Silta Records 2009 - SR0903
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William Parker & Giorgio Dini
Temporary
1. Temporary one – preludio
2. Temporary two – improvviso
3. Temporary three – intermezzo
4. Temporary four – lento
5. Temporary five – danza e finale
William Parker
- contrabbasso, shakuhachi
Giorgio Dini
- contrabbasso
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Silta Records
email: info@siltarecords.it
web: http://www.siltarecords.it
"Improvisation is the organizing of sound without relying on preset music notation,
spontaneously playing music without any preset thought, responding to sound intuitively,
second to second". Ovvero: "L'improvvisazione è l'organizzazione del suono senza
contare sulla notazione musicale pianificata, suonando spontaneamente la musica
senza programmazione del pensiero, rispondendo al suono intuitivamente, secondo
per secondo".
William Parker
non avrebbe potuto descrivere meglio l'esperienza musicale raggiunta in questo progetto.
Tecnicamente parlando, il suo nuovo lavoro è una session di contrabbassi in duo
con Giorgio
Dini, dalla quale sono stati estrapolati cinque brani di sola improvvisazione
sperimentale, senza ombra di regole o pentagrammato. Non è un'esibizione di tecnica,
non vi è traccia di evoluzioni virtuose, ma solo uno screening dell'infinita
gamma di sonorità che il contrabbasso è in grado di concepire. I due si cercano,
dialogano, contrappuntano e riflettono trovando un feeling perfetto, racchiuso in
un interplay carico di modulazioni armoniche fantasiose, enigmatiche e finemente
espressive. Un lirismo assoluto, fuori da ogni schema, dove solo le poche note melodiche
di William
Parker, pulsanti nell' "Improvviso" e in "Danza e
Finale", offrono delle linee guida che equilibrano il tema astratto con dei
basilari arrangiamenti jazz.
L'album inizia dal "Preludio", nel quale i due eseguono, con l'archetto,
toni pacati e misteriosi che si sviluppano,attraverso un'escursione esasperata delle
note, in un finale frenetico ed esaltante. Maggiore fluidità scorre nell' "Improvviso",
dove Parker dà energia al proprio contrabbasso pizzicando sulle corde una
successione di contrappunti tonici e accurati, mentre Dini vi disegna un
background trascinante ed imperscrutabile. In"Intermezzo" il primo
sperimenta il suo shakuhachi dando vita ad un sound malinconico, emotivo
che, anche grazie all'accompagnamento riflessivo del secondo, colora il brano di
atmosfere orientaleggianti.
L'ultima traccia, l'esecuzione di maggiore espressività dell'album, è
una sperimentazione sopraffina, emozionante. I contrabbassi giocano sugli armonici
con l'archetto eseguendo principalmente note alte, così da creare un'intensa modulazione
di suoni astratti, mistici e trascinanti. Nel sottofondo un perpetuo effetto acustico
contribuisce a rendere il brano ipnotico e penetrante. Solo nel finale Parker
offre un arrangiamento tipicamente jazz, che sfocia in una conclusione inaspettata
ed enigmatica.
Parker e Dini confermano la loro sensibilità musicale in un registrazione
che suscita sentimenti di stupore e che indubbiamente porta un vento di novità nell'ambito
jazzistico contemporaneo.
Non è un ascolto facile, non dobbiamo aspettarci dei brani scorrevoli e intuitivi,
ma studio e ricerca continui della massima espressività sonora concepibile. E nel
farlo i due ci mostrano un' empatia totale, sfoggiando un sound fuori da ogni schema.
Gli alti livelli di sperimentazione sonora espressi rappresentano un passo avanti
nella ricerca di nuove rappresentazioni della musicalità.
Fabrizio Ciccarelli e Andrea Valiante per Jazzitalia
Giorgio Dini
è il fondatore dell'etichetta discografica indipendente Silta Records.
In questa veste ed in quella di musicista lo intervistiamo.
Perché la scelta di due contrabbassi per questo album
?
William ha suonato in diverse occasioni in duo con contrabbassisti di rilievo,
come Joelle Leandre, Henry Grimes, Stefano Scodanibbio. Quando
mi si è presentata l'opportunità di intraprendere questo progetto, ho deciso di
mettermi in gioco e intraprendere questa sfida, certamente non priva di rischi.
Gli ho proposto di affrontare la seduta di registrazione senza concordare alcunché,
nemmeno una traccia elementare, nulla; sapevo bene che si tratta del tipo di musicista
che in ambito improvvisativo di questo tipo ha pochi rivali, ero molto fiducioso
del risultato finale.
