Sono i tempi lenti, la melodia, le atmosfere crepuscolari, il libero interplay, i colori della tavolozza da cui Enrico Rava
ha creato "Tati"; sicuramente uno dei dischi più attesi di questo 2005.
Ed un po' si è sorpresi, quasi rammaricati: l'attesa di cui ci siamo fatti partecipi – oltre due anni da "Easy Living"
– si risolve così, in questi dodici brani, che ad un primo ascolto sembrano
proprio non entusiasmare. Dopo alcuni ascolti però, i dubbi scompaiono, e
rimangono solo le certezze di una musica espressiva, capace di affascinare e soprattutto di trasmettere emozioni.
Che Rava in questi anni stia privilegiando molto la ricerca melodica – cosa che tra l'altro ha quasi sempre fatto durante la sua carriera – è cosa risaputa; mentre quello che in un certo senso spiazza, e con il tempo rapisce, è il minimalismo con cui i tre i musicisti dialogano, costruendo imprevedibili intrecci strumentali giocando sui silenzi, ma soprattutto sul principio di suonare solo le note necessarie; ed in questo Rava e
Motian dimostrano – se mai ce ne fosse bisogno – di essere maestri. Anche
Bollani però non è da meno: l'assenza di un contrabbasso, gli ha permesso di spaziare su tutti i registri – soprattutto su quello grave – libero e incalzante, prendendo parte con successo a quell'ipnosi ritmica, creata da
Motian con la consueta classe ed immaginazione.
I brani, tra cui The man I love di Gershwin che apre il disco, fanno tutti parte di un solo discorso musicale, sonoro, in cui a momenti lirici si alternano avventurose improvvisazioni che rimangono sempre legate all'atmosfera del pezzo, senza mai eccedere nell'individualismo.
È un disco corale. L'opera di tre musicisti straordinari, che liberi dalla prevedibilità comune, riescono a creare una musica carica di emozioni e poesia, come in Birdsong, duetto cantabile fra
Bollani e i piatti di
Motian; e Fantasm, in cui emerge quell'esigenza
free, trattenuta però con originalità dal gusto melodico del trio.
Più dinamico e ardito, per così dire, è invece Cornettology – il brano più lungo del disco – in cui emerge un'energia diversa, vicina ai primi dischi di Coleman, sprigionata dai caratteristici glissando di Rava, sulle solide e asimmetriche linee del piano, e sull'insistente lavoro dei piatti di
Motian.
Un disco notturno, morbido e raffinato, che ha veramente qualcosa da dire.
Marco De Masi per Jazzitalia