New Conversations – Vicenza Jazz 2008
Le Architetture del jazz
di Giovanni Greto
7 maggio 2008 Vicenza – Teatro Comunale
Copland – Osby - Hebert - Stewart Quartet
Marc Copland - pianoforte
Greg Osby - sax alto
John Hebert - contrabbasso
Bill Stewart - batteria
Stacey Kent Quintet
Stacey Kent - voce
Jim Tomlinson - sax tenore e soprano
Graham Harvey - piano
David Chamberlein - contrabbasso
Matthew Skelton - batteria
La XIII^ edizione delle ‘New Conversations – Vicenza Jazz" ha avuto come
sottotitolo "Le Architetture del jazz", in onore del quinto centenario della nascita
del celebre architetto veneto Andrea Palladio. I concerti di maggior richiamo
– tranne quelli del 5 maggio – si sono tenuti tutti nella nuova sede del teatro
Comunale, dotato di due auditorium, uno grande e uno piccolo. Tralasciando il giudizio
estetico su una costruzione moderna, che non potrà mai competere con le architetture
storiche, dal punto di vista acustico la sala grande, a nostro avviso, necessiterà
senza dubbio di ritocchi. Ma passiamo alla musica.
Il quartetto nasce dalla collaborazione in duo
tra il pianista e il sassofonista che, di fatto, si collocano su una posizione di
leaders, anche se la scaletta propone due brani di Copland, uno a testa degli
altri tre ed uno di Charlie Parker. Il concerto comprende un'ora esatta di
buona musica, con pregevoli saliscendi dinamici, merito di musicisti attentissimi
al reciproco lavoro. Si alternano momenti morbidi, improvvisazioni ben congegnate
e scambievoli rilanci per i numerosi solo. Tra questi segnaliamo quelli di Osby,
molto fluidi, che hanno in sé irruenza e delicatezza, forza e leggerezza, pervase
da una malinconia di fondo. Convince la scrittura di Copland, sia in "Round
she goes", un pezzo dedicato alla moglie, ritmicamente sostenuto, che
in "The sound at the zenit", introdotto da un
languido ed oscuro pianoforte, su cui poi si inseriscono le frasi melodiche del
sax, le scansioni profonde del contrabbasso e le coloriture della batteria, con
il suono cristallino dei piatti, la scelta, frequente, di togliere la cordiera dal
rullante, che però, qua e là, si insinua tra i vari strumenti con brevi, ma efficaci
press- rolls. Aggressivo "Cyrille", di Osby,
in cui giocano un ruolo di punta il sassofonista e il batterista, che si rincorrono
e si rilanciano assecondati pacamente da piano e contrabbasso. Molto bello il bis
parkeriano, "Air conditioning", un 4/4 frequentemente
scomposto, in cui Bill Stewart dimostra classe e fantasia. Sopra un assolo
del piano entra il sassofono e comincia il bello: Stewart insiste sempre
più sull'accentazione, sui controtempi; Copland si limita ad accenni,
Herbert accompagna in punta di piedi. Il brano cresce e dopo un delicato, lungo
solo di contrabbasso, la tensione covata sfocia in una serie di gustosissimi breaks
di Stewart che si scatena in diversissime figurazioni, coadiuvato da sax
e pianoforte, che si limitano ad assecondare e a stimolare l'estro. Convince soprattutto
un break costruito sull'incastro di hi-hat e piatti sospesi. Un buon concerto, che
ci ha caricato e ci avrebbe trasmesso la voglia di salire sul palco.
Dopo una lunga pausa, dovuta anche agli spostamenti tecnici degli strumenti,
è la volta della cantante americana Stacey Kent, affermatasi in Inghilterra
dove si era trasferita 16 anni fa per studi oxfordiani di letterature comparate,
tra le quali quella italiana. Studi che le hanno lasciato una discreta padronanza
e un amore confessato pubblicamente durante il concerto per la nostra lingua, non
sappiamo se reale o allo scopo di accattivarsi un pubblico alquanto generoso. La
scaletta comprendeva 12 pezzi risoltisi in 70 minuti e legati l'uno all'altro dalla
conversazione "salottiera" della Kent, la quale riusciva, con l'aiuto
dei presenti ad esprimersi, seppur con fatica, in italiano. La sua voce non ci trasmette
particolari emozioni. La sezione ritmica, molto giovane, svolge un lavoro onesto.
Il sassofonista si inserisce con assoli caldi al tenore e più acuti al soprano,
alla fine delle esposizioni della Kent, con la quale condivide anche una
relazione matrimoniale. Un concerto, per chi scrive, senza infamia né lode. Aggiungiamo
solo, per dovere di cronaca, che oltre ai numerosi standards, il quintetto ha eseguito
composizioni originali di Tomlinson su testi dello scrittore nippo-britannico
Kazuo Ishiguro, "Ces petits riens" di
Serge Gainsbourg e "Aguas de Março",
in versione inglese, uno dei molti successi plurinterpretati di Antonio Carlos
Jobim.
