Marcello Lorrai
William Parker Conversazioni sul Jazz
Auditorium – Casanova e Chianura Edizioni 2010
Pagine 140 – euro 18,00
"Gli orsi si muovono lentamente e i contrabbassi
sono come gli orsi". A dispetto della sua mole e della sua passione per Jack
The Bear di Duke Ellington,
William Parker
si muove con particolare destrezza ed acume all'interno del reticolo di domande
costruito con passione ed intelligente sistematicità dal giornalista e critico musicale
Marcello Lorrai. Non è cosa da poco far fluire tanta storia e tante storie
musicali, lasciando suonare le parole. E si, perché queste Conversazioni sul
Jazz con il contrabbassista del Bronx trasudano musica suonata anche attraverso
le parole. E' un continuo monito per tutti, giovani e meno giovani, musicisti e
non, seppur Parker non lo si possa annoverare – anagraficamente - tra i "vecchi
senatori" della musica afroamericana, visto che ha da poco battuto le cinquantotto
primavere. Il suo vissuto, però, è tale da far impallidire chiunque abbia a che
fare con il jazz. Vissuto che Lorrai conosce a menadito, tanto da spingere il musicista
a parlare senza remore, pungolato da opportune domande, scevre da banalità. Così
si attraversa l'avanguardia newyorkese ed anche quella chicagoana; l'incontro con
Cecil Taylor nel 1974, quello con
Don Cherry, con Bill Dixon, Wayne Horvitz e, negli anni
'90, con Derek Bailey, tra gli altri.
Senza trascurare, pare ovvio, l'infanzia da buon scolaretto e la catechesi musicale
indiretta del padre, onnivoro ascoltatore di jazz.
L'identikit che appare è quello di un musicista verace, senza fronzoli, evirato
dall'egocentrismo che spesso attanaglia chi, come lui, potrebbe permetterselo. Un
uomo che vive la musica con gli homeless, i poeti, girovagando per il mondo alla
ricerca di suoni sempre diversi, sentendo la tradizione e riuscendo a strapparla,
farne brandelli e suonarli.
Vi sono due rivelazioni, non copernicane s'intenda, ma che spesso fuggono: "La
musica è come il cibo: cuoci i tuoi spaghetti e poi li mangi". Ed ancora: "Io
vedo la musica come i fiori: quando appassiscono ce ne sono altri che sbocciano".
Con questo, polemizzando (senza ferire, però) con i cloni del passato che si limitano
ad emulare i vari Parker, Coltrane. E gli Stati Uniti ne sono pieni, come – sempre
per restare in tema – l'assoluta difficoltà (anzi, impossibilità) per i c.d. innovatori
del jazz di suonare nella propria terra, ben concimata dal mainstream tanto amato.
Si pensi al quartetto di Parker che è riuscito a suonare solo per una volta al
Blue Note
di New York. Ed ecco, quindi, l'altra rivelazione tautologica (anche questa
ben nota ai più): gli Americani hanno trovato…l'America (si perdoni la boutade)
in Europa, oggi culla del jazz, territorio agognato dai musicisti d'oltre oceano.
Un libro da leggere d'un fiato e da vedere attraverso il congruo corredo fotografico
che lo imbellisce ancor di più.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 18/04/2010
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