costituisce uno stimolo culturale e creativo
unico.
Come reperite i nuovi talenti?
Riceviamo molto materiale, spesso grezzo ma altrettanto spesso interessante. Frequentiamo
il territorio, le scuole, i posti dove si suona. Teniamo dritte le orecchie.
Come scegliete i musicisti?
Qualità personale e cifra artistica, progettualità, curiosità intellettuale. Oltre
ad una fidelizzazione sempre più necessaria.
Quali sono le vostre politiche relative alla distribuzione?
Si cerca di essere sul territorio con la maggiore penetrazione possibile, con un
interlocutore distributivo serio e con rapporti fiduciari con i migliori negozi
di dischi (quelli sopravvissuti) e con librerie, centri culturali e altre realtà,
come musei, jazz club. All'estero, criteri simili ma almeno in alcuni paesi il pubblico
è sensibile e non pensa proprio alla possibilità di download o streaming di una
musica dove le nuances di ascolto e quindi la perfezione della registrazione
sono essenziali. La distribuzione in questi paesi, a partire dal Giappone sino alla
Francia e alla Germania, è quindi molto proficua.
Quali mezzi utilizzate per raggiungere il vostro pubblico, anche potenziale?
I consueti mezzi di informazione e comunicazione, non esclusi i social network ma
con una attenzione a situazioni in cui e' possibile un rapporto diretto, come fiere,
in particolar modo quelle dell'alta fedeltà, convention e meeting.
A cosa è dovuta la crisi del disco? E' da attribuire a mp3, peer to peer, o c'è
dell'altro?
Escono troppi dischi, e troppi dischi brutti o che, comunque, poco o nulla aggiungono
a quanto già detto e ascoltato. Il packaging non sempre è curato, il jewelbox è
anacronistico e non invoglia l'acquirente. Questo è il limite da parte della discografia,
che, a parte qualche eccezione (ECM, ACT, e poche altre), non connota il catalogo
in alcun modo. Poi esiste il problema della musica liquida, in tutte le sue accezioni,
che ha influenzato la tipologia di ascolto privandola della religiosità, della attesa,
dell'attenzione. Se è vero che il fenomeno incide maggiormente sulle nuove generazioni,
che ascoltano ma non acquistano, è anche da valutare la perdita dell'aura nell'epoca
della esatta riproducibilità tecnica. Il disco sembra non generare interesse perché
l'ascolto è già avvenuto e l'attesa in genere crea intensità emotiva.
Qual è lo scenario futuro?
Nella prospettiva di una perdita del supporto, lo scenario prevederà musica on demand.
Noi pensiamo comunque alla sopravvivenza di prodotti più ricchi, che realizzino
sinestesie e interazioni tra le arti. Un vero e proprio oggetto d'arte. Qualcosa
che resti.
Per combattere il nemico comune non sarebbe meglio coalizzarsi? Quali sono gli
ostacoli alla creazione di un consorzio o un network?
Io non credo a queste forme associative, pur facendone parte per solidarietà e comunanza
di problemi. In realtà troppo spesso ci si limita a suggerimenti reciproci ma sul
piano pratico è difficile una vera convergenza. Forse non esiste un nemico comune
se non il senso di disagio che lo stato attuale della cultura suscita. Il network
dovrebbe essere una nuova scuola di pensiero che, con serietà ed autorevolezza,
riporti la musica al valore sociale che merita.
Anche le major non godono un buon stato di salute. In periodi di crisi è meglio
essere "più piccoli"?
Assolutamente. La qualità delle edizioni discografiche e dei cataloghi pensati,
progettati e scelti con passione e competenza rappresenta un aspetto incontrovertibile,
mentre nel jazz e nella musica creativa in generale le major ormai da troppo tempo
non hanno, perlomeno in Italia, ma non solo, adeguata progettualità e competenza.
Ma soprattutto le major nel jazz, in ogni stato e in ogni epoca, non hanno avuto
mai un ruolo significativo, perché anche le grandi labels sono partite senza risorse
finanziarie enormi e spesso come tali sono restate, privilegiando gli aspetti artistici
e umani a quelli produttivi.
Cosa potrebbero fare le istituzioni per migliorare e aiutare il settore, soprattutto
per la lotta contro la pirateria?
Molto, ma la speranza è vana. Innanzitutto il disco è cultura, dunque IVA al 4%
e comunque non al gravosissimo 22% dei beni di consumo, il che si ripercuote su
4/5 passaggi commerciali, sala di registrazione, stampatore, SIAE, distributore,
dettagliante. Se ne parla da decenni, invano. E' ovvio che il disco, di qualità,
a un prezzo decisamente più conveniente invoglierebbe l'acquirente. Si dovrebbe
inoltre istituzionalizzare una forma di art bonus anche per la discografia, la tassazione
per il mecenatismo anche nel settore discografico, di fatto escluso.
La vostra struttura organizzativa si completa con il management? Ritenete, comunque,
che possa essere utile per completare il percorso e fidelizzare al meglio i vostri
artisti?
Il management si rivela un complemento necessario specie quando il rapporto tra
artista ed editore si stringe, sino alla programmazione delle edizioni discografiche
dalla genesi alla commercializzazione e comunicazione. Il rapporto crea sinergie,
idee comuni e stimola creatività. Non sempre il management è possibile, ma negli
ultimi tempi noi privilegiamo la cura completa dei rapporti con i musicisti.
Quali sono le difficoltà che incontrate e qual è la tendenza del mercato dello
spettacolo dal vivo?
