John Coltrane
Resolution (Live), 1964
di Augusto Pallocca
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Il tenore fa irruzione nel silenzio
della sala, esplicito, nudo. Il suono esplosivo, eroico e sanguinante declama, non
tratteggia. La linea melodica è un richiamo selvaggio travestito da preghiera, ripetuto
tre volte: nella prima Jones e
Tyner
accentano all'unisono il sassofono, nelle altre due spingono il tema con maggiore
compattezza ritmica, sostenuti dal contrabbasso incalzante di Garrison. La
pressione prosegue incessante nelle sedici battute successive, lasciando libero
Trane di lanciare convulsamente l'ultimo tema prima del solo di
McCoy.
Nel primo chorus il piano detta le regole del gioco, cambia le carte in tavola,
innesta con audace ostinazione voicings dissonanti su un pattern ritmico
tensivo e ossessionante che la mano sinistra continuerà infaticabile a sostenere
per tutto il corso dell'improvvisazione. La mano destra fraseggia nervosa, in un
periodare frammentario e cronachistico, ammutolita non di rado dal marziale indugiare
di Tyner
su alcune strategiche note particolarmente gravi, che con prepotenza e autoritarietà
ribadiscono il centro tonale del pezzo. Massima l'empatia con la ritmica, che insieme
al piano si rende protagonista di una notevole escalation dinamica, viscerale e
primitiva, più esorcismo che contrizione meditativa.
Tyner,
Jones e Garrison suonano come un solo uomo nell'ultimo chorus, celebrando
orgiasticamente la magia mistica dell'unico Amore, la visione panteista e istintivamente
olistica del mondo, della fede, della musica. Arriva poi la voce possente di
Coltrane,
che solo nei primissimi secondi del suo intervento vagheggia una parafrasi del tema,
gettandosi subito dopo in un intricato dirupo di frasi vorticose e onomatopeiche,
in una giungla buia di urli singhiozzanti e disperati. La corsa nel tunnel, resa
ansiotica da
Tyner e cruenta dallo straordinario ed esplosivo drumming di Jones,
trova la luce solamente a pochi secondi dalla fine dell'improvvisazione, quando
un Trane libero dalle tenebre può tuffarsi a suon di pentatonica nelle acque
limpide di un tema che ora suona come un battesimo, una resurrezione, un inno alla
nuova vita.
Una lezione di teologia, "Resolution",
un documento straordinario che ci parla in maniera inconsueta di fede. Una fede
così avulsa dalla vita comune nella sua concezione occidentale, così lontana dalla
quotidianità e così diffidente delle emozioni, nemica del sangue e del sudore, di
un corpo che fa parte dell'uomo tanto quanto lo spirito. Una fede ultraterrena così
vicina ai sentimenti terreni, quella di "Resolution", così difficile da conquistare
tanto da diventare lotta violenta con se stessi, ma anche così intensa e coinvolgente
da essere sentita più dallo stomaco che dalla testa, come quando ci si innamora.
La fede è finalmente un atto d'amore, la religione assume una connotazione carnale.
"Sacro e profano", si direbbe comunemente, e invece è estasi mistica totalmente
coerente col divino, rapimento che coinvolge per intero i sensi rendendo la ragione
accessoria, la mente sgombra da sovrastrutture dottrinali. In questa ottica non
c'è più soluzione di continuità tra la spiritualità e l'espressione musicale, strumento
catartico che allo stesso tempo converte e celebra la conversione. La musica, priva
di intellettualismi, viene vissuta in maniera istintiva, consapevole dell'unicità
del momento dell'esecuzione. E' l'istante in cui tutto il mondo sembra convergere
magicamente in un non luogo, un'utopia dove non si distingue più l'identità di uomini,suoni
e sentimenti, in cui saltano i dualismi tra cuore e ragione, ritmo e armonia, uomo
e Dio.
25/03/2010 | Hal McKusick si racconta. Il jazz degli anni '40-'50 visti da un protagonista forse non così noto, ma presente e determinante come pochi. "Pochi altosassofonisti viventi hanno vissuto e suonato tanto jazz quanto Hal Mckusick. Il suo primo impiego retribuito risale al 1939 all'età di 15 anni. Poi, a partire dal 1943, ha suonato in diverse tra le più interessanti orchestre dell'epoca: Les Brown, Woody Herman, Boyd Reaburn, Claude Thornill e Elliot Lawrence. Ha suonato praticamente con tutti i grandi jazzisti tra i quali Art Farmer, Al Cohn, Bill Evans, Eddie Costa, Paul Chambers, Connie Kay, Barry Galbraith e John Coltrane." (Marc Myers) |
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Data pubblicazione: 04/05/2008
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