Intervista a Cinzia Eramo e Paolo Damiani
3 maggio 2007, Gioia del Colle (BA)
di Adriana Augenti
Abito di scena in perfetta atmosfera jazz
Cinzia Eramo,
la giovane cantante gioiese la cui voce si inserisce a giusto titolo fra le più
promettenti della scena italiana contemporanea, appare da dietro le quinte del Teatro
Rossini mentre sono già intenta ad improvvisare qualche parola con l'a tutti noto
Paolo Damiani.
Sono le otto di sera, e nell'aria di Gioia del Colle si respirano note
da più direzioni.
Di lì a poco
Cinzia Eramo
e Paolo Damiani,
assieme al maestro
Gianni Lenoci, già compagno di note della Eramo nel suo primo lavoro,
e Marcello Magliocchi, presenteranno ad una platea gremita il progetto "Piccole
gemme di estrazione creativa".
Forse non bisognerebbe disturbare gli artisti poco prima dell'esibizione,
in quei momenti in cui l'inesorabile tensione si impadronisce dell'artista richiamandolo
a raccogliere concentrazione … o forse sì, anzi forse è anche meglio.
E ancora, forse la tensione, quell'emozione che precede, se c'è, può esser
spróne per la rappresentazione. E una chiacchierata inusuale, al posto di distrarre
dalla concentrazione, può essere un gradevole diversivo per ingannare quei pochi
minuti che separano dalla scena. Per cui, visto che ci sono …
Adriana Augenti: Se ti chiedessi di esprimere
un solo pensiero sull'improvvisazione?
Paolo Damiani: L'improvvisazione è andare al di là
di ciò che si sa.
A.A.: E come si concilia l'improvvisazione con
i "reading" a cui sei tanto appassionato e affezionato?
P.D.: Sono assolutamente complementari, perché
mi permettono di uscire dal jazz. Spesso con un reading è sufficiente una nota,
o anche un silenzio, una pausa. Bisogna imparare a tacere quando si sta con una
voce recitante … e anche quando si suona con le cantanti (guardando Cinzia).
A.A.: Nei vostri lavori esiste un progetto di
fondo?
Cincia Eramo: Diciamo di sì. Quando si lavora con
l'improvvisazione bisogna lasciare molto spazio alla libertà espressiva, a ciò che
si "sente" nel momento, ad una composizione che non sia propriamente preparata.
L'idea è quella di avere una base che possa farti esprimere l'emozione del momento.
Salvo poi l'esistenza dell'improvvisazione totale, che personalmente non preferisco.
P.D.:
Ciò che a me interessa è la dimensione di rischio, uno sguardo nel buio. E' un qualcosa
che ha a che fare con una parte di noi che non conosciamo fino infondo. Questo è
quello che cerco di fare con le varie forme che la vita ci propone. Ad esempio l'ottimo
quartetto di Cinzia
Eramo è il progetto a cui mi sto dedicando ultimamente, e gli riconosco
queste peculiarità.
A.A.: Ipotizzando (pur molto vicini al reale)
che improvvisazione e tradizione appartengano, meglio, debbano appartenere al corredo
che ogni musicista (jazz?!?) che voglia essere considerato tale deve acquisire nel
suo bagaglio, per poter esprimere e trasmettere la sua emozione, quanto importanza
deve essere data alla terra, alle radici? Mi riferisco in particolare alle sonorità
mediterranee che sono distinguibili spesso nei vostri lavori.
C.E.:
In particolare in questo progetto il carattere mediterraneo, anche africano, viene
fuori in maniera preponderante. Abbiamo scelto di ispirarci a delle composizioni
di Abdullah Ibrahim, che è un pianista sudafricano, ad altre di Duke Ellington,
che comunque nel suo pianismo ha sempre accolto tutte le influenze legate alle tradizioni
popolari e ai loro caratteri… Il jazz ha tradizionalmente una forte componente popolare,
ma secondo me riesce a rinnovarsi pescando negli altri generi musicali, facendo
sì che ogni volta possa nascere un linguaggio nuovo, proprio di ogni artista interprete.
