Quattro chiacchiere con...Antonella Chionna marzo 2014
di Alceste Ayroldi
"Il jazz è quel genere musicale che può assorbire un sacco
di cose ed essere ancora jazz" (Sonny
Rollins). A conferma dell'assoluta verità di Rollins, c'è "Adiafora"
di Antonella Chionna, album licenziato dalla Dodicilune per la collana Koinè. La
cantante e compositrice pugliese fa tutto da sé: musica e parole, ad eccezione della
monkiana "Round Midnight" e di "Non so più niente", attinta dal canzoniere
del fin troppo sottovalutato cantautore genovese Piero Ciampi. Al suo fianco un
quintetto di valenti musicisti che hanno saputo interpretare i diversi volti musicali
di Antonella Chionna:
Marco Tamburini, tromba; Alessandro Leo, sax baritono e soprano; Antonio
Palazzo, pianoforte; Camillo Pace, contrabbasso; Max Ingrosso, batteria. Un lavoro
che fonde, con particolare creatività, la melodia italiana e un jazz frizzante.
La voce della Chionna è camaleontica e capace di muoversi in registri differenti
con agilità e nonchalance. Parliamo con lei del suo album, del suo libro e d'altro.
Antonella, sei una poetessa e
una musicista. Ti senti prima l'una e poi l'altra, o viceversa?
Le due cose convivono indissolubilmente, da tempo. Certo, la letteratura è stata
una scoperta precoce; da bambina e adolescente divoravo libri a dismisura e scrivevo
di nascosto (mi vergognavo moltissimo). La musica è stata una sconvolgente scoperta
adolescenziale, era un modo ulteriore per comunicare quello che per me è terrificante
a crudo: condividere con l'altro un mondo interiore che è, in termini di popolarità,
ai margini.
Sei giovanissima e già hai esordito con un album a tuo
nome. Lo avevi già in serbo da tempo?
Ho cominciato a lavorare al progetto circa tre anni fa, intorno ai vent'anni.
A posteriori, ritieni che fosse troppo presto o già troppo
tardi?
Non mi piace pensare al tempo, almeno nella quotidianità, come qualcosa da combattere,
nel tempo direi che "presto" e "tardi" in fase di svolgimento dell'opera hanno trovato
un buon equilibrio: al "termine" della stesura avevo immagazzinato maggiori informazioni
di quelle che avevo interiorizzato in partenza, condizione che non si sarebbe verificata
se avessi procrastinato un bisogno primario.
A leggere bene la tua biografia, questo dovrebbe essere
il tuo primo disco in assoluto. Avevi già avuto altre collaborazioni discografiche?
No, questo è il mio primo disco in assoluto.
Spero di non offenderti, ma a sentirti cantare non sembri
una ventiquattrenne: una voce matura, calibrata e ferma, sicura. La sicurezza deriva
dal fatto che canti la tua musica, i tuoi testi o nasce da qualcos'altro?
Credo fortemente in quello che dico, canto, scrivo, penso. Un punto di forza è ascrivibile
alla mia persona, per carattere non mi piace avere problemi esistenziali insolvibili,
scheletri nell'armadio ammuffiti, problemi a tutti i costi con chiunque mi capiti
a tiro. Può sembrare strano ma la sicurezza, a patto che vi sia, deriva da una disarmante
linearità di pensiero propria di chi come me sceglie l'equilibrio alla patologia.
Indubbiamente suonare la tua musica ti porta ad un livello vergine e dunque penetrante,
se hai capito chi sei (non è, a mio avviso, una conquista immediata ovvero radicata
nell'esistenza in sé) o perlomeno se provi a capirlo la sicurezza è un fatto di
etichetta dal pubblico all'autore, per quest'ultimo è un fattore relativamente ontologico.
Certo ho anche avuto degli insegnanti pazzeschi, chi lo nega.
A parte il canto, anche la scrittura della musica è molto
personale. Chi ti ha stimolato in tal senso?