8 maggio 2008 Vicenza – Teatro Comunale
Keith.B.Brown
Keith B.Brown - chitarra acustica e voce
Ariel - pianoforte
Jean Claude Jones - contrabbasso
Ralph Alessi & This Against That
Ralph Alessi - tromba
Ravi Coltrane - sax tenore
Andy Milne - piano
Drew Gress - contrabbasso
Mark Ferber - batteria
La serata si apre con un breve fuoriprogramma. Forse per attirare il pubblico
il giorno successivo a Palazzo Barbarani Da Porto, per assistere ad una performance
multimediale con le foto di Pino Ninfa, Keith B.Brown si esibisce
in 3 brani alla chitarra e alla voce. Il cantante e chitarrista di colore, originario
di Memphis in Tennessee, propone un omaggio alla figura letteraria di Big Bill
Broonzy (Scott, Mississippi 1893- Chicago 1958).
Di Brown, ricordiamo la prova cinematografica, apprezzata da pubblico
e critica in "The soul of a man" di Wim Wenders, che faceva parte
del progetto sul blues di Martin Scorsese. Il primo dei due concerti in cartellone
vede l'esibizione del giovanissimo pianista
Ariel, nato a
Gerusalemme il 10 ottobre del 1997, accompagnato
dal suo insegnante di musica jazz, il contrabbassista tunisino Jean Claude Jones.
Il direttore artistico del festival, Riccardo Brazzale, ha deciso di invitarlo
rimanendo colpito nel vedere su "You
tube" il video di un bambino suonare con estrema disinvoltura un brano
insidioso come Giant Steps di
John Coltrane.
Durante il concerto Ariel
saluta in un buon italiano e descrive in perfetto inglese brano dopo brano, apparentemente
senza nessuna emozione e presentando, da vero leader, il suo partner. Il concerto
propone brani in duo, alternati ad altri di piano solo. Se si ascolta e si guarda
allo stesso tempo, può prevalere a volte la tenerezza e lo stupore per le capacità
tecniche di un bambino. Ma se si chiudono gli occhi si capisce che non c'è alcuna
differenza con un pianista maturo. Padronanza ritmica, gradevolezza melodica, capacità
improvvisativa e soprattutto di scrittura. Eh sì, perché tra i 14 brani in scaletta
ci sono anche pregevoli composizioni originali come "Lost&Found",
in cui Ariel
ad un certo punto alza le dita dalla tastiera per percuotere lo strumento con le
nocche delle mani, o trascrizioni di pezzi antichi dal IX^ al XV^ secolo come "Angels
in Paradise", un titolo che
Ariel muta in
"Angels in Hell", "Luto
carens", del periodo delle crociate, eseguito jazzisticamente, "Gloria
laus", "Puer natus est", una canzone
natalizia. Tra gli standards oltre a "Giant Steps",
Ariel propone
"Caravan" di Ellington, "Eleanor
Rigby" di Lennon - McCartney e conclude il set con una dolcissima
versione di "Vecchio Frack", storica canzone
composta dal nostro Domenico Modugno. Applausi e ripresa del concerto con
interviste a pubblico e critici, effettuata da una troupe della BBC. Da parte nostra,
un augurio di mantenere freschezza e genuinità, difendendosi dalle insidie dello
show business.
Cambiano le formazioni – osservando un disco del
2002 dei musicisti di allora rimane il solo Drew Gress – ma
l'impatto fresco e coinvolgente con la musica di Alessi e dei suoi "This
Against That" non viene meno. Il quintetto visto a Vicenza esegue 8 composizioni
del leader, dotato di un suono brillante, di una liricità di fondo, di una apprezzabile
tecnica improvvisativa e bravo nel saper scegliere i propri partner. Questa volta
al sax tenore c'è Ravi Coltrane, 43enne secondogenito di Alice e John. Timbricamente
somigliante al padre, Ravi ci ha convinto di più rispetto al gruppo a suo nome visto
a Cormòns lo scorso autunno. Ottimo come sempre il contrabbassista Drew Gress
e attentissimi ed efficaci i due musicisti più giovani, il pianista Andy Mine
e il batterista Mark Ferber. Costui adotta un funky morbido ed esegue dei
pregevoli assolo, non fracassoni, sempre attento alle dinamiche e pronto a sfumare
per l'inserimento graduale dei fiati ad eseguire il tema finale. Nella musica di
Alessi convivono la ricerca della novità - che ricorda a volte quella del
Miles Davis della svolta elettrica - un buon rapporto col bop, reinterpretato
nel linguaggio dell'avanguardia e una buona conclusione di ogni brano, a volte anche
in up tempo.
