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Quattro chiacchiere con…Giuseppe Venezia
agosto 2013
di Alceste Ayroldi


Emmet Cohen - piano
Giuseppe Venezia - contrabbasso
Elio Coppola - batteria

Contrabbassista di Bernalda, in provincia di Matera particolarmente attivo come musicista e organizzatore, ha da poco inciso – alla pari – con il giovane talento pianistico dello statunitense Emmet Cohen e l'eclettico batterista partenopeo Elio Coppola; "Infinity" è il titolo del lavoro che mette le mani nel più frizzante modern mainstream e dà luce alla perfetta intesa creatasi tra i tre musicisti.



Ciò che mi ha subito colpito nella tua biografia è questa frase: "impegnato in varie formazioni, affronta stili jazzistici diversi, dal dixieland all'hard bop, passando per lo swing, il manouche, il be bop ed il cool jazz". Ritieni che il jazz si esaurisca tutto qui?
Assolutamente no, il jazz non si esaurisce di certo con l'Hard Bop. Ci sono molte altre vie, molte altre strade che il jazz ha tracciato dopo l'hard bop, strade che percorro da poco o che non ho ancora percorso. Tra queste ce ne sono alcune che ritengo lontane dal mio modo di sentire la musica e che forse non percorrerò mai, altre invece le ho semplicemente messe momentaneamente da parte perché ho sempre creduto che ogni linguaggio ha bisogno di essere maturato e soprattutto che per conoscerlo ed esserne padroni bisogna avere precisa coscienza delle origini per poi andare oltre.

Comunque, come ti è venuto in mente di fare il musicista e per giunta il jazzista?
Credo che la "mente" con questo tipo di decisioni centri davvero poco, anzi forse se avessi seguito la ragione a quest'ora sarei altrove a fare tutt'altro. Purtroppo (o grazie a Dio) è una scelta che un musicista non fa: la subisce! Per quanto tu possa provare ad allontanarti e a cercare di fare altro, non puoi fare a meno di dare voce a quell'istinto quasi fisiologico che ti porta a pensare, parlare e quindi agire nella direzione della musica.

Ad ogni buon conto, almeno sembra, che sei particolarmente affezionato alla musica manouche: come mai? Cosa e chi ti ha spinto verso questa strada?
Quando ho ascoltato per la prima volta Django Reinhardt sono rimasto subito impressionato dalla liricità di questo stile. Quello che suonava Django mi sembra così logico, musicale, ritmicamente interessante. E' stato subito amore! Ho trascorso molto tempo a studiare quel repertorio e devo dire che è stata una delle esperienze più formative della mia vita. Innanzitutto perché mi ha permesso di imparare tantissimi standard jazz poi perché, dal punto di vista ritmico, ero "costretto" in una sorta di ordine che mi ha migliorato molto.

Un gran numero di musicisti con cui hai suonato: tra i tanti chi sceglieresti da mettere sul podio? E c'è qualcuno che ti ha colpito (nel bene o nel male) particolarmente?
Immaginare un podio mi sembra quasi impossibile perché sono davvero tanti i musicisti con i quali ho suonato e che amo profondamente dal punto di vista musicale. Molti di loro meriterebbero il gradino più alto! Mi viene in mente immediatamente Greg Hutchinson che, al di là delle prestigiose collaborazioni, è una persona fantastica ed un musicista eccezionale. Come anche Duffy Jackson, con cui ho fatto una delle esperienze musicali e di vita più belle fino ad oggi. Condividere il palco con lui è stato emozionante: è un musicista dotato di uno swing fuori dal comune e suonandoci insieme ho capito perché Count Basie lo avesse scelto come batterista della sua orchestra. Con Attilio Troiano ho condiviso la maggior parte delle esperienze musicali: Il primo disco di jazz ("Art Blakey & Jazz Messangers, Like Someone In Love"), Il mio primo concerto, il primo viaggio e la prima jam session a New York, insomma le esperienze degli ultimi quindici anni della mia vita musicale (e non solo), sono legate a lui.