P.D.: Io sono di origini sarde, per cui c'è tutta
la musica etnica di tradizione sarda che fa parte del mio DNA. Mia nonna mi cantava
le ninne nanne sarde, il ballo sardo, le launeddas. Mi sembra assolutamente naturale
trasferire nella musica che faccio tutto il mio bagaglio culturale. Così come un
nero americano fa col Blues io faccio con le launeddas. Più o meno è la stessa
cosa. La bellezza del jazz è che ti permette di utilizzare linguaggi diversi e le
tue tradizioni, che sono sì l'Opera ma sono anche le launeddas.
A.A.: E a proposito del dialogo tra cantanti
e musicisti …
P.D.: l'ultima parola bisogna lasciarla alla cantante
C.E.: Io non posso essere che d'accordo con quello
che ha detto Paolo (ridendo). Personalmente ho sempre cercato di muovermi più da
musicista che da cantante. Cerco di lavorare con la voce in modo strumentale, non
fermandomi all'esecuzione del tema in maniera canonica. La dimensione del rischio
di cui Paolo parlava prima … ecco una cosa che mi piace! Inoltre cerco in tutte
le maniere, nel mio modo di stare sul palco, di non apparire come una "star" … e
non fermarti a guardare il vestito che ho stasera (sempre sorridendo). Quando canto
mi piace che tutti abbiano voce in capitolo alla stessa maniera. Non è una cosa
semplice da realizzare, ma so di essere sulla stessa lunghezza d'onda con le persone
con cui collaboro.
A.A.: Come si crea quel vuoto pieno di significato
che ascoltiamo nei tuoi lavori? Come lo si trasmette?
P.D.: Ascoltando se stessi probabilmente, anche
nella musica. Come lo si trasmette lasciamolo nel mistero, non si può svelare tutto!
A.A.: L'importanza del tempo, del silenzio e
delle pause nel canto.
C.E.: E' la cosa più importante! Io nasco come
cantante jazz bebop, e ricordo i miei esordi in cui dovevo improvvisare, ed improvvisare
a cascata chorus su chorus senza dare troppa importanza alle pause, perché sentivo
di dover andare, come un fiume in piena. Quando mi fu detto di cominciare a fermarmi,
di capire il valore delle pause, si è aperto un mondo sonoro a cui fino ad allora
non ero arrivata. Tempo, silenzio e pause nel canto sono fondamentali.
A.A.:
A proposito dell'insegnamento, cosa cerchi di trasmettere ai tuoi studenti? Cosa
vorresti che loro apprendessero? Cosa consigli loro di imparare come prima cosa?
C.E.: La maggior parte degli allievi che ho non
vogliono diventare dei cantanti jazz. Io però nell'insegnamento il jazz ce lo metto
sempre, e una cosa bellissima è vedere come poi questi ragazzi vi si affezionino
e vi si appassionino. Per me già questo costituisce una sorta di piccola vittoria.
Per quanto invece riguarda l'insegnamento in maniera più sintetica e meno mediata,
il canto è uno studio difficile su se stessi: si deve studiare uno strumento che
non si vede. Imparare a sentire e a riconosce ogni indizio musicale col proprio
essere è più difficile rispetto agli esercizi che si svolgono con una strumentazione
diciamo più materiale, dove sai che spingendo un tasto esce un suono. Se sei un
po' nervoso, se sei troppo eccitato, se hai mal di gola … qualsiasi cosa tu abbia
la trasmetti alla tua voce. E' uno strumento molto sensibile, non viene influenzato
solo dall'ambiente esterno. Quando non si ha quella lucidità che è data anche da
un po' di esperienza, oltre che da una buona dose di faccia tosta magari, è difficile
riuscire a "suonare" il nostro strumento a dovere. E' questo che bisogna apprendere!
A.A.: Allora parliamo un po' del tuo "strumento"!
