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«Legato alla melodia
collettiva e a certe versificazioni rupestri, "Farfalle" si pone quasi
come la lettura di un racconto sfogliato sotto gli alberi di un meriggio
primaverile. Disco quietamente misurato e quotidiano insomma. Prova ne
siano le attraenti allegorie di Birro in Barchesse o gli umori brillanti
di Perugia, composta da Gil Goldstein (ultimo braccio destro di Gil Evans),
fisrmonicista “montaliano” e in perfetta antitesi con l’introspettivo
tratto semantico di Tonolo, il quale s’aggroviglia fitto nel tango di
Panetelas o si disarma nel bell'epilogo di Arco».
Gianmichele Taormina |
Crederci o meno non è
obbligatorio e neppure così importante, nonostante la semantica si presenti con
regolarità nel discorso musicale, quasi fosse un suo valore aggiunto. La
semantica è un concetto filosofico che segue i tempi e i movimenti causati dal
cambiamento - evolutivo o involutivo, dinamico o immobile - della società in cui
viviamo. Per questo mentre alcuni credono che il suono sia un'entità chiusa in
sé stessa (una vecchia e asettica speranza di alcune avanguardie del Novecento),
altri considerano il descrittivismo come una fra le espressioni più pure
dell'astrattismo musicale.
Altri ancora sono dediti, invece, a quella "musique d'ameublement"
(oggi trasformatasi forse in new-age o ambient) che Satie avrebbe voluto imporre
al pubblico, anticipando i gusti della fine del XX secolo, spesso nascosto in un
suono anonimo e votato al sensazionalismo "in vitreo". Pietro Tonolo
penso sia uno fra i pochi jazzisti in grado di perpetuare una ricerca che sappia
ancora dare corpo e significato alle note. Un artista che si chiede, come faceva
Max Weber: "Che cos’è la musica?". Difficile rispondere, anche se
il suo essere descrittivo, accennatamente impressionista ma mai stravagante o
fuggevole, legato al lato figurativo ma non semplicemente "divulgativo" delle
note (capace di viverle, fotografandole) ci offre alcuni piccoli indizi su come
poter considerate questa produzione.
L'impianto formale del disco è fatto di concretezza e aleatorietà (non
consideriamo il termine musicalmente ma solo idealmente) dando il senso di una
completezza e di un rigore che, però, non vogliono essere del tutto rifiniti o
severi. In "Farfalla",
se di semantica vogliamo parlare, si immagina o l'immagine è un qualcosa di
diverso, proiettato in noi? Esiste emozionalmente, negli "svolazzi" dei sax e in
quella fisarmonica che Gil Goldstein governa con piglio puntillista, da
artigiano di un suono da sagra popolare vista dalla finestrella della propria
anima. Eppure non è così semplice: c'è un tango (Panetelas)
e temi che tradiscono un'etnicità (The
Phoenicians) colta con
vigore e con la necessità di dare il via ad un gioco "dispettoso" di richiami,
di passaggi dove l'improvvisazione è il naturale prolungamento della melodia.
Attraverso equilibri e timbrica il sassofonista indaga il suo mondo fatto
di tenere ambiguità, di canzoni senza parole (ma la linea del cantabile è
solida), di racconti senza pagine (basta la fantasia), di poesie fatte di
accenti e mescolanze liriche. Lo spazio è un concetto determinante - l'ennesimo
- perché induce a pensare ad una sorta di "marginalità", di inquietante
lontananza, di una ricerca irrequieta. Questi sette brani scivolano l'uno
nell'altro, le note che li compongono vivono di "spazialità", dei contrasti di
questa entità fortemente mediterranea che considera il tempo con saggezza, come
fanno gli assoli di Tonolo a volte "abbandonati" sull'interagire di piano,
fisarmonica e contrabbasso che variano, riprendono, si riappropriano della magia
dei temi. Pietro elabora, in tutti i suoi molteplici aspetti, la materia: lo fa
tradendo sempre un interesse particolare nei confronti dei conflitti
strutturali, delle chiose armoniche, delle sfumature. Il fascino del
contrappunto, la levità dei rapidi passaggi d'impronta quasi cameristica (in
Arco),
la pungente chiazzatura del tenore che fraseggia con un chiarore spregiudicato
rinunciando a qual si voglia esercizio di stile trasformano "Papillion"
in un piccolo capolavoro. E' una questione di piani sonori mutanti; di sintesi,
azione e trasformazione in un continuo divenire, dove il senso della misura e
della proporzione riveste un ruolo prioritario di "spinta".
Un lavoro, quindi, che non manifesta l’idea del folclore da bazar
sottocasa, che non appiccica il jazz alla tradizione, che non svolge un
compitino per compiacere. Un'opera, piuttosto, che utilizzando "processi di
conversione" (i dati di partenza servono per superare il convenzionalismo
sonoro) va alla deriva con coraggio, verso aperture dinamiche pronte ad
accogliere un nuovo concetto di modernità che non sia sola espressione di un
agire muscoloso e virtuosistico ma anche e soprattutto di interazione emozionale
e umana. Ecco perché Paolo Birro, al piano, e Pietro Ciancaglini
al contrabbasso, sono i conduttori di un ritmo di "spostamento" e non solo i
protagonisti di un semplice accompagnamento. .
Davide Ielmini - Giugno
2002
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Data pubblicazione: 16/11/2002
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