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Randy Kaye feat. Enrico Rava
Brooklyn 1967, May 24th
Philology (2016)
CD 1:
1. Apricot Lady
2. Pretty Sweet
3. Tears for a Year Gone By
CD 2:
1. Laughter
2. What Little Girls Are Made Of
3. To Angel with Love.
Enrico Rava - tromba Joel Peskin - sax tenore, clarinetto basso Peter Lemer - pianoforte Steven Tintweiss - contrabbasso Randy Kaye - batteria
Randy Kaye è conosciuto dalle nostre parti principalmente per
la sua militanza nel gruppo elettrico di Jimmy Giuffre. L' italiana Soul Note, infatti,
negli anni Settanta, ha pubblicato tre album di questa superba band. In precedenza
il batterista, ancora giovanissimo, aveva dimostrato le sue qualità, la sua stoffa
anche come leader, come documenta questo inedito storico del 1967, registrato in
studio a Brooklyn. Accanto a Kaye è schierato un quintetto agguerrito, pur formato
da personaggi poco noti, fra i quali spicca, però, il nome di
Enrico Rava.
Il trombettista, all'epoca ventottenne, aveva già suonato con
Steve Lacy
e Roswell Rudd e poteva vantarsi a buon diritto del titolo di jazzista da esportazione.
Oggi gli scambi, le osmosi fra Italia e Stati Uniti sono all'ordine del giorno.
Basti pensare, ad esempio, ad
Enrico
Pieranunzi che ha suonato e inciso al Village Vanguard con un super trio,
a Dado Moroni,
protagonista di dischi al fianco di all stars americane, di Silvia Bolognesi, Tiziano
Tononi e Daniele Cavallanti, protagonisti di rendez vous con gli avanguardisti chicagoani.
Negli anni sessanta l'emigrazione dall'Europa verso gli Usa era, invece, un'impresa
quasi pionieristica per i jazzisti del vecchio continente. Rava rappresentava, perciò,
una sorta di ambasciatore per un movimento che doveva ancora maturare parecchio
per stare al passo con quanto si realizzava al centro della scena internazionale.
Il musicista torinese qui si esprime con un fraseggio aggrovigliato,
contraddistinto da trilli insistiti e dalla tendenza manifesta ad ispirarsi ai modelli
della New Thing afroamericana. Insomma siamo lontani dal trombettista lirico e profondo,
convertito in seguito dall'ascolto di Miles Davis (Alton, 26
maggio 1926 – Santa Monica, 28 settembre 1991) e di
Chet Baker
a cambiare rotta e a seguire una strada meno accidentata, più vicina alla tradizione,
con i dovuti distinguo, intendiamoci.
Al sax tenore figura Joel Peskin dotato di un suono caldo e rilassato, ma capace
di inerpicarsi sui sovracuti, forzando il suo strumento, o di elaborare sequenze
contorte, afferenti all'atonalità.
Al pianoforte l'inglese Pete Lemer si ingegna per allontanarsi
gradualmente dai consueti cliché e di provare a fare un salto verso orizzonti sonori
tutti da esplorare.
Il bassista Steven Tintweiss assicura un sostegno solido e discreto, senza protagonismi.
Quando c'è da prendere qualche rischio si fa trovare pronto, ad ogni modo.
Randy Kaye si adopera, per contro, nel costruire un accompagnamento regolare che,
mano a mano, si trasforma in un'azione mirata di scomposizione, di destrutturazione
progressiva. La apparenti certezze iniziali vengono messe in grosse difficoltà sotto
i colpi sghembi della batteria.
I brani seguono un canovaccio più o meno simile. Si tratta di
partire da un tema, da un motivo anche riconoscibile, orecchiabile, per spingersi
oltre, tentando un percorso in diagonale, a zig zag, nient'affatto lineare. Fa eccezione
"Laughter", pura improvvisazione collettiva, senza schemi, salvo un momento finale
meno disorganizzato, messo lì per riprendere un filo nel discorso, forse.
Il doppio cd, in conclusione, è una testimonianza preziosa per
comprendere i fermenti della scena newyorkese della fine degli anni sessanta e per
apprezzare un quintetto non di primissimo piano, nel 1967, ma compatto, coraggioso
e ben deciso a cercare una sua identità fuori dal mainstream, dalle scelte conservatrici,
sotto la spinta del vento della free music, allora in ascesa.
Gianni Montano per Jazzitalia
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
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Data pubblicazione: 09/07/2017
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