Danza di una ninfa: viaggio nella poesia di Tenco
Marcello Migliosi per Jazzitalia
Era la notte di un freddo inverno, quella del 27 gennaio
1967. Un colpo di pistola
squarcia il silenzio e la camera 219 della dependance del Savoy si riempie di morte:
Luigi Tenco, genio incompreso, si toglie la vita. Tronca la sua breve, ma
intensa esistenza, non prima di aver lasciato un messaggio di protesta: "Io ho
voluto molto bene al pubblico italiano – scrisse quel figlio di contadino -
e gli ho dedicato, inutilmente, cinque anni della mia vita. Faccio questo, non
perché stanco della vita (tutt'altro), ma come atto di protesta contro un pubblico
che manda 'Io tu e le rose' in finale e ad una commissione che seleziona 'La rivoluzione'.
Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi". Che il suo gesto
abbia chiarito le idee a chi sta nella "stanza dei bottoni" al Festival di Sanremo,
non è certo assodato. Ma una cosa è certa, e Danza di una ninfa né è la conferma,
Luigi Tenco ha lasciato un messaggio di sé fortissimo. Indelebile!
L'album, in cui suonano anche Paul McCandless (sax, oboe, corno,
clarinetto e flauto),
Bebo Ferra
(chitarra), Luca Bulgarelli (contrabbasso), Michele Rabbia (batteria),
Piero Salvatori (violoncello) e gli "Arkè String Quartet", si apre
con "Mi sono innamorato di te"
su un'introduzione di sax soprano densa di significato lirico e strumentale. Una
mistura, riuscita, di sonorità contemporanee e di armonie – mai banali – che sostengono
la voce di
Ada Montellanico. Voce e piano, come nelle migliori tradizioni
jazzistiche, con qualche intervento del soprano di McCandless. L'arrangiamento
è raffinato, senza esasperazioni stilistiche. Anche nel solo
Pieranunzi
si "appoggia" con eleganza sulle soluzioni armoniche che sostengono anche il fraseggio
di sax che ne segue.
Da quando, diventa più
audace dal punto di vista musicale. Ma è "filologicamente" molto coerente con l'opera
di Tenco. E' il primo, dei quattro brani, mai incisi dal grande cantautore e alla
cui "musicazione" ha contribuito
Ada Montellanico.
Gli altri sono: Danza di una ninfa
sotto la luna, O me
e Mia cara amica. Ed
è proprio questo, il terzo brano dell'album, che si presta egregiamente ad un arrangiamento
molto jazzistico e se vogliamo, anche un po' trasgressivo, che nei soli riacquista
però una visibilità più tradizionale e magari anche più tonale. Le improvvisazioni,
compresa quella di
Enrico
Pieranunzi, sono particolarmente ritmiche.
Quasi sera rispetta
la "melancolia" di Luigi Tenco, ne rispetta la musicale poesia e gli arrangiamenti
sottostanno all'imperativo, supremo, di disegnare nella fantasia di chi ascolta
le ombre e le forme incerte, che scorrono davanti agli occhi al calar delle tenebre,
su una spiaggia, lungo il mare. Il pianoforte è incatenato alla voce della
Montellanico:
si tengono per mano, Ada ed Enrico!
Danza di una ninfa sotto la luna è davvero eterea! Una composizione che
si adagia sulle altrettanto eteree liriche di Tenco per ottenere un risultato raffinato,
colto. L'oboe assegna al brano un'atmosfera rarefatta, quasi impalpabile, sui cui
emerge un po' di chitarra, restituendo al brano tenui sonorità mediterranee. Di
certo il più bel brano dell'album.
Che cos'è? ha una dimensione
decisamente più jazz, è un medium dove la sezione ritmica, almeno fin tanto che
è di supporto alla voce, è in "due", poi un lanciatissimo "quattro", per i soli
di Pieranunzi
e McCandless.
Il lavoro realizzato per l'etichetta
Egea è un vero e proprio viaggio all'interno del mondo poetico e musicale
di Luigi Tenco. Anche Ho capito
che ti amo non si discosta. Molto "aperto" come dimensione ritmica –
quasi a voler rispettare un esercizio stilistico in cui il cantautore era maestro:
imbracciare la chitarra e "raccontare" la sua poesia con libertà di movimento ritmico
-, si sostiene su una intelaiatura armonica molto studiata e raffinata.
Il tempo passò ha un
nonsoché di classicheggiante, è un brano senza tempo, senza collocazione temporale.
Tenco lo scrisse con Reverberi raccontando di un'esistenza che par avere la sua
massima espressione musicale nel profondo solo di
Pieranunzi.
In qualche parte del mondo
porta proprio la firma dello stile degli anni Sessanta e non si discosta – anche
nella struttura armonica elaborata da
Pieranunzi
– dal modello espressivo di Luigi Tenco.
Ottima l'impalcatura dell'Arkè String Quartet in
In qualche parte del mondo,
che va a sostegno del brano, di certo, più elaborato e ambizioso del Cd.
O me ha espressioni
swing nella sezione ritmica che si incardinano nel piano, a volte un po' latino,
di Enrico
Pieranunzi. Il brano è un rincorrersi elegante di poesia e musica: eccellenti
le frasi all'unisono.
Ascoltando e riascoltando questo album ci si rende conto che mai binomio
– Pieranunzi
Montellanico
– fu più azzeccato per rileggere i brani del cantautore piemontese. Chissà
se Luigi Tenco, nella sua breve e intensa vita, avrebbe pensato e sperato tutto
questo.