"Temporary", perché?
"Temporaneo" è una parola che stimola situazioni effimere, propense a variare
in maniera repentina, consoni all'approccio improvvisativo ‘intuitivo' che abbiamo
messo in pratica; evoca contemporaneità, estemporaneità ed anche un elemento fondamentale
nella musica: il tempo, che scorre parallelamente al fluire della musica. E' un
episodio nelle nostre vite, la fotografia di un determinato momento nei nostri percorsi
musicali che si sono intersecati in questa occasione.
Ricerca del suono "puro" o contrasti emozionali?
Una cosa non esclude l'altra! Il suono è elemento fondamentale in questo disco,
per questo abbiamo voluto prestare particolare cura alla fase di mixaggio ed editing:
proprio per curare il suono nel particolare. Ma vorrei dire che la ricerca del suono
qui non è mai fine a se stessa, bensì mezzo espressivo. I contrasti sono altresì
importanti, perché sebbene il disco sia caratterizzato da uno spirito unitario,
i contrasti permettono di raggiungere quella varietà che è necessaria alla musica:
io non amo la ricerca pura, quella rincorre se stessa, ma le espressioni artistiche
innovative che sanno sorprendere per le direzioni inaspettate che prendono. Io amo
tutti i contrasti: melodici, ritmici, sonori (‘alla Scelsi'), espressivi…. Ed emozionale
come opportunamente noti tu.
Con la tua scelta estetica intendi continuare la tradizione
dell'improvvisazione pura o dare nuovo impulso alla ricerca musicale?
Domanda impegnativa! Certamente intendo seguire un certo percorso in maniera fluida
e naturale, non forzata: in musica è importante fare quello che ci si sente di fare,
non inseguire le opportunità commerciali o propendere per i gusti del momento. Da
anni ormai sto approfondendo l'approccio improvvisativo che taluni definiscono ‘musica
improvvisata creativa', e non mi sento certo arrivato – sento che il territorio
da esplorare è ancora vasto. Poterlo fare con musicisti di spessore come
William Parker
permette inoltre di ampliare gli orizzonti. Quindi, in risposta alla domanda, il
mio personale percorso di ricerca musicale trova linfa vitale proprio da questo
tipo di pratica improvvisativa. Più avanti non escludo di dedicarmi ad un tipo di
ricerca differente, sempre seguendo quello che chiamo il mio percorso musicale.
Il futuro è sempre pieno di sorprese!
L'improvvisazione è senz'altro l'anima delle blue notes,
in cui il musicista esprime ogni lato della propria creatività. Qual è la tua idea
in proposito?
Tecnicamente le 'blue notes' sono note della scala blues (il terzo e settimo
grado, nel bop anche il quinto grado) che vengono suonate leggermente calanti; è
proprio questa ‘stonatura' a creare il tipico effetto ‘blues'. Quindi storicamente
il musicista Blues ha fatto delle 'blue notes' il suo marchio di fabbrica,
la sua cifra stilistica ed il Jazz è genealogicamente collegato al blues come sappiamo,
quindi le 'blue notes' sono entrate nel linguaggio dell'improvvisatore Jazz.
La musica a cui mi dedico ha forte una forte matrice improvvisativa ma esce decisamente
dagli stilemi del Jazz Mainstream, quindi l'uso delle 'blue notes' non è
contemplato in quanto tale (ovvero nelle sue relazioni coi gradi della scala), ma
si trova certamente qualcosa di simile quando talvolta si fa uso di variazioni microtonali:
anche queste, come le 'blue notes', arricchiscono il linguaggio espressivo!
In nome della necessità della "fusione" tra generi diversi
il jazz ha spesso percorso strade a volte originali, talaltre discutibili; quali
sono stati secondo te i tentativi più significativi?
Non essendo uno storico del Jazz la mia risposta potrebbe essere incompleta,
comunque mi vengono in mente le fortunate esperienze del samba-jazz di
Stan Getz e Jobim degli anni Cinquanta, poi le venature funk
di Horace Silver nei primi anni Sessanta, poi la fusion della fine anni Sessanta
/ inizi Settanta coi Weather Report e Miles Davis. Più recentemente
noto ottimi risultati nelle commistioni con le influenze arabe/mediorientali proposte
da Rabih Abou-khalil, le sonorità di
Trilok Gurtu, ma anche le atmosfere ricche di pathos di Annette
Peacock, le escursioni nella contemporanea di Meredith Monk…E potrei
continuare l'elenco!
Quali artisti reputi tuo punto di riferimento?
