Dodicilune 2009 Distribuzione IRD
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Ibrido Hot Six
L'Eclisse
1. On Reflection (Shulman, Shulman, Minnear)
2. Ibridolphy (Dolphy)
3. Ibridarea (Apuzzo)
4. Edge of Twilight (Shulman, Shulman, Shulman, Minnear)
5. To be (Coltrane)
6. Not to be (Apuzzo)
7. Invisibile (Apuzzo)
8. Eclipse (Mingus)
9. La città degli invisibili (Apuzzo)
10. 10. New York (Coleman)
11. 11. Pantagruel's Nativity (Shulman, Shulman, Shulman, Minnear)
Pino Capomolla - flauto, tenor recorder
Gianni Di Ruzza - oboe
Antonio Apuzzo - sax alto e tenore, clarinetto e clarinetto
basso, descant recorder)
Francesco Fratini - tromba
Sandro Lalla - basso)
Gianluca Taddei - basso
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"L'Eclisse" è il secondo album degli Ibrido
Hot Six, band formatasi a Roma nel 2000
dalle idee del flautista Pino Capomolla e del polistrumentista Antonio
Apuzzo. In questo nuovo lavoro si avvicinano all'essenzialità istintiva
del jazz con l'inserimento del giovane trombettista Francesco Fratini. Il
gruppo propone una vera e propria ibridazione di stili apparentemente diversi tra
loro e amalgamati con proprietà sintattica ed inventiva, sperimentando un sound
profondo e ben coordinato tra l'improvvisazione ed il pentagrammato. Il risultato
è, di conseguenza, un "Ibrido" che prova a combinare la creatività di
Ornette
Coleman,
John Coltrane,
Charles Mingus
ed Eric Dolphy con l'organizzazione tipica della musica da camera e le sonorità
psichedeliche del progressive anni '70 degli Area e dei Gentle Giants, questi
ultimi in particolare ricordati con tre accurate riletture ,"On Reflection","Edge
of Twilight" e "Pantagruel's Nativity".
Dal sottotitolo dell'album, "Musiche invisibili
per sei esecutori e undici strumenti", si evince come la band abbia voluto sperimentare
l'utilizzo di un ampio spettro di timbri attraverso i quali la scelta di immaginare
quasi in sincrono due contrabbassi assieme, in costante ed armonica interazione,
sembra bilanciare l'esecuzione di ance e flauti. Convincente, allora porre in tal
senso la tromba come elemento di equilibrio in un' organicità che sopperisce alla
mancanza della batteria. I fraseggi paiono eseguiti con omogeneità, nessuno strumento
intende prevalere sugli altri, neanche quando tromba e sax-alto, rispettivamente
in "Eclipse" e "La città degli invisibili", si animano in assoli di
grande impatto, tendenzialmente free.
Nell'insieme il disco si discosta decisamente dai generi ai quali la band
si è ispirata in altri episodi, dando vita ad un jazz cameristico che spazia tra
momenti intensi e frenetici ed altri ponderati e riflessivi, in un bouquet cromatico
fra Europa e Stati Uniti.
La parte centrale del disco fa leva sui brani originali del gruppo, prodotto
dell'istintività di Antonio Apuzzo. "Ibridarea" è un intenso
ricordo degli Area nel quale i fraseggi tendenzialmente blue di clarinetto,
sax ed oboe si caricano di valenze classiche senza tralasciarne la vena originariamente
progressiva. L'impronta del gruppo si enfatizza in "Not To Be" e "Invisible",
entrambi divisi omogeneamente tra temi sospesi, tempi più movimentati e tratti a
volte "gershwiniani", che, fusi assieme, danno vita ad una linea guida che
sarà riconoscibile per tutto l'album.
Una nota a parte per "La Città degli Invisibili", in cui
Antonio Apuzzo dà vita a istanti di puro virtuosismo ed estetizzante inventiva
su scale largamente cromatiche, sorretto da una vibrante esecuzione di accompagnamento.
La scrittura dei brani, accuratamente elaborata, ha una struttura lineare
e scorrevole, quasi narrativa e a volte fiabesca, com'è deducibile già dalla scelta
di rileggere i Gentle Giant. Nel complesso, come un' eclissi appunto, la band ci
tiene in sospeso fino alla fine riuscendo a coordinare il passato in un vortice
di sonorità fantasiosamente ponderate. L'ideazione estetica del gruppo nonché la
mancanza dell'elemento ritmico rappresentano una scelta ambiziosa e tutt'altro che
semplice dove il rischio è quello di cadere in una noiosa ridondanza di strutture
e di iterazioni incontrollate. L'esito è comunque animato da una sensibilità e da
una spontaneità intrisa di valenze tanto armonicamente interessanti quanto non immuni
da rischiosa complessità tematica, denotata da una verve assolutamente contemporanea,
che pur sembra riuscire nel difficile intento di dar equilibrio ad uno stile
nuovo, che non stanca e che, soprattutto, appare valido nelle intenzioni e ben
definito nelle atmosfere evocate.
Fabrizio Ciccarelli e Andrea Valiante per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 21/11/2009
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