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Roberto Ottaviano
Forgotten Matches. The Worlds of Steve Lacy
dodicilune (2015)
CD 1:
1. Trickles
2. Gay Paree Bop
3. The Rent
4. Blues for Aida
5. Cette Fois
6. Herbe De L'Houbli
7. Clichès
8. We Don't
9. The Crust
10. Utah
11. Bookioni
12. That's For J.J. (Dedicated to the late Jean Jacques Avenel).
CD 2:
1. Flakes
2. What It Is
3. A.H.
4. Hemline
5. Angels Friends Neighbours
6. The Seagulls of Kristiansund
7. Wickets
8. Una specie di roba mista. Poly Free Independent
9. Agenda
10. Orange Grove
11. That's for Gilles (Dedicated to the late Gilles Laheurte)
CD 1:
Roberto Ottaviano - sax soprano Glenn Ferris - trombone Giovanni Maier - contrabbasso, Cristiano Calcagnile - batteria.
CD 2:
Roberto Ottaviano - sax soprano Alexander Hawkins - pianoforte
Via Ferecide Siro 1/e
73100 LECCE
Tel. +39 0832.091231 - 0832.092478
Fax +39 0832.1831054
email: ufficiostampa@dodicilune.it
web: www.dodicilune.it
Dopo il pregevole "Archtetics-Soffio primitivo" dedicato a Vittorino Curci,
poliedrico artista pugliese, inciso sempre per Dodicilune, Roberto Ottaviano
rompe gli indugi e va a confrontarsi con il suo modello di riferimento, il suo guru,
la sua stella polare,
Steve Lacy.
Lo fa con un doppio cd.
Il primo capitolo è inciso da un signor quartetto, dove figurano il trombonista
Glenn Ferris, già collaboratore del sommo sopranista americano, il bassista
Giovanni Maier, abituale partner del musicista barese e il meno frequentato
Cristiano Calcagnile
alla batteria, una certezza, comunque, nel panorama del jazz italiano. Il disco
contiene una maggioranza di brani di Lacy accanto ad improvvisazioni collettive,
a firma di tutti i componenti il gruppo.
I temi del compositore newyorkese si presentano come brevi cantilene, riff dal carattere
ritmico e danzante, antimelodici per natura e definizione. Ottaviano scava dentro
questi motivi, li volta e li rivolta, li rende suoi, pur rivelandone la discendenza
diretta dall'imprimatur dell'autore. Insomma il mondo espressivo, la peculiarità
estetica dell'omaggiato vengono fuori prepotentemente, ma all'interno di un percorso
profondo e personale.
Il bandleader sfodera sul suo strumento un timbro ben definito, un fraseggio fluttuante,
ondeggiante dalle note basse ai sovracuti, che domina perfettamente, permettendosi
anche incursioni in suoni doppi, tripli, oltre le norme codificate. Sul suo soprano,
in sintesi, transitano tutte le acquisizioni tecniche della contemporaneità, in
un discorso modernissimo e non in antitesi con la tradizione. Glenn Ferris con il suo trombone raddoppia la voce del sassofono, dialoga
con il partner fiatista e si getta in assoli di straordinaria efficacia, dove lo
stile di New Orleans incontra l'avanguardia afroamericana. E' una fusione possibile
ad alte temperature…
Maier e Calcagnile suonano rigorosamente liberi. Nel senso che i due possono sbizzarrirsi
in un lavoro scevro da obblighi di accompagnamento in senso stretto, ma riescono
a costruire un'impalcatura ritmica aperta, mobile e precisa.
Il secondo CD non è meno sorprendente del primo. Accanto al titolare dell'impresa
siede l'emergente pianista inglese Alexander Hawkins. Il raffronto con Mal Waldron,
compagno di Lacy in tanti dischi e concerti diventa inevitabile. Hawkins è distante
dal modo di suonare di Waldron, è meno melodico e africano, pur privilegiando un
pianismo di impronta percussiva con licenze e sconfinamenti nel camerismo free e
parentesi liquide. Il duo funziona a meraviglia sia nei motivi di repertorio che
in alcune composizioni estemporanee. Viene eseguito pure un brano di Harry Miller,
a ricordare, forse, il connubio storico di Lacy con i jazzisti sudafricani. L'atmosfera,
in questa circostanza, diventa subito ballabile e gioiosamente malinconica.
Attualmente sulla scena ci sono almeno due formazioni votate alla riproposta del
patrimonio musicale di Lacy. Innanzitutto si può nominare "Ideal bread", gruppo
di livello con Josh Sinton e Kirk Knuffke nella front-line, che spesso parte per
la tangente, abbandonando le tracce iniziali per dirigersi in altre direzioni. Come
non ricordare, poi, fortissimi "The Whammies", indubbiamente più regolari, ma che
risentono dello spiritaccio dissacrante di Han Bennink e, a volte, deviano
dalla strada segnata.
Attraverso "Forgotten marches…" Ottaviano compie un'operazione più rispettosa del
modello di riferimento e, allo stesso tempo, non meno originale. Perché il Lacy
del sassofonista pugliese è introiettato, digerito, assimilato e reso manifesto
dopo un processo interno, mentale e "fisico". Nessuno, infatti, ha amato, studiato
e analizzato a fondo l'opera del musicista di origine ebraica come Ottaviano e i
suoi due dischi si distinguono, perciò, da esperienze analoghe perché contengono
una competenza sulla materia e una devozione verso l'oggetto di attenzione e culto
assolutamente unici.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 25/10/2015
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