Il free può essere una esigenza espressiva figlia di un'evoluzione continua
che sfocia nella musica libera quasi come punta estrema. Il free può anche
essere un modo di fare ricerca adottato per individuare nuovi confini che non emergono
fintanto si è "rinchiusi" in un qualcosa di delimitato. Il free è un mezzo di comunicazione
tra musicisti che senza alcuno schema cercano l'interazione, cercano di incontrarsi
nello stesso punto, allo stesso istante, integrandosi, complementandosi. In questi
e altri casi ancora, il free deve comunque essere un punto di arrivo, un approdo
al quale si giunge e non dal quale si parte. Si deve avvertire forte l'esigenza
di liberarsi dagli schemi e di attraversare un mondo privo di tempo e spazio, quale
è il free, per essere poi costruttori di un tempo e di uno spazio estemporanei.
Una volta giunti nell'universo del free, ci si ritrova in un mondo sconfinato dinanzi
al quale si possono adottare diverse strategie. Girovagare senza meta individuando
casualmente emozioni e sensazioni importanti da rimarcare oppure disegnare
percorsi con un senso geometrico, spaziale, temporale - almeno nelle intenzioni
- lasciando però ampia libertà espressiva e, quindi, ampia possibilità di sovvertire
le originarie intenzioni.
Jean Claude Jones al free vi giunge dopo un percorso di studio del mondo
tradizionale soprattutto legato al suo strumento, il contrabbasso, sempre visto
come supporto ritmico-armonico e solo recentemente emerso grazie all'apporto fornito
da musicisti e compositori divenuti anche leader di ensemble vari.
La formula scelta è quella di individuare questi percorsi insieme a diversi
partner riuniti in duo definendo quindi l'obiettivo di raggiungere il massimo livello
di interazione possibile partendo da un'improvvisazione pura, non pianificata. Vi
è una forte componente legata al suono e quindi al tentativo di raggiungere le stesse
dinamiche, le stesse intensità anche con strumenti differenti come addirittura può
essere tra il contrabbasso di Jones e la voce di Josef Sprinzak oppure nello
stridore ricercato dai sax di Gan Lev e dall'archetto del contrabbasso. Laddove
invece gli strumenti sono più affini allora l'interazione diventa ritmica o anche
melodica come accade nel duo con il violoncello di Yuval Messner in cui si
ascoltano alcuni passaggi più rilevanti forse anche grazie alla maggiore durata
del pezzo (e anche ad una parvenza di strutturazione...). E' infatti un po'
stridente la ricerca di un'intesa partendo da un'improvvisazione totale e radicale
relegata però ad un tempo ridotto anche ad un solo minuto. Probabilmente quanto
pubblicato è un estratto considerato emblematico e quindi riportato poi su disco
ma all'ascoltatore è lasciato forse troppo poco tempo per adeguarsi alle
intenzioni dei musicisti.
Jones, tra i promotori dell'associazione
Kadima, nata per promuovere
la musica creativa e improvvisata in Israele, sembra porre proprio la musica in
secondo piano anteponendovi la produzione di elementi sonori atti a giustificare
l'esserci, esistere per cui trasmettere, ma tutto questo è davvero di difficile
comprensione. Rimane quindi un lavoro che va nella direzione della ricerca espressiva
che darà sicuramente tanta emozione e trasporto al musicista ma che richiede un
ascoltatore in grado di immedesimarsi, di sintonizzarsi. Ed è questo il dubbio personale
riguardo la musica free in genere: pur essendo un momento estremo per chi la fa
rischia di diventare un momento di disorientamento forte per chi l'ascolta aumentato
ancora di più dal mezzo discografico che non rende visibile la scena.
Marco Losavio per Jazzitalia