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Intervista con Peter Bernstein
agosto 2013
di Marco Losavio
foto di Vincenzo Rizzo

Una lunga esperienza, un tocco riconoscibile, una persona sensibile: abbiamo incontrato il chitarrista newyorkese Peter Bernstein in occasione del suo concerto al Triggiano Jazz Festival accompagnato da Elio Coppola alla batteria, Giuseppe Venezia al contrabbasso e Attilio Troiano al sax.

Hai iniziato molto giovane a suonare il piano e poi sei passato alla chitarra, corretto?
sì, corretto

Cosa accadde? Come hai deciso di passare alla chitarra?
A scuola vidi alcuni bambini suonare la chitarra e mi sembrava bello, così volli soltanto provare. Ero molto piccolo e non mi piaceva il piano mentre la chitarra mi attraeva ma non ricordo il motivo, ne ero...attratto...



Qual è stata la tua prima chitarra?

Un'acustica, a scuola c'era l'assistente dell'insegnante di arte che era solita prendere la chitarra durante la lezione e suonare e questo mi ha indotto all'attenzione verso questo strumento. Lei poi si è anche proposta di darmi qualche lezione e mi disse che aveva una chitarra che avrebbe potuto vendermi; così acquistai questa chitarra acustica e lei mi insegnò i primi accordi.

E dopo questo inizio piuttosto casuale, la scelta della chitarra al posto del piano, sei poi arrivato a studiare con Kenny Barron, che è un pianista...
Sì, vero, ma è stato molto tempo dopo. Ho suonato a lungo folk, rock e blues. Mi piacevano Jimi Hendrix e B.B. King. Successivamente ho cominciato ad interessarmi al jazz ascoltando Django, Charlie Christian, Joe Pass, Wes Montgomery chiedendomi chi fossero scoprendo così il mondo del jazz. I miei genitori avevano qualche disco jazz ma la prima musica che mi è piaciuta è stato il ragtime, ed ecco perché volevo suonare il piano! Poi, quando ho ascoltato Monk mi ha ricordato il ragtime. Ero curioso del suo linguaggio e lo stesso potrei dire di Wes e Kenny Burrel quando suonavano blues, dato che non conoscevo altro. Mi chiedevo cosa fossero tutte quelle altre note! Erano un altro linguaggio che cercavo di capire quando avevo circa quindi anni...

Quando hai incontrato Jim Hall, che credo sia stato il tuo mentore?
L'ho incontrato quando ero a scuola: è stato nello stesso periodo in cui ho incontrato Kenny Barron. Ero nuovo al college e studiavo con Ted Dunbar, che è un eccellente insegnante, Larry Ridley e William Fielder. E poi anche Kenny Barron, che era un insegnante di musica d'insieme ma andavo a sentirlo suonare al Bradley's ogni volta che potevo. Un paio d'anni dopo ho incontrato Jim Hall. Insegnava alla New York School e con lui studiava il mio amico Larry Goldings che mi disse "dirò a Jim di te, devi tornare a New York". In quel periodo vivevo a Parigi con la mia famiglia quindi, quando Jim iniziò ad insegnare alla New School io ero fuori pertanto appena tornai lo incontrai e presi qualche lezione da lui; poi ho anche suonato con lui fuori dalla scuola e...sì, è stato proprio un mentore, come anche Ted Dunbar, Attila Zoller, Gene Bertoncini...Jim è stato un mentore anche solo nel guardarlo produrre quel suono, nell'essere quel che è: suonare con lui è stata la migliore esperienza, lui è la migliore sezione ritmica con cui io abbia mai suonato e mi sono sempre chiesto come si possa essere un accompagnatore così sensibile tanto da rendere il suono degli altri migliore di quel che realmente loro sappiano fare. Nella classe alla New School c'erano vari chitarristi e Jim era solito accompagnare ognuno, ed era talmente evidente di come era il suo accompagnamento che rendeva decisamente migliore il suono che avremmo potuto ottenere con chiunque altro. Kenny Barron era esattamente la stessa cosa sia nella musica d'insieme che durante le registrazioni. Sostituiva il pianista e all'improvviso il batterista era migliore, il bassista anche. Era capace di focalizzare tutti sulla musica e di fargli dare il meglio. Quindi, come giovane studente di jazz, dovevo solo imparare i brani e cercare di sintonizzarmi con questi grandi maestri, i quali riuscivano a elevare le persone intorno a loro, elevare la musica suonata. Percepivo netta la sensazione della tensione musicale, concentrazione, swing, qualsiasi cosa suonassero era fatta con la massima tensione pertanto era davvero importante esservi parte, straordinari musicisti e maestri.

