Si dice sempre che la voce è uno strumento, ma pochi forse hanno contezza
di come si possa utilizzarla in tal modo. Gianna Montecalvo è sicuramente
una di queste. La sua voce si incunea nei suoni degli strumenti, conseguendo una
coralità orchestrale, un'omogeneità tale al punto da far passare in second'ordine
il fatto che si tratti realmente di una voce. L'attenzione si sposta sul movimento
armonico, sulla melodia, sulla figurazione ritmica e su quel modo sapiente e meraviglioso
che la musica di
Steve Lacy
ha di raccontare le storie, lasciando in sospeso un concetto e risviluppandolo all'improvviso
seguendo canoni non convenzionali, senza stilemi, fortemente ancorati ad un background
culturale ampio e, soprattutto, libero, scevro da confini, artisticamente puro.
Steve's Mirror, va
detto subito, è un lavoro di grande spessore, i musicisti impegnati in questo tributo
risultano tutti molto più che adeguati. Mostrano di aver assimilato il linguaggio
lacyano e di averne colto elementi finalizzati alla propria identità artistica
suonando in modo del tutto naturale tant'è che la loro performance raggiunge una
fluidità notevole.
I brani rappresentano
Lacy
soprattutto nella sua "seconda vita artistica", quella che lo ha visto, dagli
anni '70 in poi -
spesso insieme alla moglie violoncellista Irene Aebi - impegnato nella
ricerca di un punto in comune tra la musica e la poesia, soprattutto rispetto alla
declamazione di un testo poetico "rubandone" i tempi, le metriche, l'espressività,
le intonazioni, le dinamiche e riportandole attraverso il suo soprano in uno spettro
sonoro più esteso possibile. In questo senso, Gianna Montecalvo sembra riesca
a raggiungere l'apice ideale di tale obiettivo permeando la musicalità della sua
voce (molto vicina ad un sax soprano!) con l'espressività del canto di un testo.
E lo fa coadiuvata soprattutto da un Roberto Ottaviano che,
se ancora ce ne fosse bisogno, affronta questo lavoro con molta intelligenza offrendo
alla Montecalvo un supporto da vero partner co-protagonista. Sempre al suo
fianco, non l'abbandona mai conducendola nei meandri degli intricati vicoli della
musica di Lacy
ma sempre con dolcezza, mai un grido eccessivo, mai uno stridore, un garbo
signorile, un vero omaggio alla delicatezza che
Lacy
stesso rappresentava anche sulle forme più asimmetriche, anche negli estremi improvvisativi.
Di gran valore Blues for Aida
dove è davvero impressionante ascoltare come la voce venga condotta sulle frequenze
del soprano fino a sovrapporsi in modo simbiotico. Oppure il fresco andamento di
Prospectus sul quale l'improvvisazione
condotta a due da sax e voce denota un affiatamento elevato rimarcato ulteriormente
nell'esposizione dei numerosi temi all'unisono. Il suono di
Lacy
era importante, inconfondibile, e Ottaviano è a sua volta dotato di un'importante
capacità di controllo dello strumento che qui è spesso anche lasciato solo, come
Lacy
amava nell'ultimo periodo della sua vita, in un ruolo che fa da interludio di parti
corali.
Il linguaggio di
Lacy
derivava, come si sa, dalle origini, sempre nascoste in un fraseggio che, cum
grano salis, le rilevava fugacemente e così accade che in
Napping,
Gospel,
Blue Baboon (con gran bel
solo sia di Ottaviano che della Montellanico),
Prospectus, si avverte anche tutta la competenza
stilistica che i protagonisti di questo lavoro hanno.
Uno dei pianisti emblematici della vita artistica di
Lacy
è stato Mal Waldron e Gianni Lenoci (che ha anche studiato
con Waldron) è sicuramente un profondo conoscitore del suo pianismo. In questo disco
fa quello che sa fare meglio: mettere a disposizione la sua creatività in maniera
totalitaria senza mai invadere, supportando armonicamente in modo esemplare i partner
che da questo punto di vista gli ruotano intorno, gli si appoggiano quasi fisicamente
traendone stimolo all'esplorazione, sostegno all'interpretazione (perfetto in
Somebody Special).
Vendola e Magliocchi, riescono a seguire questi istrionici artisti
nelle asperità e nelle insidie che un viaggio simile non può non presentare. Contribuiscono
senza dubbio a quella fluidità di cui sopra ed emergono con la loro creatività tutte
le volte in cui è necessario avendo anche uno spazio personale nel duo che la
Montecalvo ha riservato con il contrabbasso in
Art e con la batteria in
Bone (altro bel momento
dell'album).
La summa di tutto ciò che rappresenta
Steve Lacy
nell'animo artistico della Montecalvo e dei suoi partner è nel brano di chiusura,
Steve's Mirror, musica
scritta da Lenoci su un testo di
Lacy
stesso. Al termine dell'ascolto il silenzio improvviso fa rendere conto della ricchezza
di suoni e idee contenuti in questo album, una vera e propria catarsi in una dedica
preziosa, importante, nobile.
Marco Losavio per Jazzitalia