Questa è la domanda che un musicista cerca sempre di evitare per non essere identificato
troppo facilmente – lasciamo agli altri trovare i nostri punti di riferimento! Posso
solo dire che è normale avere dei periodi in cui si vuole approfondire la conoscenza
artistica di un musicista che si apprezza, poi seguono le fasi di interiorizzazione
e di assimilazione, al termine delle quali si è arricchita la propria identità musicale;
solo occorre stare attenti a non fissarsi su un filone soltanto, se no si diventa
dei cloni (o delle brutte copie nei casi sfortunati…) e non ci si evolve.
A che punto è dunque la tua ricerca musicale?
La mia ricerca musicale è in continua evoluzione e cerco sempre nuove strade.
Anche se il cuore di questo percorso resta l'improvvisazione, preferibilmente ‘intuitiva'
(una volta si diceva anche ‘radicale' ma questo termine rischia identificazioni
fuorvianti) ma senza vincolarsi a questa, ovvero ammettendo senza problemi l'uso
della tonalità, mi piace misurarmi con interpretazioni di brani di musica classica
dalla quale traggo molta ispirazione, soprattutto in termini di cura del suono,
della dinamica, dell'espressione, del controllo e dell'architettura improvvisativa.
Cosa aspetti dal gusto del pubblico?
Il pubblico che segue gli stili musicali alternativi ed è curioso di esplorare le
novità musicali è difficile da raggiungere a causa dell'elevatissima frammentazione
delle proposte discografiche.
Non vorrei sembrare presuntuoso nel dire che mi aspetto che il pubblico più borderline
apprezzerà questa proposta, anche se il fatto che il set sia costituito da solo
due contrabbassi non rende le cose facili: è musica da ascoltare con una certa preparazione
e una buona predisposizione d'animo, che la vita quotidiana non sempre permette.
Ma William è talmente apprezzato in Europa ed America che sono certo che gli appassionati
noteranno questo disco che è davvero diverso.
Come pensi che la critica accoglierà questo album?
Ho già avuto riscontri molto positivi dalla critica e questo mi fa pensare in maniera
molto positiva; il fatto è che ci sono molti critici validi in Italia che capiscono
quello che ascoltano e sanno distinguere la qualità dal resto. Purtroppo, come per
chi suona, anche per chi scrive gli spazi sono ristretti – credo che soffriamo un
po' tutti per questa omologazione sottoculturale che ormai invade le nostre vite.
Ma l'importante è non assuefarsi e continuare ad emozionarsi e incuriosirci per
le cose nuove.
A tale proposito, cosa ne pensi della situazione attuale
del jazz?
Questa è una domanda che richiederebbe una risposta strutturata, perché le dinamiche
che regolano attualmente la scena Jazz sono piuttosto complesse e possono anche
presentare differenze a seconda della geografia e dei mercati. A dirla in breve
comunque, se parliamo del Jazz che vuole progredire ed evolversi e non di quello
che si limita ad autocelebrarsi, allora ha il forte bisogno di allargare i propri
confini; questo non significa invadere necessariamente territorio altrui, o mescolare
tendenze diverse come avvenne in passato per esempio con la Fusion. Significa che
il concetto di improvvisazione non deve temere di estendersi ed evolversi verso
forme musicali neanche facilmente definibili. Questa difficoltà a esprimere certa
musica in categorie ben precise rende la vita difficile all'industria del disco,
ai giornali e a gran parte del pubblico, ma in realtà voler classificare a tutti
i costi la musica non serve, perché quello che conta sono i contenuti artistici.
La Silta Records senz'altro si distingue per l'originalità
delle proposte: perché questa scelta?
Silta Records è nata per colmare un vuoto: permettere la diffusione di musica
di valore e contenuti artistici. L'elemento centrale è l'artista e non le considerazioni
di business o di moda, per questo il catalogo contiene musica originale e talvolta
coraggiosa. Silta records e i suoi artisti non temono di osare! Se mi chiedi se
troppa musica viene pubblicata rispondo che troppa musica inutile viene pubblicata.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sotto il profilo dell'attività di musicista, ho in cantiere un CD in quartetto
in stile ‘Old and New Dreams' con George Haslam,
Stefano Pastor
e Gianni Lugo, poi altro in fase di progettazione con Simone Zanchini
e Gianni Lenoci
ed ospiti ragguardevoli. L'etichetta sta per festeggiare i 5 anni di attività con
la pubblicazione di un CD in duo di
Steve Lacy
& Mal Waldron, edizione numerata per collezionisti, al quale seguiranno proposte
sempre vive ed originali che ancora non vorrei svelare!
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 09/01/2010
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