Dopo un primo ascolto, Ladybird di Paolo Damiani lascia senza punti fermi per orientarsi all'interno della sua ispirazione musicale ed estetica. È sfuggente a ogni classificazione e, se lo scopo resta quello di trovarvi un genere adeguato, innumerevoli ascolti sarebbero comunque insufficienti. E, nelle note introduttive a Ladybird,
Stefano Benni ci vieta anche di cavarcela con l'aggettivo "versatile", chiamato spesso in soccorso quando non ci si raccapezza. No, Ladybird non è nemmeno "versatile", se per versatile s'intende, come suggerisce Benni, il marchio conferito a un mosaico di generi e ispirazioni diverse, che hanno sostanzialmente lo scopo di nascondere soltanto l'assenza di un progetto di fondo, di far tanto rumore per nulla. In effetti, non è tanto la disperata ricerca di un genere a cui ascrivere Ladybird a crearci delle difficoltà, piuttosto è la difficoltà a sostare presso una medesima impressione dal primo all'ultimo brano.
Come tipico dei lavori di Damiani, Ladybird è molto pensato e strutturato. I primi due brani, Habla del sur ed Era destino, sono composizioni in sintonia con l'estetica dell'Egea: melodia lieve e sinuosa, densa di mediterranea solarità, dove i vocalizzi di Diana Torto sembrano un canto senza parole, contrappuntato dal lirismo della tromba e del flicorno di
Fresu in Habla del sur, mentre in Era destino è la chitarra acustica di Bebo Ferra ad accompagnare la voce, con
Fresu libero di insinuare la dolce indolenza della sua tromba. Quasi due canzoni. Eppure, quando con L'amor messo da parte e Quello che non voglio dedicata a De Andrè, musica di
Damiani e testo di Benni, ci sono effettivamente tutti gli ingredienti per due canzoni, ecco che ascolti piuttosto due recitativi. La soavità dei brani predenti si complica, la composizione è più articolata, lasciando a tratti l'impressione che la musica si affatichi ad adeguarsi al testo: piuttosto che a canzoni, considerando anche la lunghezza dei pezzi, decise variazioni di ritmo e pause fanno pensare a delle suite. L'atmosfera malinconica e notturna di Tango lento, in quanto non rilassa l'attenzione e la riflessione che esigono i brani cantati, ne è un perfetto intermezzo. Con Cos'è che ti fa andar così e Argentiera, si ritorna a essere cullati dal fluido scorrere della melodia, tanto che per l'affinità d'ispirazione e di stile musicale, insieme ai due brani iniziali, potrebbero comporre una lunga suite di sapore mediterraneo.
Nonostante la perfetta orchestrazione di tutti gli strumenti e, in particolare, la felice scrittura delle parti per fiati, vera protagonista di Ladybird è la voce di Diana Torto che, ripetiamo, si lascia apprezzare soprattutto perché non indulge troppo in freddi virtuosismi vocali, ma il suo "canto" è sempre "dentro" la melodia dei vari brani. Soltanto nel pezzo che dà il titolo al cd la voce perde il primo piano, si nasconde fino a confondersi con gli altri strumenti e ne risulta comunque uno dei momenti migliori dell'intero lavoro ed, effettivamente, il più rappresentativo del talento compositivo e orchestrale di
Damiani.
L'ultimo brano, Nel mare sconfinato di un segreto, è probabilmente il più elaborato, affine pertanto ai due pezzi cantati. Un tema iniziale alquanto straniante si sfalda lentamente, liberando il talento solista dei fiati, con il sax di
Succi e il trombone di
Petrella che si divertono a "sporcare" il gusto melodico finora dominante. Inaspettatamente, Nel mare sconfinato di un segreto finisce in crescendo, il basso di
Damiani si avventura in una ritmica serrata che spinge ogni strumento a lasciare le placide sponde del "nostro" Mediterraneo per far rotta ancora più a Sud, lambendone le coste africane. La "versatilità" di cui scrive
Benni si riferirebbe a un gioco artistico conciliante e conciliato: basterebbero gli ultimi due minuti che concludono Ladybird per smarcarne gli inquieti progetti di
Damiani, che già aprono ad altre storie e nuove lontananze.
Dario Gentili per Jazzitalia