Hai menzionato il suono e il tuo suono è molto riconoscibile tra tanti chitarristi. Esattamente come si riconoscono subito, dopo un paio di note, proprio Jim Hall, o Pat Metheny, John Scofield, così oggi si riconosce Peter Bernstein. Qual è il percorso interiore e anche tecnico che si deve fare per ottenere un proprio suono?
Non so dire se è una questione tecnica, cioè, io vedo me stesso come qualcuno che lavora su aspetti della propria personalità e che poi si riflettono nel suono rendendomi riconoscibile. Posso riconoscere i miei amici, se qualcuno mi chiama al telefono, riconosco la loro voce quindi...sì...come musicista cerchi di avere personalità, ma vuoi anche cercare di essere migliore e rendere la tua personalità più originale. Si può essere riconoscibili anche per gli aspetti negativi. Il tuo è un complimento davvero bello ma penso di essere ancora, e forse lo sarò sempre, in questo percorso. Non so se tecnicamente stia ancora lavorando perché mi concentro molto sullo strumento e su come esso sia parte del tuo corpo. Partecipare a vari concerti, confrontarmi continuamente con grandi musicisti, ad un certo punto il tuo strumento è lì ma è come se non te ne rendessi conto, è come se non lo sentissi più, non ci facessi più caso, esso scompare e pensi a te, alla tua persona che sta suonando. E questo è vero per qualsiasi strumento. Se vedi qualcuno suonare il vibrafono, lo strumento di fatto non c'è, c'è il musicista, la persona, l'artista che si esprime. Ed è ciò che io cerco di fare, suonando con persone che ritengo a quel livello. E mi ritengo davvero fortunato nel poter suonare con gente come Jim Hall, Jimmy Cobb, Lonnie Smith, per i quali lo strumento non esiste, è solo la personalità. Quando dici di riconoscere il suono non riconosci la chitarra, riconosci la persona e...sì, questa è la vera sfida. Io so di aver rubato tante cose a tanta gente e ancora oggi assorbo molte cose che ascolto e le rendo mie, diventano mie, è un linguaggio e poi dipende da come lo usi.

Cosa stai assorbendo in questo periodo?
Assorbo cose anche riascoltando di nuovo, oggi, con la consapevolezza di oggi, musicisti come Charlie Parker e Monk, Bud Powell, Art Tatum, Lester Young, Coltrane, Miles, ma ancora di più oggi ascolto Debussy, Ravel, Bach...Stevie Wonder, Otis Redding. Qualsiasi cosa che mi piace, che mi rende felice all'ascolto, si finisce con l'assimilarla.

Hai citato numerosi grandi musicisti tra cui Monk a cui hai dedicato un album...
Sì, ho suonato brani di Monk in quell'album solo per cercare di imparare realmente la sua musica e per avere un trio di chitarra, basso e batteria. Piuttosto che suonare alcuni standards, mi sono concentrato su un compositore e scegliere Monk, un pianista, traslandolo sulla chitarra, è stata come una sfida per me, dato che amo molto il modo di suonare di Monk e, ovviamente, il modo di suonare che hanno i fiati che lo accompagnano come Charlie Rouse, Sonny Rollins, Johnny Griffin, Coltrane, Coleman Hawkins, Tad Jones, Clark Terry, Miles. Quindi è stata una sfida per cercare di essere presente attraverso i brani di Monk, senza avere nessun altro che potesse esporre i temi. Lavoro ancora tutt'oggi a quei brani, a sei anni di distanza dall'album.