C'è un musicista al quale, se ti chiamasse per suonare con lui, gli diresti seccamente "no, grazie!"?
Penso che dire "No grazie" significhi limitarsi molto. Ogni esperienza, ogni musicista ti lascia qualcosa. In alcuni casi sono proprio le collaborazioni con quelle persone con le quali non avrei mai pensato di suonare che mi hanno arricchito di più. Mi è successo di dire "No" perché non mi sentivo pertinente per "quel" contesto musicale, non per altri motivi.

Da qualche tempo, poi, ti sei messo a studiare e suonare anche musica classica. E' vero che da questa un musicista non può prescindere?
Da bambino prendevo lezioni di pianoforte e mi sono innamorato di questa musica. Ricordo che mia madre mi chiedeva di suonare per lei un Notturno di Chopin tutte le sere (Op. 9 n°2), era la "nostra canzone". Crescendo ho abbandonato il pianoforte, ma ho sempre continuato ad ascoltare musica classica. Qualche anno fa, spinto dalla voglia di approfondire la conoscenza del mio strumento ed affascinato dal repertorio classico per contrabbasso, mi sono iscritto al conservatorio. Tuttavia non credo che non si possa prescindere dalla musica classica, ma sono convinto che essa sia un importante arricchimento.

Giuseppe Venezia (photo by Daniele Cambria)Dopo "Let The Jazz Flow" arriva "Infinity" e, soprattutto, un nuovo trio: Emmet Cohen – Giuseppe Venezia – Elio Coppola. Come vi siete conosciuti e perché avete deciso di suonare insieme?
Ad ottobre scorso ero a New York per prendere parte all'Italian Jazz Days e una sera, dopo il concerto, siamo andati in un altro club solo per mangiare qualcosa. Infatti pensavo di aver scelto un locale dove non ci fosse musica: ero stanco ma soprattutto appagato dal mio concerto, avevo ancora le note di Mike Le Donne che risuonavano nella mia testa. In quel club c'era Emmet col suo trio: ci ha letteralmente folgorati! Durante la pausa tra primo e secondo set mi sono fatto avanti, mi sono presentato e abbiamo scambiato due chiacchiere. Alla fine del concerto Emmet ha invitato me ed Elio sul palco a suonare con lui, e Il giorno dopo a casa sua per suonare ancora. E' qui che nasce il nostro progetto e l'idea di registrare insieme. Fissiamo la data ma quel giorno, Il giorno della registrazione, New York è stata investita dall'uragano Sandy che ci ha costretti a restare tutti in casa, mandando a monte i nostri progetti. Nel Marzo del 2013, però, in occasione del nostro tour Italiano siamo riusciti finalmente a registrare "Infinity", prodotto dalla giovane etichetta partenopea Skidoo Records.

Un aggettivo a testa per i tuo compagni di viaggio, solo uno.
"Brillante", "sicuro", questi aggettivi calzano a pennello sia per Elio che per Emmet.

Tre brani sono di Cohen: tu come te la cavi con la composizione?
Non mi ritengo un compositore, ho un rapporto strano con i miei brani e raramente li ho suonati in pubblico, forse solo una volta. Spesso credo di aver partorito un tema che funziona ma poi mi capita di ascoltare un brano di Cole Porter e cambio idea. Magari nel prossimo disco ci saranno solo composizioni mie, ma per il momento non ho l'esigenza di scrivere a tutti i costi.

Una dedica a Napoli, immagino da parte di Coppola. Ma Cohen mi sembra che abbia ben somatizzato la melodia italiana. Ritieni che sia vero anche il contrario? Mi spiego: una ritmica italiana può somatizzare appieno il groove e lo swing americano?
"Nun è Peccato" è un brano bellissimo e credo che molti dei brani della tradizione musicale napoletana non abbiano nulla da invidiare agli standard jazz, sia dal punto di vista armonico che melodico. Emmet, dopo aver letto il tema per la prima volta, ci ha chiesto di tradurre il testo. Compreso il suo significato, ha smesso di suonare cominciando, da quel momento, solo ad "interpretarlo"…ogni giorno meglio. Nonostante in Italia siano presenti delle ottime ritmiche, pensando a quelle americane non si può non ammettere la presenza di un certo gap tra noi e loro, basti pensare a "P.Washington & K. Washington", "C.McBride & G. Hutchinson, o C.Allen", "L. Granadier & Jeff Ballard" (solo per citarne alcuni perché la lista delle super-ritmiche americane è davvero molto lunga).

