Columbia\sony-Bmg si ringrazia Luciano Rebeggiani (Sony\BMG Italia)
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Miles Davis
Kind Of Blue
50th Anniversary De Luxe Edition
CD 1
1. So What (B)
2. Freddie Freeloader (B)
3. Blue In Green (B)
4. All Blues (C)
5. Flamenco Sketches (C)
6. Flamenco Sketches (alternate take) (C)
7. Freddie Freeloader – studio sequence 1 (B)
8. Freddie Freeloader – false start (B)
9. Freddie Freeloader – studio sequence 2 (B)
10. So What – studio sequence 1 (B)
11. So What – studio sequence 2 (B)
12. Blue In Green – studio sequence (B)
13. Flamenco Sketches – studio sequence 1 (C)
14. Flamenco Sketches – studio sequence 2 (C)
15. All Blues – studio sequence (C).
CD 2
1. On Green Dolphin Street (A)
2. Fran-Dance (A)
3. Stella By Starlight (A)
4. Love for Sale (A)
5. Fran-Dance (alternate take) (A)
6. So What (D) (precedentemente pubblicata in forma non autorizzata).
180-gram LP
(Side One)
1. So What (B)
2. Freddie Freeloader (B)
3. Blue In Green (B)
(Side Two)
4. All Blues (C)
5. Flamenco Sketches (C).
DVD
Celebrating A Masterpiece: Kind Of Blue documentary (55 mins);
"Robert Herridge Theatre: The Sound of Miles Davis" (26 mins);
photo gallery by Don Hunstein
MD –
Miles Davis (tromba)
CA – Julian ‘Cannonball' Adderley (sassofono
alto)
JC – John Coltrane (sassofono tenore)
WK – Wynton Kelly (piano)
BE – Bill Evans (piano)
PC – Paul Chambers (contrabbasso)
JCB – Jimmy Cobb (batteria)
GUIDA ALLE SESSIONS:
(A) – Session di lunedi, 26 maggio 1958: MD, CA, JC, BE, PC, JCB.
(B) – Session di lunedì, 2 marzo 1959: MD, CA, JC, WK (solo su Freddie Freeloader),
BE, PC, JCB.
(C) – Session of mercoledi, 22 Aprile 1959: MD, CA, JC, BE, PC, JCB.
(D) – Concerto di Sabato, 9 Aprile 1960: MD, CA, JC, WK, PC, JCB (at the
Kurhaus, Den Haag, Holland).
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di Vittorio Pio
Nel jazz "Kind Of Blue" è considerato
come una sorta di testo sacro su cui prestare giuramento: è quell'album che mette
tutti d'accordo, puristi o iconoclasti, che anzi ci tornano periodicamente a schieramenti
compatti al fine di scoprire sempre nuova magnificenza. In questi 50 anni di vita
ne sono apparse sul mercato almeno una dozzina di edizioni, fra originali in mono
e stereo, ristampe in vario formato e trattamenti ulteriori. Dalla morte di Davis
avvenuta nel 1991, ne sono state vendute in
tutto il mondo due milioni di copie, che si sommano agli altri tre raccolti in precedenza.
Adesso arriva l'ultima e speriamo definitiva versione, grazie a questo lussuoso
box che contiene poche sorprese e qualche riserva sulla confezione (non proprio
maneggevole al suo interno), pur rimanendo un must-have a tiratura limitata per
qualsiasi appassionato (o curioso) che si rispetti. C'è un doppio cd che allinea
in ordine cronologico l'intero svolgersi delle sedute in studio (una chiesa greco
ortodossa sconsacrata sulla 30th avenue a New York), effettuate giusto il 2 marzo
e il 22 aprile del 1959, con precedente work
in progress per un totale di oltre due ore, un sensualissimo vinile da 180 stampato
ovviamente in blu, un libro di eguale formato composto da sessanta fitte pagine
divise in saggi, riflessioni e note che ci riportano direttamente al fascinoso mood
di un epoca irripetibile per il jazz, come ribadito da alcune splendide fotografie
in bianco e nero che ne corredano la dotazione. Poi c'è un dvd che integra del materiale
apparso in precedenza con dei nuovi interventi di alcuni dei musicisti coinvolti
o ispirati, una riproduzione delle note di copertina nel manoscritto originale di
Bill Evans,
un set di foto singole e un poster di grande formato per i cultori i cui retaggi
adolescenziali, potrebbero indurre ad attaccare il loro beniamino sulla parete di
casa.