Hai suonato molto spesso anche con Brad Mehldau e il binomio piano – chitarra non sono semplici da essere integrati.
Come ho detto, ho sempre suonato molto alla New School con maestri come Jimmy Cobb, John Webber ed è lì che ho incontrato Brad che in quel periodo stava venendo fuori in modo preponderante, con una sua identità. Era molto giovane ed entrambi cercavamo di assorbire il linguaggio ritmico suonando con Jimmy Cobb. Adoro suonare con veri batteristi jazz, quindi abbiamo fatto molte gig insieme. Poi stavo componendo alcuni brani e li ho suonati con lui il quale, a sua volta, mi fece ascoltare alcuni suoi brani, tra l'altro per niente facili e così siamo diventati come vecchi amici cresciuti insieme: eravamo entrambi lì, suonavamo con molta gente ed è lì che poi Brad iniziò a suonare con Joshua Redman...

Hai cominciato a suonare con John Webber e Jimmy Cobb e con loro hai nel 2010 registrato uno dei tuoi migliori album, "Live at Small" …
E con Richard Wyands, grande pianista. Il proprietario dello Small, Spike Wilner, voleva fortemente Jimmy al club ma non era facile pertanto decidemmo di registrare un album e così è stato possibile per il club averlo.

In quale direzione pensi che la tua musica si stia evolvendo?
In questo momento voglio fare il maggior numero di concerti possibile. Se hai molte gig dove ritieni che possa suonare e possano darti qualcosa, allora puoi evolverti. Voglio anche continuare a suonare la mia musica e a comporne altra per registrare degli album e suonarle dal vivo aiuta a renderle più fluide, le impari sempre meglio. Sto ancora imparando Monk! E vorrei anche crescere sempre più come leader riuscendo a trasmettere sempre più me stesso, suonare in trio e avere anche una situazione con un sax in modo da rafforzare il suono e avere uno strumento con cui effettuare delle conversazioni. Quindi evolvere per me è incontrare altri musicisti e cercare di suonare in modo che il pubblico possa avvertire che sta ascoltando qualcosa di interessante, una conversazione musicale in cui ognuno dice qualcosa e l'altro risponde...e se sei con le persone giuste, non m'importa se si sta suonando un blues, "These foolish things", è importante solo che stai suonando, sei dentro la musica che si sta costruendo. E' così che avverto che mi sto evolvendo.

Se prendessi la tua chitarra adesso che brano suoneresti?
Non so…bella domanda….prenderei la chitarra e suonerei da solo, liberamente, magari senza suonare necessariamente un brano, oppure suonerei in solo "If there is someone lovelier than you", poichè la sto studiando in questo periodo, o "We'll be together again", "Crepuscule with Nelly" di Monk...cose mie, seguirei il flusso della mia mente. Adesso, ad esempio, siamo alla fine dell'estate pertanto penso anche a ciò che ho fatto. Se ho più cose nella mente, va bene, e alla fine dell'estate molte delle cose fatte tornano nella mia mente oppure, essendo l'autunno alle porte, penso a brani "stagionali", come "Autumn in New York", e ad altri brani sull'autunno, "Autumn Nocturne", quindi la stagione ti suggerisce anche cosa suonare...

C'è un progetto che vorresti realizzare?
Ho alcune mie composizioni che vorrei registrare e pensavo proprio di chiamare Brad, alcuni musicisti con cui potrei realizzarle subito. Ogni due o tre anni cerco quindi di fare un album pertanto il progetto che adesso vorrei realizzare è un mio album con brani miei.