A parte i brani di Cohen, come avete scelto il repertorio?
Ognuno di noi ci ha messo del proprio sia nella scelta dei brani che negli arrangiamenti. Della scaletta originale, scelta per la session di New York, è rimasta solo "Autumn Nocturne" uno standard di Gannon & Myrow. Tutti gli altri brani sono stati proposti da ognuno di noi durante il tour in Italia e alcuni di questi non erano mai stati suonati dal vivo. E' il caso di "Infinity", che dà il nome al disco, di "Nightingale", che è un adattamento di un Lieder tedesco, "Die Nachtigall", composto da Alban Berg, proposto da Emmet. Poi ci sono brani come "Nun è peccato" e "Blues Etude" che erano invece fissi in scaletta tutte le sere. Abbiamo registrato anche "Moonlight in Vermont" con un arrangiamento che prevede cambi di tempo e di tonalità, nato da una mia idea sviluppata poi insieme agli altri. Poi ci sono, "Hop skip and jump", un Up-Tempo scritto da Emmet in un pomeriggio napoletano, e "Simona" nato durante uno dei nostri concerti, davvero per gioco.

Giuseppe Venezia (photo by Alessandro Bocchino)Molti sostengono che il mainstream è defunto: cosa risponderesti ai detrattori?
Tutti i musicisti che hanno scritto le pagine del jazz moderno avevano a mio avviso una profonda conoscenza e rispetto della tradizione, conoscenza che gli ha permesso di maturare argomenti nuovi con i quali hanno lasciato il segno. Io personalmente sono molto grato ai grandi del passato, tanto da dedicare a loro il mio primo disco "Let the Jazz Flow", che è un chiarissimo tributo al mainstream, che non è morto assolutamente.

Emmet Cohen è giovanissimo, anche tu ed Elio, però qualche annetto in più lo avete, anche d'esperienza. Avete fatto da chioccia al pianista statunitense?
Non credo che io ed Elio abbiamo più esperienza di Emmet anzi, al contrario, se pensiamo al fatto che lui vive a New York, ha la possibilità di respirare un aria così densa di jazz, collaborando con gente come Christian McBride, Jimmy Heat, Lewis Nash, Jimmy Cobb, Dave Holland, Joshua Redman, questa differenza di età viene colmata ampiamente.

Quali difficoltà, se ve ne sono state, avete incontrato in fase di registrazione? Ci sono mai stati dissapori tra di voi?
Se escludiamo l'uragano Sandy che non ci ha permesso di registrare il disco a Brooklyn, tutto il resto è stato perfetto. "Infinity" è stato registrato negli studi Lab Sonic a Matera nella seconda settimana del tour, con molta calma. Tra noi è sempre andato tutto liscio, si è immediatamente stabilito un feeling nel trio. Abbiamo trascorso venti giorni fantastici spesi nella musica e non solo. Forse dovuto al fatto di aver condiviso la stessa casa, la stessa tavola, gli amici e anche le famiglie ci ha legato moltissimo e questo era palese durante i concerti, infatti ricordo che già dal primo molti commenti del pubblico erano rivolti all'intesa che c'era fra di noi. Suonare con loro mi fa stare bene.

Avresti voluto aggiungere o togliere qualcosa a "Infinity"?
Non toglierei assolutamente nulla. Ci sono dei brani che preferisco rispetto ad altri, ma anche quelli che erano all'inizio più lontani da me mi hanno introdotto a sonorità ed idee ritmiche differenti, sono molto contento e soddisfatto del nostro lavoro. I brani che avremmo voluto aggiungere saranno presenti nel prossimo disco del trio, per ora ci godiamo questo.

Secondo te questo album quale contributo ha dato al jazz?
Non mi sono mai posto questo problema perché credo fermamente che ognuno di noi dovrebbe dare voce a quello che sente e suonare quello che è, anche facendo ricerca. Forzare una ricerca per trovare a tutti i costi qualcosa di nuovo, invece, può essere davvero poco interessante e poco vero, soprattutto quando lo si fa a tavolino, a parer mio. Infinity è un disco che contiene sonorità diverse, basti pensare alle differenze che ci sono tra brani come "NIghtingale" e "Blues Etude" oppure tra "Simona" ed "Hop, Skip and Jump". Abbiamo guardato al presente, coscienti del passato.