Una domanda un po' provocatoria, forse. Qualche tempo fa un articolo anonimo dettava
ironici consigli su come recensire un cd di jazz. Consigliava un meccanismo a punti:
ad ogni step di analisi del cd c'erano da aggiungere o da togliere punti. Uno degli
step riguardava l'analisi del canto: "se la cantante fa scat allora levate 5 punti:
Billie Holiday non faceva scat!" ...
C.E.: Billie Holiday "sfruttava" la potenza
del suo silenzio, delle sue pause. Era incredibile! Nel suo modo di cantare puoi
vedere davvero il valore di una pausa, quel silenzio che dice molto più di una parola.
Su Billie Holiday siamo d'accordo. Però non si può dire che altre grandi cantanti
come Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Betty Carter non emozionassero facendo scat,
o che addirittura non avessero diente da dire utilizzando quel linguaggio!
A.A.:
La nuova scena musicale e tutto quello che è cambiato negli ultimi 10 anni circa:
internet, il mutamento dei rapporti con le società di gestione collettiva ("la"
società di gestione collettiva), la possibilità di autopromuoversi … Quanto tutto
ciò può essere considerato un vantaggio per un artista e/o quanto un inconveniente?
P.D.: Beh, facendo un discorso personale, io attualmente
lavoro da solo, non ho neanche un agente, non uso il computer, non utilizzo internet
… sono un disastro da questo punto di vista. Sono fortunato perché gli organizzatori,
i direttori artistici, i colleghi musicisti, mi chiamo e alla fine lavoro anche
troppo. Volendo rispondere in un modo un po' più serio, quando ero presidente dell'AMJ,
l'Associazione Nazionale Musicisti di Jazz, dal 1996
al 1999, abbiamo tentato di affrontare tutta
una serie di problemi, ma non ci siamo riusciti. Diciamo che questa è stata una
sconfitta non mia, o comunque non solo mia, ma un po' di tutta la categoria. La
mia impressione è che ci siano ancora troppe divisioni, troppa incapacità di lavorare
insieme per ottenere delle cose. Per esempio la SACEM (la SIAE francese n.d.r.)
tutela il diritto d'improvvisazione. Qui noi ci abbiamo provato, ma c'è un muro
da parte della SIAE … Ci sono delle battaglie da affrontare, ne sono convinto.
A.A.: Tu invece hai uno spazio su "myspace" …
C.E.: All'inizio mi ci sono imbattuta più che altro
per curiosità. C'erano degli amici musicisti che ne avevano già uno e durante qualche
chiacchierata mi avevano prospettato la possibilità di avere questa vetrina sul
mondo. E' qualcosa di diverso da quello che può darti un sito web, specie per chi
come me non è un nome noto fuori da determinati circuiti. La rete di myspace
abbraccia prospettive più ampie. Ha permesso che la mia musica potesse essere ascoltata
da un qualsiasi sconosciuto australiano, così come a me ha permesso e permette di
scovare un contrabbassista di Pechino senza che io abbia avuto con lui alcun altro
genere di collegamento. Da questo punto di vista trovo che sia un modo di comunicare
straordinario. Questa maniera di farti conoscere, tra le altre cose, porta anche
del lavoro. Parecchi colleghi hanno trovato lavoro in questo modo: lo spazio che
non hanno trovato in Italia lo hanno ad esempio trovato in America, con determinati
tipi di musica che magari qui in Italia "non vanno", mentre lì sì.
A.A.: Il più grande ostacolo che hai incontrato
nella tua carriera?
P.D.: Non ho incontrato nessun ostacolo.
C.E.: Al momento non ce ne sono stati, e speriamo
che non ce ne siano.
A.A.:
Cosa ci dici a proposito delle nuove voci sulla scena internazionale?