Se non fossi un musicista, cos'altro pensi avresti fatto?
Ah..non so…bella domanda. Probabilmente qualcosa che potesse offrirmi la possibilità di essere d'aiuto per la gente. Non riesco ad immaginarmi agente di borsa o qualcuno che non è creativo e che pensa a fare solo soldi. Vorrei fare qualcosa per aiutare la gente in modo tangibile. Io amo la musica e sembra qualcosa di egoistico a meno che non cerchi di dare sempre qualcosa alla gente che ti ascolta. Però la musica non è importante per la gente, non come l'acqua pulita, il cibo, un luogo dove vivere, una casa, tutto ciò che afferisce alla sfera sanitaria, pertanto quando suono cerco di farlo sempre al meglio in modo che chi ascolta lo possa ritenere interessante, se ascoltano jazz per la prima volta ne devono rimanere interessati, suonare è qualcosa di sociale che ti consente l'esperimento di connetterti con gli altri come individuo ma bisogna anche cercare di ampliare il proprio ambito esattamente come Jim Hall, Kenny Barron che possono elevare le persone che sono intorno e non perché conoscono molti accordi, la musica, sanno suonare bene uno strumento, ma perché hanno generosità di spirito e chi è accanto a loro lo percepisce, lo assorbe. E dare alla gente è per me molto importante, quindi se non facessi il musicista vorrei fare qualcosa che da alla gente e ti gratifica...

Cosa vorresti cambiare nel mondo del jazz.
E' difficile ma…vorrei che I festival jazz invece di spendere 80mila euro per un gruppo spendessero i soldi per più gruppi diversi in modo da dare opportunità agli altri di essere ascoltati. A meno che il nome che si sta pagando 80mila euro fornisca credibilità al festival, il quale poi può anche avere finanziamenti che ne consentono la sua esistenza. Quindi, se hai Elton John al tuo jazz festival e questo ti consente di avere altri sponsor e consentire ad altri gruppi di suonare, allora può andar bene. Ma la situazione sta diventando davvero difficile in tutta Europa anche per i musicisti che sono al top i quali devono magari limitare le band. E quel che vorrei vedere è anche un aumento di musicisti giovani che suonano con i grandi poiché ciò che sta veramente mancando oggi è la possibilità di fare apprendistato. Nel mio caso, ad esempio, io sono stato fortunato a suonare da giovane con persone come Lou Donaldson, Lonnie Smith, Cobb, George Coleman...se non avessi avuto quelle opportunità non so cosa sarebbe oggi la mia musica. Loro mi hanno formato ognuno in modo differente ed è sempre stato così, tutti i grandi hanno sempre cercato di farlo…

E infatti basta pensare a Miles e a come tutti i musicisti che hanno suonato con lui sono oggi tra i migliori nei rispettivi strumenti…
Certo! Miles ha avuto molti giovani che erano già forti e lui è stato molto intelligente a trovare giovani forti. Lui ha tratto e loro hanno guadagnato una forte credibilità e possono avere gruppi loro come Chick, Herbie...se nella vita hai l'opportunità di suonare con Miles questa è una immensa cosa e lui è stato uno dei principali ma anche altri lo hanno sempre fatto come Betty Carter che ha avuto una band di giovani per vent'anni e fino a quando è venuta a mancare. Aveva giovani come Kenny Washington, Lewis Nash, Greg Hutchinson, Dwayne Burno...oggi non c'è nessun modo di suonare come in quelle occasioni. Ci sono molte scuole ma pochi anziani sulla scena che ti possano consentire di fare apprendistato.

Magari ci sono molti giovani musicisti oggi che stanno pensando di suonare con Peter Bernstein.
Ah…non lo so, ma se ci sono, devo quindi suonare con loro a trasmettere loro tutto quello che so, e i musicisti della mia generazione oggi sanno che non sono più i più giovani. Discutevo di questo con miei colleghi. Cedar Walton non c'è più e gli anziani stanno scomparendo, pertanto...sì...bisogna circondarsi di giovani ma continuare ad esserlo verso qualche anziano che ancora c'è...







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Data pubblicazione: 01/12/2013

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