La vera difficoltà, oltre quelle pratiche sotto gli occhi di tutti, è la bastardizzazione
del senso del jazz, sia nel significato profondo che il concetto ha assunto, nella
sua deriva verso la mediocrità, sia nella creazione di cartelloni di festival e
rassegne, sempre meno progettuali e troppo ruffiani, con troppi nomi che nulla c'entrano
col jazz, nella migliore delle ipotesi, nella speranza di raggiungere un certo tipo
di pubblico, che era e resta quello di una sera. In Italia è cosa diffusa, all'estero
meno. Questo fenomeno si riverbera inevitabilmente verso il pubblico, che ne risulta
influenzato negativamente tendendo sempre meno ad apprezzare sperimentazione, novità,
coraggio.
A tal proposito, come giudicate lo stato di salute del jazz attualmente (sia
quello italiano, che internazionale)?
A costo di dire qualcosa di non politically correct o controcorrente, il malato
non è guarito, non perché non esistano ottime cose (anzi c'è tanta gente che suona
benissimo), ma perché da decenni non emerge una figura di riferimento, che accenda
il fuoco, né all'estero (a parte Mehldau, il compianto
Esbjörn
Svensson e pochi altri nomi, sia di area afroamericana che europea)
né tantomeno in Italia, dove le ultime personalità del jazz hanno ormai una certa
età. Noi siamo con Geoff Dyer ed Eric Nisenson quando, sia pure con ottiche differenti,
affermano che un certo jazz purtroppo non esiste più. Tuttavia riteniamo, a fronte
di tutto questo mainstream e all'appiattimento del gusto, ci sia una schiera di
musicisti creativi, intellettualmente curiosi, che possono far rivivere la fiamma.
Il pubblico del jazz, almeno in Italia, è statisticamente provato che sia formato
perlopiù da persone over 35 anni. In altri stati, però, ciò non succede. Secondo
te quali sono i motivi di fondo? I prezzi dei biglietti sono troppo alti? Il jazz
non trova spazio negli ordinari canali di comunicazione dei giovani? E' frutto di
una crisi culturale?
Una politica culturale infima se non inesistente ha determinato lo scempio in cui
viviamo, mentre all'estero sia pur limitatamente a pochi paesi vi e' una sensibilità
differente, che è stata alimentata da chi amministra la politica culturale. Nei
paesi dove si respira cultura, anche gli adolescenti vivono naturalmente, in maniera
coessenziale, l'esigenza della cultura.
E' un fenomeno che mi dispiace constatare, ma la tendenza dell'Opera è quella
di annoverare un pubblico sempre più giovane. Forse anche per il fatto che molte
opere sono rivisitate da registi di chiara fama che lo hanno svecchiato parecchio.
Nel jazz, però, anche lo svecchiamento non sempre porta risultati entusiasmanti.
Come mai?
Nel jazz il tentativo è stato fatto con personaggi magari di fama ma non di altrettanta
reale qualità e cifra artistica, evidentemente. E comunque passa sempre una musica
molto mainstream, dove non c'è rischio né conseguentemente stupore.
Non pensi che il jazz, in Italia, difetti in organizzazione e coordinamento?
Sarà forse perché lo Stato e gli enti territoriali lo tengono sullo stesso livello
delle sagre di paese (con tutto il rispetto anche per queste)?
Il parallelismo con le sagre appare molto calzante, e inquadra un fenomeno che purtroppo
di fatto è avallato dagli addetti ai lavori, che accettano spesso condizioni non
ottimali di autonomia nelle scelte artistiche e progettuali. Dei risultati abbiamo
già purtroppo detto.
La diversificazione del prodotto artistico, e quindi discografico, anche al di
fuori dell'ortodossia jazzistica, può essere utile, oppure ritenete migliore la
specializzazione in un singolo settore musicale?
In generale la scelta dipende dalla cifra editoriale dell'etichetta e dai gusti
di chi la dirige, e quindi nella fattispecie l'ortodossia, che apprezziamo e rispettiamo,
non rappresenta un valore assoluto. Tuttavia una linea identitaria rappresenta una
esigenza indefettibile e quindi per Dodicilune ha comportato la scelta di linee
editoriali diverse, fortemente tipizzate, da quella "madre" legata all'improvvisazione
alla Koiné, legata alla voce, alla Fonosfere, dedicata alle musiche del mondo, alle
altre che curiamo con sempre maggior prospettiva. Tutte molto diverse ma tutte fortemente
identitarie, a partire dalla grafica.
Quali sono i prossimi progetti?
Innanzitutto un progetto tematico sulla figura di
Steve Lacy
a 30 anni dalla morte e 70 dalla nascita, ideato assieme a Roberto Ottaviano
che ne è una sorta di ideale prosecutore, con differenti ensemble, nomi internazionali
storici ed altri emergenti. Poi il magnifico "Brasil diferente" di Gabriele Mirabassi
e Roberto Taufic, e ancora Mirabassi in un gruppo in cui crediamo molto,
con Nando Di Modugno e
Pierluigi
Balducci, con la partecipazione straordinaria della voce brasiliana
di Monica Salmaso. Il disco di
Andrea Sabatino
con
Gaetano Partipilo,
e molti altri, sempre nel senso di ricerca di nuovi talenti che abbiano un progetto
e qualcosa da raccontare. Poi, dal 2015, una
serie di progetti speciali a tema. E la ristampa in vinile di qualità dei migliori
titoli del catalogo.
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Data pubblicazione: 05/10/2014
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