Musicalmente parlando buona parte del cantautorato italiano e della canzone americana
anni Trenta-Cinquanta, il livello testuale attinge necessariamente ad una dimensione
poetica molto forte, quasi campaniana anche se è per me ostico dover circoscrivere
molteplici stimoli e influenze.
Sei partita prima dai testi o dalla musica?
In alcuni casi la contemporaneità ha giocato un ruolo privilegiato, in altri la
musica ha fatto da sovrana.
Sembra che tu abbia lavorato molto sulla linea di congiunzione
tra la canzone italiana e il jazz. E' stato difficile adattare la metrica della
lingua italiana con quello delle strutture jazz?
Continuo a difendere quello che molti coetanei (e non) non valorizzano. La lingua
italiana, la mia lingua, parlicchio discretamente (eufemismo, lo parlo e lo capisco
molto bene) l'inglese, possiede una tavolozza timbrica come poche, proprio la complessità
e dunque le possibilità che offre sono innumerevoli. Per chi come me lavora sulle
immagini ipermetaforizzate, sullo shock linguistico, sulla sintesi fotografica è
difficile (non impossibile) pensare consapevolmente in una lingua diversa. Dunque
no, non ho incontrato difficoltà nell'adattare la metrica italiana con le strutture
jazz, la lingua italiana può (Germane de Stael riteneva fosse l'unica lingua in
grado di soddisfare in pieno i criteri auspicabili di comprensione linguistica)
prestarsi tranquillamente a possibili scenari e ambienti, certo a posteriori le
cose potrebbero essere differenti.
A proposito: studi a parte, evidentemente il jazz ti piaceva
già prima di studiarlo al conservatorio. Chi o cosa ti ha spinto verso il jazz?
Avevo una nonna, peraltro bellissima, praticamente ossessionata dall'opera... mi
cantava di tutto, faceva suonare dischi (opera e musica classica), di lì ho cominciato
a emettere i primi suoni (in pratica imitavo con discreti risultati le cantanti
liriche), poi "addomesticando" lo strumento ho capito che l'attitudine canonica
del "suono o musica in un certo modo" era un miraggio che poteva trovare una dimensione
più umana in altro a me sconosciuto, poi (meriti o demeriti non mi piace distribuirne)
sono arrivati gli ascolti, il jazz, ero a mio agio(tra alti e bassi). Perfettamente.
Una curiosità: hai mai pensato di mollare tutto e cambiare
mestiere?
Cambiare mestiere continuamente. Mollare tutto sarebbe un suicidio, potrei morirne.
Ritornando al tuo album, perché Adiafora?
L'adiaforia è un concetto della filosofia stoica, mi diverte pensare che quello
che per gli antichi(?) fosse non determinante, indifferente (a - diaforos lett.
le cose indifferenti) al raggiungimento della virtù per i moderni(?) costituisca
una clessidra devastante.
Come hai scelto i tuoi compagni di viaggio?
Parlai del progetto ai ragazzi, lo trovarono stimolante. Il resto è inciso.
Due sole "cover": Monk e Piero Ciampi, in linea con il
tuo percorso. Ci saranno dei motivi particolari per cui hai scelto proprio questi
due autori: quali sono?
I due brani sono la summa dei due cardini principali del mio percorso il cantautorato
italiano e il jazz.
"Epifanie Baritonali" è la tua prima opera letteraria.
Anche qui un titolo intrigante.
Il concetto di epifania, (è nella radice greca il senso "epifàino", "mi rendo manifesto")
rivelazione dal profondo (baritonale, in qualche modo) è il fulcro dell'immagine
esposta.
Ti sei ispirata al metro dell'haiku. Come mai questa scelta?