C.E.: Un cantante che io trovo grandioso è
Kurt Elling:
merita davvero tutto quello che sta raccogliendo secondo me. Lui è sulla scena ormai
da qualche anno. Nomi più recenti ce ne sono, ma sono più "poppeggianti", come
Jamie Cullum ad esempio. Oggi come oggi se devo ascoltare un disco jazz difficilmente
mi dirigo verso nuove voci femminili. Per quanto riguarda altri generi di musica,
c'è da dire che io amo molto la musica nera, americana. Mi piace molto il R&B anche,
lo includo nei miei ascolti. Mary J. Blige ad esempio, così come alcuni
cantanti del nord Europa, tipo Sidsel Endresen, o anche Bjork … E
poi quel jazz che potremmo definire europeo, con quelle connotazioni molto più amplificate
legate al mistero, alla ricerca davvero di una vocalità "altra", ma non le inquadrerei
in nessun circuito precostituito, non pop ne' altro di diverso…
A.A.: Se tu fossi un libro?
P.D.: Che domanda! Se io fossi un libro …
vorrei essere un romanzo d'amore. Lolita! [1]
C.E.: A me piace molto leggere, però sono così varia
nelle mie letture che mi riesce difficile così su due piedi inquadrarmi in un libro
… mi piace tantissimo Jodorowsky, per cui Psicomagia sarebbe il mio
libro.
A.A.: Quando avremo la possibilità di ascoltare
questo progetto in cd?
C.E.: A fine maggio entriamo in sala di registrazione,
per cui spero che esca il più presto possibile. Però è ancora tutto da valutare...(ndr.
la registrazione è stata effettuata...)
A.A.: E il tuo prossimo progetto?
P.D.: Io sto facendo un disco per l'EGEA che uscirà
a settembre. Ci sono
Gianluigi
Trovesi e
Danilo
Rea come ospiti, oltre ai musicisti con cui abitualmente lavoro,
Diana Torto,
Javier
Girotto, Michele Rabbia o Walter Paoli a seconda
delle situazioni, e
Bebo Ferra
alla chitarra. In realtà è già finito, ma lo facciamo uscire a settembre perché
è appena uscito un altro mio cd nella collana dell'Espresso dedicata al jazz dal
vivo, registrato alla Casa del Jazz.
Piccole gemme di estrazione creativa sceglie la linea della melodia. Poche
parole, pochi testi, molti suoni e … silenzi cadenzati.
Cinzia Eramo
gioca con maestria sui cromatismi della sua voce, che si inserisce perfettamente
nel dialogo con le trame strumentali. Le sue interpretazioni di brani come "The
Seagulls of Kristiansund", di Mal Waldron, restituiscono al pubblico
tutta la partecipazione del suo canto.
I suoi compagni di note vivono insieme a lei ogni brano.
L'apertura percussiva della batteria di Marcello Magliocchi regala
alla performance quel sapore mediterraneo di cui abbiamo parlato pocanzi, fino a
definire, man mano che si prosegue, il timing di ogni brano. Il violoncello di
Paolo Damiani,
che alterna pizzicato ad archetto, permea ogni interpretazione, ricompensandola
di quel mood linea base del "progetto" tutto. Il pianismo di
Gianni Lenoci,
anch'esso melodicamente incentrato sulla libera interpretazione, riesce a veicolare
l'insieme con ricchezza armonica.
Si passa così tra altri brani di Mal Waldron, come "Fire
Waltz", a brani di Abdullah Ibrahim, come "The
Mountain", a Duke Ellington e ad altri ancora, attraversando note,
vocalizzi e … emozioni, alternando dialogo d'insieme a soli ben architettati … armonicamente
improvvisati.
La sintonia espressiva di tutti i musicisti valorizza l'eleganza vocale
di Cinzia Eramo,
che col suo "strumento" compone idee melodiche facendo uso dei cromatismi.
Armonia di gran pregio, che riesce a esprimere allo stesso tempo tradizione
popolare e sensibilità jazzistica.
Sì, sono davvero Piccole gemme!
[1] Paolo Damiani, insieme a Stefano Benni e a Giorgio Rossi,
ha anche realizzato un lavoro basato sul testo di Nabokov, "Danzando Lolita" (2003)
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
|
Invia un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 9.692 volte
Data pubblicazione: 01/07/2007
|
|