L'accesso ai nastri originali, i ricordi dei
protagonisti come lo stesso Evans ("Durante quelle registrazioni stavamo
bene, ma non avevo la minima idea –anzi credo che nessuno di noi l'avesse-che ciò
che stavamo facendo sarebbe sopravvissuto così a lungo") o
John Coltrane
("Quando gli sottoponevo un problema musicale, Miles si sedeva al piano e mi
dava le risposte suonando. Mi bastava guardarlo suonare per capire"), hanno
consentito di ricostruire meticolosamente la duttilità e la fresca spontaneità di
una musica mai ufficialmente eseguita se non quando i musicisti si ritrovarono in
studio: fu la cosiddetta rivoluzione modale, basata non più sugli accordi fondamentali
del tema-base, bensì su quelli posti direttamente sulla "scala" di ogni singola
nota, una tecnica già diffusa nella musica classica e nel blues, la grande radice
nera da cui il jazz indubbiamente deriva, aperta all'improvvisazione dei fantastici
solisti ospitati in studio, tutti coinvolti in un generale stato di grazia. Autentici
maestri, malgrado la paga sindacale che li retribuiva per soli 64,67 dollari al
giorno, con menzione di ulteriori lodi per il sax tenore di
John Coltrane,
che un paio d'anni dopo fece trionfare questa nuova concezione nell'altrettanto
imprescindibile "My Favourite Things".
Con
le spalle coperte dalla visione prospettica di
Bill Evans
(piano) e i solidi ritmi di Jimmy Cobb (batteria) che rimane fra quelli l'unico
musicista sopravvissuto e ancora in piena attività, Paul Chambers (contrabbasso),
Cannonball Adderley (alto sax) e Wynton Kelly che sostituì magistralmente
Evans in "Freddie Freeloader", l'ensemble
suona languido e sospeso come una pioggia primaverile, nel formidabile equilibrio
timbrico in cui il divino Miles vola alto a partire dal semplice tema melodico di
"So What", il cui classico schema in 32 battute(16-8-8),
venne trasformato modalmente nel corso del suo svolgimento, a partire dalla magnetica
introduzione per piano e contrabbasso. Davis si dimostrò non meno che regale nel
tono allusivo della sua sordina, capace di sfiorare la commozione nella morbida
melodia di "Blue in Green": sarà lì che Evans
e Coltrane metteranno a segno alcuni fra i più memorabili soli della storia
del jazz. Poi c'è l'ipnotica e misteriosa "Flamenco Sketches",
un'altra perla che riluce tra i solchi di un disco davvero impareggiabile, capace
di non attraversare mai un calo di tensione, grazie anche alla forza gentile di
Evans, unico bianco in formazione, il cui tocco limpido si rivelò decisivo
nel determinare le fortunatissima evoluzione del disco. ("Ho imparato moltissimo
da Bill- ribadì anni dopo con lapalissiana efficacia Davis -perché
suonava il piano esattamente come doveva essere fatto").
In questo box nel primo cd dopo i cinque brani del corpus originale registrato
nel 1959, ci sono una girandola di versioni
alternative e false partenze più o meno conosciute, che vanno dagli 11 secondi ai
due minuti per ognuno di essi che danno un idea precisa dell'empatico feeling che
legava tutti i protagonisti in studio. Nel secondo dischetto invece si torna indietro
di un anno con altri 5 brani che sono "On Green Dolphin
Street," "Fran-Dance" (anche questa
con alternate take), "Stella By Starlight,"
e "Love for Sale":
brani
che rappresentano le sole altre registrazioni di quel formidabile sestetto, oltre
a un paio di testimonianze dal vivo raccolte a Newport e al Plaza Hotel. La chicca
è rappresentata da una versione di ben 17 minuti di "So
What", in precedenza mai autorizzata alla diffusione ufficiale perché
incompleta, eseguita dal vivo in maniera molto più veloce e robusta rispetto a quella
presente nel disco, una vera delizia anche se in realtà era già conosciuta al vasto
popolo degli aficionados. Il vinile è fantastico di per se, nelle trasparenze blu
poi diventa quasi peccaminoso. Per ultimo il dvd che accanto al levigato documentario
(già pubblicato) di 25 minuti intitolato eloquentemente "Made In Heaven: The
Story Of", fitto di testimonianze fornite da musicisti attinenti o contigui
(si va da altri partners storici come Ron Carter,
Dave Liebman,
Horace Silver o
Herbie Hancock che dimostra al piano la bellezza intatta di quella musica,
al rapper Q-Tip che paragona il disco alla bibbia "E' un qualcosa che
comunque deve essere presente in casa", fino a
John Scofield,
Me-shell e l'onnisciente Santana), con i necessari sottotitoli in
italiano, aggiunge la più rara performance del gruppo al "Robert Herridge Theater",
andata in onda all'epoca per la Cbs in occasione del lancio del disco, più un'altra
preziosa galleria fotografica.