9 maggio 2008 Vicenza – Teatro Comunale
Rava - Catherine - DelFra - Romano
Enrico Rava
- tromba
Philip Catherine - chitarra
Riccardo Del Fra - contrabbasso
Aldo Romano - batteria
Larry Coryell Trio
Larry Coryell - chitarre
Jeff Berlin - basso elettrico
Paul Wertico - batteria
Tracey Piergross - voce
La penultima serata del festival ha luogo nell'auditorium più capiente
del teatro, in previsione di una maggiore affluenza di pubblico. L'acustica, come
già detto, non è delle migliori. Alcuni strumenti si sentono di più, altri di meno.
Il suono dei tamburi della batteria nei settori superiori rimbalza da una parete
all'altra. La serata si apre con il quartetto italo-franco-belga, i cui componenti
hanno tutti collaborato con lui, sia pure in periodi diversi, per commemorare
Chet Baker
a quasi 20 anni esatti – era il 13 maggio 1988
– dalla morte in circostanze tragiche e ancora misteriose in un albergo di Amsterdam.
Il breve set – solo 50 minuti – propone 7 brani che
Baker
spesso suonava, reinterpretati poeticamente dalla tromba di
Rava,
sempre assai lirico, squillante nelle note acutissime e capace di assolo ad ampio
respiro. In buona forma è apparso Catherine, molto swingante alla chitarra
semiacustica, nel solco della tradizione di Django Reinhardt e capace di
un toccante assolo nell'iniziale "All of you".
Sicuro, anche se il suo suono è apparso un po' soffocato da quello degli altri strumenti,
supponiamo per i succitati problemi acustici, Riccardo Del Fra. Aldo Romano
ci è parso in lieve "difficoltà", soprattutto all'inizio: è sembrato un po'
non sulla stessa linea del trio e poco tempestivo nei rilanci. Si è evidentemente
ripreso subito, ma in "I remember April", eseguito
in stile latino, ha mostrato una certa "fatica" nel mantenere continuamente
il doppio colpo di cassa. Comunque, tanto di cappello ai tre senatori: Catherine
è del 1942, Romano del
1941,
Rava
del 1939.
Il trio di Larry Coryell presenta una novità. Al posto dell'indisponibile
Mark Egan, al basso elettrico troviamo l'infaticabile Jeff Berlin,
sempre pronto ad assecondare i mutamenti ritmici e a seguire le direzioni prese
dal leader apparentemente senza alcuna difficoltà. Terzo pilastro, il batterista
Paul Wertico, che appena parte un pezzo, si mette a suonare come un "invasato",
entrando subito nel groove del brano – pensiamo all'iniziale "Good
Citizen Swallow", con numerosissimi breaks, botta e risposta con la chitarra.
Il suo accompagnamento anche nei 4/4 non è mai essenziale, ma si compiace di frequenti
scomposizioni in uno stile funkeggiante. Nei suoi anni giovanili ha ammirato, infatti,
tra gli altri, i Cream – in seguito lui stesso suonerà con Jack Bruce – che avevano
alla batteria il mitico Ginger Baker. Lo stile di Coryell abbraccia blues,
bop, rock, con reminiscenze countrywestern – ricordiamo che è nato nel Texas -,
ma con il passare del tempo la sua sonorità usa toni meno distorti, rendendo anche
omaggio a Wes Montgomery, un faro per molti chitarristi che poi si sarebbero
affermati. Ospite della serata, la giovane moglie di Coryell – lui è del
1943, lei ad occhio sembra poco più che 30enne – in veste di cantante, la quale
ha interpretato con il marito, anch'egli alla voce, una gustosa "Gimme
one reason", appartenente al repertorio di Tracy Chapman. Da segnalare
un excursus improvvisativo in solitudine, sulle note del
Bolero di Ravel, di Coryell, una
composizione che egli ama particolarmente e nella quale è emerso il suo immenso
virtuosismo. Un buon set, dunque, a conclusione, per noi, di una tre giorni davvero
intensa.
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
04/05/2008 | 1 marzo 1984: ricordo di Chet Baker al Naima Club di Forlì: "La sua voce sottile, delicata, sofferta, a volte infantile, mi è rimasta dentro il cuore per molto tempo, così come mi si sono rimaste impresse nella memoria le rughe del suo viso, profonde ed antiche, come se solcate da fiumi impetuosi di dolore, ma che nello stesso tempo mi sembravano rifugi, anse, porti, dove la sua anima poteva trovare pace e tranquillità. La pace del genio, la pace del mito, al riparo delle tragedie che incombevano sulla sua vita." (Michele Minisci) |
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Data pubblicazione: 15/06/2008
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