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Sergio Pasquandrea
Volevo essere Bill Evans. Storie di
Jazz
Fara editore, 2014
Pagine 75 – euro 11
Roba da appassionati, anzi: roba per far appassionare. E per
far appassionare bisogna essere appassionati. Lo scioglilingua testé coniato sintetizza
l'agile lavoro di Sergio Pasquandrea (valente giornalista e firma di punta
del bimestrale Jazzit) che, a dispetto dal sottotitolo, non è una raccolta di aneddotica
di jazzisti da manuale, di quelle che – in fotocopia o quasi – si spalmano nelle
varie storie del jazz, tracciando figure icastiche di questo o quel musicista.
Lo spirito è altro. Innanzitutto trae spunto da quanto lo stesso autore ha pubblicato
sui blog La poesia e lo spirito e Jazz nel pomeriggio, rivisti e manipolati
da Pasquandrea che intinge la sua mordace penna in venticinque anni di passione
jazzistica; poi nasce perché vince la IV edizione del concorso Faraexcelsior sezione
romanzi brevi.
Non è un romanzo, ma una serie di pillole di vita jazzistica: vissuta in prima persona
dal Pasquandrea pianista nelle jam perugine e nei concerti vissuti: memorabile quello
del quintetto Benny Golson e Curtis Fuller, dalla cui descrizione grondano le note.
Poi, acquerelli impressionistici, pezzi di musica, di jazz che si è affacciato nella
vita dell'Autore:
Michel
Petrucciani,
Louis Armstrong,
Nina Simone,
Thelonious Monk,
Chet Baker, Billie Holiday, a colpi di pennello intinto nel rosso fuoco
di chi ha sincera passione. Ci sono dei riquadri che stimolano l'approfondimento,
come la sessualità mortificata di Billy Tipton o il colpo di "genio" di Ray Charles.
Scelte fatte da Pasquandrea: la sua personale selezione guidata dall'assenza di
una rotta. Libera, come è l'improvvisazione jazzistica. Pasquandrea è l'anfitrione
jazz un po' goliarda, di libero pensiero, che si preoccupa delle emozioni e non
della tassonomia a tutti i costi (di quelle che fanno scappare i giovani a gambe
levate). E questo è un valore aggiunto.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
04/05/2008 | 1 marzo 1984: ricordo di Chet Baker al Naima Club di Forlì: "La sua voce sottile, delicata, sofferta, a volte infantile, mi è rimasta dentro il cuore per molto tempo, così come mi si sono rimaste impresse nella memoria le rughe del suo viso, profonde ed antiche, come se solcate da fiumi impetuosi di dolore, ma che nello stesso tempo mi sembravano rifugi, anse, porti, dove la sua anima poteva trovare pace e tranquillità. La pace del genio, la pace del mito, al riparo delle tragedie che incombevano sulla sua vita." (Michele Minisci) |
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Data pubblicazione: 01/02/2015
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