Le trascrizioni dettagliate di tutte le sessions sono state compilate
da Ashley Khan, autore dell'altrettanto fondamentale testo "Kind Of Blue,
New York 1959: nascita e fortuna del capolavoro di Miles Davis", tradotto
da Francesco Martinelli e
pubblicato in Italia da Il Saggiatore, con quello stesso certosino approccio.
Il libro però è aperto da due saggi di cui sono autori studiosi che su questa pregiata
materia hanno speso buona parta della loro vita: nel primo Francis Davis,
stimato columnist del Village Voice, afferma che a congiurare verso il capolavoro
contribuirono anche le febbrili quanto rapide sedute di registrazione: "Solo
due e in momenti ravvicinati". Con una tale decisione che tutti i brani tranne
"Flamenco Sketches", ebbero praticamente una sola take completa. E' impossibile
immaginare Davis, Coltrane, Evans e Adderley in eguale
armonia soltanto un anno o due più tardi, perché gli stessi si sarebbero trovati
non solo a capo di propri gruppi, ma fondatori anche di altrettante estetiche. Da
notare come "Kind Of Blue" fu il primo album del divino Miles, composto interamente
da brani accreditati solo a lui, nonostante la certa collaborazione di
Bill Evans
in almeno due episodi: per "Flamenco Sketches" (la cui intro derivava dal
magnifico "Peace Piece" del pianista, che a sua volta si era ispirato a "Some
Other Time", una gemma di Leonard Bernstein), e soprattutto per "Blue
In Green", per anni strenuamente accreditata al leader piuttosto che spartita
con Evans, il cui risentimento fu legittimo nel decidere (purtroppo) di allontanarsi
da quel brillante per quanto avido compagno musicale. Il secondo invece si chiama
proditoriamente "L'ultimo sovrano d'America: come Miles ha inventato la modernità"
esteso dal Professor Gerald Early della Washington University a St. Louis,
le cui consulenze sono state utilizzate in numerosi documentari afro-americani.
Qui viene rilanciata l'idea di concept-suite. "Grazie al formato LP, su cui questa
musica è stata cucita, "Kind Of Blue" non ha rappresentato certo una serie di brani
eseguiti da un organico ristretto, ma di certo uno dei pochissimi album di jazz
conosciuti fino a quel momento in cui è riscontrabile un evidente senso di narrazione
e di appartenenza univoca nello scorrere delle varie tracce. Un lavoro inteso come
corpo organico che ne evidenzia il formidabile appeal". Alcuni problemi nel
mixing finale erano stati già risolti durante il primo remastering del
1995, quindi dal punto di visto dinamico il
massimo risultato possibile era già stato raggiunto. Il tutto a mo' di apologia
su quello che da molti è stato definito come il disco perfetto, il cui fascino è
fluito fino a dilatarsi nel tempo e sul quale però sarebbe anche onesto porre un
definitivo sigillo.
Vittorio Pio per Jazzitalia
25/03/2010 | Hal McKusick si racconta. Il jazz degli anni '40-'50 visti da un protagonista forse non così noto, ma presente e determinante come pochi. "Pochi altosassofonisti viventi hanno vissuto e suonato tanto jazz quanto Hal Mckusick. Il suo primo impiego retribuito risale al 1939 all'età di 15 anni. Poi, a partire dal 1943, ha suonato in diverse tra le più interessanti orchestre dell'epoca: Les Brown, Woody Herman, Boyd Reaburn, Claude Thornill e Elliot Lawrence. Ha suonato praticamente con tutti i grandi jazzisti tra i quali Art Farmer, Al Cohn, Bill Evans, Eddie Costa, Paul Chambers, Connie Kay, Barry Galbraith e John Coltrane." (Marc Myers) |
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Data pubblicazione: 19/10/2008
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