Trovavo affascinante il rovesciamento culturale istituito dal mondo orientale nella
visione occidentale: una visione obesa, appesantita delle cose che nel suo essere
prolissa perde in qualche modo l'essenza delle cose e dunque d'istantaneità. Certo
la mia testolina è occidentale in qualche modo, l'esperimento si è poi dovuto estendere,
per forza di cose, ad una ricerca (meno ortodossa, parlare di un metro specifico
già presuppone un contenitore incontrovertibile) su due versanti: l'epigramma e
l'haiku. Il risultato, considerando una serie di fattori, è stato formativo; dopo
la pubblicazione ho ricevuto diverse chiamate, tra cui quella del critico letterario
e scrittore Michelangelo Zizzi il quale, accogliendomi sotto la sua ala, colpito
dalla pubblicazione ha selezionato altri dodici componimenti inediti che vedranno
prossima pubblicazione per il Quadernario della Lieto Colle.
Sei nata già con la predisposizione artistica oppure c'è
stato qualche avvenimento che ti ha condotto verso questa strada?
E' cresciuta, inconsapevolmente con me. Come forma mentale creativa, la predisposizione
artistica filtrava, filtra e mi auguro filtrerà buona parte delle percezioni del
mondo, nel mio caso. Chiunque crei qualcosa "ex novo" (anche qui ci sarebbe da approfondire)
sa quello di cui si parla.
Hai già studiato tanto. C'è qualcuno in particolare che
ti ha lasciato un segno indelebile?
Si, indubitabilmente. Pensare al percorso di ricerca che coltivo, tra alti e bassi,
mi porta a riconoscere i maestri che hanno segnato nel profondo i miei mondi, in
primis Gianni Lenoci
e Michelangelo Zizzi, devo molto infine a Gianna Montecalvo,
una splendida mamma vocale e musicale.
C'è qualcuno, in particolare, al quale senti di voler dire
"grazie"?
Ho un padre, (una famiglia) che mi adora e mi sostiene a prescindere. Dire grazie
sarebbe riduttivo, deluderlo inevitabile.
Hai compiuto studi accademici e non: quali differenze hai
riscontrato tra gli uni e gli altri?
Credo che l'accademicità o meno c'entri poco. E' la dimensione etica, umana che
fa il maestro. Concretamente parlando (riporto la mia infelice esperienza, ho insegnato
canto moderno per un breve periodo in alcune scuole di provincia, sono scappata
dopo un paio d'anni)i contesti meno accademici (scuole, scuolette, scuolone, scuole
pareggiate, scuole impareggiate) cercano, più o meno giustamente, maggiore sostentamento
dalla richiesta dell'utente. Questo fattore, per quel poco che ho visto, è pilotante
e dona importanza eccessiva all'idea che il genitore, nel novantacinque percento
dei casi affetto da incurabile impedimento, ha dell'insegnamento della musica (parlare
di arte sarebbe impensabile, salvo rari casi): un doposcuola piacevole, possibilmente
disimpegnato, potenzialmente redditizio. Certo è anche vero, ho insegnato a persone
più grandi di me, la mia generazione e quella prima della mia (classe io 1990),
non mi duole dirlo, possiede una carente attitudine intellettuale... qualcuno mi
dirà -eh vabbè l'età-, eh no, io a sedici anni ero diversa. Lo dicevano tutti avevo
(mantengo con convinzione) un caratteraccio, ovvio.
Da giovane a un giovane: quale consiglio ti sentiresti
di dargli (le)?
Pensa multidimensionale, elabora uno spirito critico convincente e soprattutto non
scambiare il valore delle cose con il prezzo a loro attribuibile (non bisogna conoscere
Marx per intuirlo), questa è la chiave.
Quali sono le maggiori difficoltà che riscontri nel mondo
della musica?
Il problema è unico e secolare. Pecunia, in questo caso, olet. Salvo rare e meravigliose
eccezioni.
Hai pensato di portare Adiafora in tour?
Il tour dovrebbe partire ad aprile, "difficoltà" permettendo.
Stai lavorando anche a qualcos'altro ora?
Sto scrivendo molto, sono focalizzata sullo studio. Chi lo sa, restate sintonizzati.