Chet Baker, un Mito del Jazz, al Naima
Club
Forlì - 1 marzo 1984
di Michele Minisci
Dirart Naima club
http://www.naimaclub.it
http://www.chet-baker.it
Nonostante le brutte vicissitudini in cui incappò, anche nel periodo italiano,
la fama di Chet, "musicista maledetto", bello e dannato, il James Dean della musica
jazz, perdurava ancora con forza, e le sue performances alternavano momenti di grande
intensità e lirismo ad altri di mediocre rendimento. Ma in ogni modo sempre da vedere,
da sentire.
Per noi era la prova del fuoco: un mito della
musica jazz,
Chet Baker stava per venire a suonare nel nostro club. L'attesa fu
veramente spasmodica e l'emozione mi attanagliava le viscere.
La sera del concerto, la band di Chet era già al Ciaika, il flautista
Nicola Stilo,
il contrabbassista Riccardo Del Fra, il pianista Michel Grailler,
avevano fatto già il sound check con Romano Lombardi al service, e al seguito
il giovane figlio Renato, allora appena diciottenne, ai suoi primi smanettamenti
sulle manopole rosse e nere del mixer luci, sotto l'occhio sempre attento e burbero
di suo padre.
Li avevamo accompagnati al ristorante vicino, il Baiocco, per la cena.
Chet non aveva bisogno di provare. Ed ora non rimaneva che aspettare la gente ed
andare a prendere Chet all'Hotel Masini, nel centro di Forlì.
Alle ore 21,30, con il sudore che mi scendeva per tutta la schiena, lo
stomaco rattrappito e le budella sottosopra, l'ansia che mi impediva di respirare
regolarmente, perché non sapevo se la gente sarebbe venuta in massa, almeno per
coprire le spese, era la nostra prova del fuoco, mi misi in macchina per andare
a prendere Chet in albergo.
Stati d'animo, sensazioni ed emozioni che mi avrebbero poi accompagnato
per tutti i concerti che ho organizzato, da allora ad oggi.
Arrivato in albergo, colpo apoplettico: il portiere mi assicura che "il
signor Baker è appena uscito". All'ansia si accumula altra ansia, momento drammatico,
spasmodico. Mi precipito fuori, guardo a destra ed a sinistra, con l'angoscia che
mi si spande sempre più nel petto e mi prende la gola, ma non vedo nessuno con una
custodia nera per tromba sotto l'ascella, un giubbottino grigio sulle spalle ricurve,
jeans scoloriti, il passo incerto e ciondolante.
La paura mi attanaglia le gambe, la paura di averlo perso, infilato in
chissà quale bar a bere un altro cicchetto, la paura di non ritrovarlo in tempo
per il concerto, con tutte le conseguenze del caso. Il mio angelo custode, però,
forse l'angelo di tutti i jazzisti, mi dice che devo andare a destra, verso il fondo
di Corso Garibaldi.
Mi incammino frettolosamente facendo capolino dentro tutti i bar del corso
e…finalmente lo vedo: è seduto nel bar di piazza Melozzo che sorseggia un Trebbiano,
seduto con l'astuccio della tromba tra le gambe, lo sguardo fisso sul bicchiere,
come se aspettasse qualcuno, o dovesse far passare il tempo.
Mi viene voglia di piangere, per un po' mi si annebbia la vista e poi,
dopo due o tre forti sospiri, mi avvicino con fare goffo ed impacciato e dico a
Chet, col mio inglese approssimativo che sono il "promoter" del Naima club
e che ci aspettano per il concerto.
Il resto è storia. Storia della musica in questa città, anche se non è
stato un concerto "storico". Chet stava certamente bene, stava attraversando un
buon momento, ma il suo momento magico era però passato.
Aveva lasciato al piano di Michel Grailler le prime battute del
pezzo e poi era subito entrato lui, in maniera soffusa, quasi con noncuranza, come
stesse continuando un discorso musicale interrotto qualche tempo prima, per riannodare
qualche filo rimasto sospeso, aggrovigliato.
Era come se niente fosse successo in questi suoi ultimi, travagliati,
anni, tra successi travolgenti, amori disperati, l'eroina, i problemi con gli spacciatori,
il carcere. Niente. Tutto dietro le spalle, in quel momento soffiava dentro la sua
tromba solo il respiro della sua anima, non gliene fregava niente di sapere che,
nonostante tutto, esercitava ancora sul pubblico un fascino quasi morboso non solo
per la sua storia musicale ma anche per la sua "vita spericolata", esisteva solo
lui e la sua tromba.
E mentre le note di un'eccellente "Petit Fleur",
di Sidney Bechet, sfumavano dolcemente tra gli applausi scroscianti del pubblico
del Ciaika, ecco che Chettie, così lo chiamava spesso sua madre, Vera, inizia
a cantare, senza alcun accompagnamento, la mitica "Blue
Moom", pezzo per sola voce, che raramente proponeva nei suoi ultimi concerti.
Un momento veramente magico.
Poi aveva concesso molto spazio ai suoi compagni, anche troppo, forse
per riposare, riprendere fiato perché si vedeva che si stancava presto. Ma non appena
rientrava nel pezzo, ti sembrava di sentirlo suonare come avesse ancora accanto
Gerry Mulligan o
Stan Getz, e di rivederlo sui palchi di tutto il mondo, osannato come
il miglior rappresentante di quella "lost generation" che aveva tracciato negli
anni cinquanta un nuovo corso musicale nella storia del jazz.
Chet aveva suonato per tutto il tempo seduto su una sedia, con le gambe
a cavalcioni, con quegli stivaloni da cow boy che ogni tanto mandavano un luccichio
strano, per alcune borchie argentate incollate sui lati, e quella sera aveva cantato
più del solito, cinque brani, invece delle solite tre canzoni d'ogni suo concerto,
con una memorabile "My Funny Valentine", verso
la fine, forse per farsi perdonare della paura e della sofferenza che mi aveva inflitto.
La sua voce sottile, delicata, sofferta, a volte infantile, mi è rimasta
dentro il cuore per molto tempo, così come mi si sono rimaste impresse nella memoria
le rughe del suo viso, profonde ed antiche, come se solcate da fiumi impetuosi di
dolore, ma che nello stesso tempo mi sembravano rifugi, anse, porti, dove la sua
anima poteva trovare pace e tranquillità. La pace del genio, la pace del mito, al
riparo delle tragedie che incombevano sulla sua vita.
Dopo qualche anno Chet sarebbe "volato" dal quarto piano di un albergo
di Amsterdam, forse spintonato da un corriere della droga, mai pagato, mettendo
fine alla sua vita e spezzando un pezzetto della nostra.
Era il 13 maggio del 1988.
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Data pubblicazione: 04/05/2008
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