Nel tuo bagaglio di collaborazioni ci sono, perlopiù, statunitensi. Pensi che il jazz abbia la sua residenza principale lì?
Credo che ci siano posti nel mondo dove puoi mangiare un'ottima pizza, ma la migliore rimane quella che trovi a Napoli!

Sei, con Attilio Troiano, il direttore artistico del Basilijazz, che giunge alla VI edizione. Come è iniziata questa avventura?
Il Basilijazz è un avventura cominciata nel 2008, è un progetto che nasce dalla voglia di portare a casa quell'aria meravigliosa che respiriamo quando siamo in giro a suonare negli altri jazz festival: un'atmosfera magica. Nel corso degli anni abbiamo ospitato musicisti del calibro di Scott Hamilton, John Allred, Greg Hutchinson e tanti altri. Dapprima l'idea era quella di organizzare semplicemente dei concerti e poi, col tempo, si è evoluta con l'aggiunta di incontri didattici con queste personalità, delle vere e proprie masterclass che danno la possibilità a tanti giovani di confrontarsi con musicisti di un livello superiore. Investiamo molto tempo e tante energie in questa nostra creatura e spero davvero che questo festival possa trasmettere l'amore per il jazz ad un pubblico sempre più vasto.

Quali sono le maggiori difficoltà organizzative che hai/avete incontrato?
Sembrerà scontato e banale ma i problemi più grandi riguardano la mancanza di fondi. Il Basilijazz, come tante altre realtà, non gode di sovvenzioni pubbliche, eccezion fatta per il Comune di Craco che ci supporta ormai da 4 anni e qualche altro piccolo contributo, che quest'anno è arrivato da altri comuni lucani che sono entrati nella programmazione del Basilijazz, parliamo comunque di contributi che coprono quasi solo il cachè dei musicisti, poi rimane tutta la parte pratica (biglietti, alloggi, service ecc ecc) che riusciamo a coprire grazie all'aiuto di privati che investono nel progetto con noi. E' davvero un' impresa che riusciamo a realizzare soprattutto grazie al fatto che essendo musicisti esiste un rapporto diretto con gli ospiti del festival, ma è una grande fatica!

Vuoi parlarci di questa nuova edizione appena conclusa?
Questa VI edizione è forse la più grande in termini di numero di date, con 14 eventi, più i probabili "fuori programma", che vanno da 7 giugno scorso al 31 agosto, toccando 7 differenti location in giro per la Basilicata. Quest'anno tra gli ospiti abbiamo avuto musicisti del calibro di Stochelo Rosenberg, Joy Garrison, Andy Farber, Stepko Gut, David Paquette, Emmet Cohen (presenteremo il disco anche al Basilijazz) e tanti altri.

Il tuo musicista preferito è… perché?
Naturalmente ci sono moltissimi musicisti che amo, tra questi ci sono Oscar Peterson, Bud Powell, Cannonball Adderley, Ben Webster, Paul Chambers, Brad Mehldau, Bill Evans, Christian McBride e altri diecimila... ma indubbiamente il mio favorito è Ray Brown, credo che lui abbia tracciato una linea guida importantissima nella storia della musica e del contrabbasso. Ancora oggi quando ascolto suoi album rimango sempre estasiato dal suo timing, dal suo suono grosso ma definito. Un gigante.

Cosa ti aspetti da questo disco? E quali sono i tuoi progetti futuri?
Quello che mi aspetto è di passare un bel po' di tempo con Emmet ed Elio portando in giro "Infinity" per l'Italia questa estate, poi ad ottobre lo presenteremo a New York e nuovamente in Italia a novembre. Sono sicuro che tutto quello che questo progetto porterà sarà buono, perchè nasce sotto una buona stella, la musica proposta è autentica come il nostro rapporto, quando siamo insieme c'è un feeling pazzesco. I progetti futuri sono tanti, uno è sicuramente quello di pubblicare il disco registrato nel 2012 con Attilio Troiano, Jason Lindner e Johnatan Blake.







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Data pubblicazione: 22/09/2013

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