Debutto per il chitarrista pugliese Gionni Di Clemente. A capo
di un quintetto costituito da validi musicisti, fra cui Elmar Schafer e
Graziano Caprioni, compone un disco estremamente intimo, elegante, della
World Music più leggibile ed apprezzabile. Di Clemente è senza dubbio un
musicista ricettivo a 360 gradi rispetto alle tradizioni musicali delle culture
tangenti la nostra, cosa verificabile già attraverso la sua biografia: dopo un inizio
accademico, incentrato sullo studio della chitarra classica, è attratto già da stili
tradizionali ispanici con riferimenti alla bossa ed al flamenco, con l'apertura
al fingerstyle e quindi all'espressione jazzistica. Il passo successivo è l'avvio
di una seria ricerca teorica e pratica sulla musica delle culture balcaniche, arabe,
indiane, e conseguentemente l'adozione di strumenti propri di quelle culture: l'oud,
il sitar, il bouzouki.
Si resta affascinati subito, non appena si comincia l'ascolto, dalle sonorità
leggiadre che caratterizzano ogni singolo brano del disco. Si tratta di una musica
suadente, certo influenzata da più aree geografiche eppure, nel suo intimo, così
squisitamente mediterranea e solare, persino nei momenti dove il compositore sembra
voler trasmettere più cupezza.
Il valore dei musicisti coincide in questo caso con la loro stessa volontà
di completare un'opera che abbia pregio per sé stessa e non solo per le personalità
di chi vi suona - caratteristica purtroppo non sempre riscontrabile nella produzione
musicale contemporanea. Non si fa cioè alcuno sfoggio di tecnica né si dà durevole
rilievo ad alcuni strumenti piuttosto che altri. Ogni parte è immersa omogeneamente
all'interno dell'organico e i brani risultano sospinti da ogni voce in modo molto
armonico, senza forzature. Volendo, comunque, ci si può benissimo soffermare su
singoli elementi dell'organico, ad esempio gli splendidi sassofoni di Schafer,
piuttosto che le trame delicate dell'accompagnamento di Caprioni, sicuri
di non restarne delusi; ma l'effetto curioso che si avverte dopo poco è quello di
essere tratti lontani dall'ascolto di una sola voce e portati, involontari, ad ampliare
l'attenzione sull'insieme. Sebbene il buon livello dei musicisti sia perfettamente
intendibile, quindi, esso appare alle dipendenze della giusta misura, e tutto il
disco ne giova. Non esito ad incoraggiare un lavoro come questo, essendo profondamente
convinto della necessità di una musica che passi dapprima per il cuore e non solo
per la ragione.
Il disco di Gionni Di Clemente sembra incarnare questa idea. Le
dieci tracce che lo compongono sono un susseguirsi di piccoli gioielli che entusiasmano
e coinvolgono l'ascoltatore: dalle melodie eteree di "Cliffs
of Mother", sostenute dal contrappunto ritmico di Fascioli e
Macrini, alla dimensione solistica più genuina di "Moira",
dove la mano di Di Clemente confeziona un solo veramente bello. Molto interessanti,
degne di nota, anche l'arabeggiante "Afida"
e "Jorma", nonchè il brano che dà il titolo
al disco, intarsio di stili e sonorità frammiste, che spaziano dalla musica ispanica
ai ritmi balcanici, con qualche concessione nelle tensioni sonore ereditate dal
Free. Infine sarebbe ingiusto non segnalare la bella "Ninna
Nanna" cui è affidato il compito di chiudere il lavoro.
In summa, il disco dell'ensamble di Di Clemente è una piccola opera
d'arte, se si decide di valutarlo sul piano espressivo della musica che il quintetto
ha realizzato. Certo sicuramente qualcuno troverebbe da criticargli la poca originalità,
forse forte dell'aver già sentito (ma ascoltato?) questo tipo di lavoro, questa
intenzione. Dal mio punto di vista ritengo che non sia importante: se Di Clemente
volesse potrebbe senza dubbio creare musica per soddisfare la sete di sfarzo dei
più critici, perché dimostra di avere l'abilità di farlo; ma non è fortunatamente
questo ad interessarlo, quanto piuttosto l'espressione ed il gusto artistico, offrendo
così un lavoro che non può deludere e che vale sicuramente parecchi ascolti.
Achille Zoni per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 16/06/2007
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