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John Taylor - Steve Swallow - Gabriele Mirabassi
New Old Age
1.
New Old Age (J. Taylor) 2.
Struzzi Cadenti (G. Mirabassi) 3. Vaguely Asian (S. Swallow) 4. Novalis (G. Mirabassi) 5. Q2 (J. Taylor) 6. Arise, Her Eyes (S. Swallow) 7. Evans Above (J. Taylor) 8. Hullo, Bolinas (S. Swallow) 9. Hotel Danubio (G. Mirabassi)
John Taylor - piano Steve Swallow - basso Gabriele Mirabassi - clarinetto
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Atmosfere rarefatte, un suono d'arpeggio…o forse di più! Sì, il clarinetto di Gabriele Mirabassi! Un suono sempre prezioso, il suo. Un po' in pentatonia,
un po' modale, a volte, e il primo pezzo, "New old age", che dà il nome all'album – distribuito dalla Egea Record – proietta subito l'immagine speculare di quanto il grande musicista perugino, insieme al pianista, John Taylor e al bassista Steve Swallow, vogliono raccontare: un'esperienza forte, creativa e fatta di ricerca e studio dei suoni. Melodie all'unisono, quasi contrappuntisitiche, che aprono la via ad una "riflessione" del clarinetto, "il clarinetto" forse più grande dell'Europa della musica jazz e contemporanea.
Gli intervalli scelti da Gabriele Mirabassi, nel primo brano – l'album è stato registrato presso l'oratorio di Santa Cecilia, a Perugia –, sono sempre lontani, sempre profondi…notturni! Ritmicità raffinata, che non va certo a detrimento dell'eleganza formale e dei piani di ricerca che, da sempre, contraddistinguono la vita musicale dell'artista perugino. In
New Old Age, il pianoforte di John Taylor fa da base e appoggio nei
turnaround, per poi ritornare a piccoli refrain all'unisono. L'ancia del clarinetto di Mirabassi ha qualche cosa di magico, di incredibilmente misterioso…ispirato: un suono che arriva da dentro, arriva dall'anima e il secondo brano, "Struzzi cadenti", si appoggia su una melodia quasi surreale e surrealistica. Il virtuosismo non manca certo, ma Gabriele non si perde mai: torna ai suoi intervalli pentatonici e lontani, quasi a trapassare l'anima di
chi ascolta, a spruzzarla di note fresche, ma al contempo fondate su un calore che – in termini di qualità di suono e di scelta di note – non trovano eguali. Il "solo" di
Taylor, che arriva dopo un lungo "discorso musicale" di Mirabassi, è denso, pregno di concatenazioni melodiche, solo in apparenza improvvisate. La scelta è troppo preziosa, per immaginare che tutto non possa essere frutto di una ricerca approfondita. Mirabassi, "step by step", torna su suoi passi, rientra e ripropone il suo suono denso di risuonatori e di verticalizzazioni, quasi cameristiche.
Steve Swallow firma "Vaguel Asian", il terzo brano. John Taylor, quasi prendendo
in prestito un "notturno" di classica memoria, lascia il suo piano nelle mani del silenzio…di un silenzio che rompe delicatamente con armonie che, vagamente, possono ricordare il Bill Evans prima maniera. Poi improvvisamente la mano destra si fa più rapida, più incisiva…quasi a dimenticarsi dell'armonia che - regolare – la sostiene. Nelle dita e nelle mani di
Mirabassi anche "Novalis", la sua Novalis…un lungo clarinetto solo, che accompagna nell'oblio chi l'ascolta: gli accenti sono marcati e improvvisi, tranciano con delicata crudeltà le linee lunghe delle melodie "mirabassiane". Qualche passaggio tonale…solo un attimo, per poi recuperare la fluidità di una magia sonora che, in
New Old Age, disegna un affresco spirituale e creativo che segnerà la storia del musicista perugino.
Dolce, delicata…"Arise, Her Eyes", non si sforza nemmeno di dissomigliare dal resto dell'album…no, la fisionomia è tracciata: emerge solo un po' un piano che reclama intercalate dinamiche e marcate. C'è un evidente omaggio a Bill Evans, Taylor lo ha scritto ed è "Evans Above",
Steve e Gabriele lo hanno "personificato". Il panismo si confonde tra le tracce di un clarinetto che domina la scena senza mai, però, invaderla in modo arrogante. Un "evansismo" riemerge quasi subito e
Taylor lo assapora e lo fa assaporare a chi lo ascolta. Riappare con forza il clarinetto di Mirabassi e il piano torna a riproporsi, come d'altro canto sapeva ben fare Bill Evans, come gregario…quando serviva nel "golden trio"!
"Hullo, Bolinas", penultimo brano di
New Old Age, è forse la composizione che più si discosta, almeno nella prima parte, dalla morfologia sonora dell'album. Pur sempre, però, un'opera riflessiva anche se con colori più tenui. "Hotel Danubio", scritta da
Mirabassi, è aperta ancora dal pianista di Manchester – il "maestro" di Colonia -, le sue note rilanciano, alternandosi, quelle del clarinetto che, incredibile a dirsi a volte assume delle sonorità che sconfinano nei registri "musette". Non sappiamo bene se i tre musicisti siano consapevoli di aver scritto un nuovo, importante, capitolo della storia della musica contemporanea.
Marcello Migliosi per Jazzitalia