Chi si accinge all'ascolto di questo album di
Hall
e Pieranunzi
deve anzitutto sapere che Duologues
è uno degli episodi di jazz più teorico e cerebrale degli ultimi tempi. Non un'autocelebrazione
ad uso e consumo delle schiere di adoratori dei due grandi musicisti, dunque, secondo
una tipica tendenza del jazz mainstream; ma al contrario un "laboratorio" di ricerca,
nel quale si entra con un progetto e dal quale si esce con un'idea mutata delle
forme espressive.
Una parte di questa ricerca riguarda senza dubbio il rapporto timbrico
fra i due strumenti, chitarra e pianoforte, messi sempre in tensione dialettica
(e non soltanto, come vuole il titolo del lavoro, dialogica): l'esito più eclatante
di questo procedimento tensivo è il brano "Careful",
in cui si esplorano tutte le possibili combinazioni delle parti, dall'unisono al
contrappunto. Per
Hall si tratta di riprendere un discorso avviato con Bill Evans
(nei fondamentali "Undercurrent" del 1962,
Blue Note, e "Intermodulation" del 1966,
Verve), e per
Pieranunzi
– che di Evans è profondo esegeta – di mettere alla prova del duo il suo straordinario
senso armonico.
Non mancano alcuni episodi marcatamente romantici e destinati a smussare
al momento giusto questo disco tanto acuminato: "Dreamlogue"
e "Something Tells Me"
consentono a ciascun solista di prendere spazio e respiro. Dall'intro di "Duologue
1", dominato da cesellature chitarristiche, sembrerebbe spettare a
Hall
la direzione musicale; nel corso dell'ascolto ci si accorge di una significativa
inversione. La duttilità di
Pieranunzi,
la sua capacità di trascorrere dalla densità melodica di alcune frasi alla tessitura
larga, "paesaggistica" verrebbe da dire, dell'accompagnamento, è forse la vera chiave
di questo impressionante, sperimentale lavoro discografico.
Luca Bandirali per Jazzitalia