Ai Confini tra Sardegna e Jazz
XXIIIa Edizione
Sant'Anna Arresi (Ci) - 26 agosto - 6 settembre 2008
di Gianmichele Taormina
foto Gianmichele Taormina
Dedicata alla suggestiva figura ed all'indiscutibile genialità musicale
di Don Cherry, la manifestazione sarda, giunta oramai alla sua ventitreesima
edizione, ha offerto diversificate sfaccettature del caleidoscopico animo artistico
impresso nel tempo dal grande trombettista di Oklahoma City.
Polistrumentista dalle multiformi espressioni, Cherry fu anche pianista,
flautista, percussionista, direttore d'orchestra ed "enorme" compositore contemporaneo.
In definitiva un carismatico "poeta totale" dalle lungimiranti intuizioni creative.
Lungimiranza che ebbe l'Associazione Culturale Punta Giara, ente organizzatore
della manifestazione, allorquando decise di chiamare proprio Cherry per l'apertura
della sua prima edizione nel lontano 1985.
Motivazione più che mai azzeccata dunque per ribadire talune entità che pur appartenenti
al passato di "Ai Confini Tra Sardegna e Jazz", si rinnovano nell'ampio spettro
che si affaccia al futuro di un festival rinnovatosi sempre da se stesso e che si
pone per sua natura in continuo propositivo movimento.
Il primo omaggio del cartellone tributato a "Nu"
- questo il nomignolo spirituale di Don Cherry - ha avuto come soggetto
la riproposizione di "Simphony For Improviser".
L'opera discografica pubblicata per la Blue Note nel
1966 è stata rielaborata sul palco di
Sant'Anna
Arresi da Dave Douglas e Roy Campbell - trombettisti
sempre "aperti" alla rilettura cherriana e non del tutto dissimili alla caratura
espressiva del Maestro - i quali hanno guidato un travolgente doppio quartetto completato
da Mixashawn e J. D. Allen ai sassofoni (vere sorprese del festival),
Hill Greene e Henry Grimes al contrabbasso,
Hamid Drake
ed Andrew Cyrille alla batteria.
La musica, caratterizzata da uno sconvolgente impatto emotivo, si
è evoluta libera ed intuitiva, con enormi spazi strumentali "organizzati"
da uno spettacolare interplay azionato dagli otto musicisti in questione. Freschezza
ed energia, spazialità cromatiche ed impulsiva urgenza strumentale hanno colorato
la magnifica esibizione, spiazzando il pubblico per sorprendente bellezza ed spontanea
incisività.
A nome del pianista e vibrafonista tedesco Karl Berger la serata
del 29 ha visto come protagonista il progetto "In The Spirit Of Don Cherry"
con Ingrid Sertso, moglie del leader alla voce, Mark Helias al contrabbasso,
Hamid Drake
alla batteria ed una front line di fiati di tutto rispetto costituita da
Graham Haynes (figlio del celebre drummer Roy Haynes), Peter Apfelbaum,
Bob Stewart e Carlos Ward (quest'ultimo valido partner
musicale in diverse formazioni guidate da Cherry).
In questo caso è emersa in misura maggiore l'aspetto multietnico del trombettista
scomparso nel 1995. Ritmi coinvolgenti
e melodie calypso, dolcissime nenie e canti tribali, mainstream jazz
con un Berger ancora effervescente al vibrafono, hanno raccolto ampio consenso da
parte di un entusiasta pubblico accorso numeroso in piazza del Nuraghe.
Di differente matrice artistica è stata la notevole esibizione di "Avake
Nu" Project a nome del batterista milanese Tiziano Tononi. Il
drummer dei Nexus ha riproposto sul palco di
Sant'Anna
Arresi le musiche dell'omonima doppia incisione discografica pubblicata
dalla Splasc(h) nel 1996, ad un
anno esatto dalla scomparsa del glorioso trombettista. L'aspetto compositivo di
Don Cherry ha in questo caso preso il sopravvento nel corso dell'intero
concerto. Musica mai lasciata al caso ma anzi estremamente funzionale alla complessa
filosofia di scrittura che Cherry diede ai suoi lavori. Oltre al granitico leader,
ottimo autore, ben hanno figurato i sassofoni di Daniele Cavallanti
e Achille Succi, la tromba di Luca Calabrese, la chitarra
elettrica di Roberto Cecchetto (eccezionale manipolatore di suoni,
di linguaggi e di argute armonie), il contrabbasso di Silvia Bolognesi,
doverosamente acclamata per simpatia e grintosa verve strumentale.
Altro spettacolare omaggio a Cherry è stato quello del DKV Trio. Formato
da Ken Vandemark (sax tenore), Kent Kessler (contrabbasso) e
Hamid Drake
(batteria) il trio aveva già dato alle stampe nel 2002
il bellissimo doppio cd "Trigonometry". Nessuna aspettativa delusa dunque
quella che ha seguito indicativamente le tracce del disco. Il possente impatto baritonale
della "voce" sassofonistica di Vandemark (uno degli ultimi veri rollinsiani
ribelli), il solido apporto ritmico di Kessler e le impareggiabili figurazioni
ritmiche di Drake, hanno sviluppato un discorso emotivo di gran lunga al di là del
semplicistico riferimento a Cherry. Enorme coesione tra i tre musicisti, fantasiosa
libertà e magica scioltezza hanno completato un concerto decisamente intenso e corrosivo
per contenuti ed alto livello sostanziale.
Nessun dubbio alcuno anche nel caso del bellissimo concerto denominato "Bindu".
In esclusiva europea sotto l'attenta guida di
Hamid Drake
(acclamato eroe di Sant'Anna, quasi un artist in residence della manifestazione),
il programma presentato ha messo in luce molte delle musiche contenute nella prima
omonima incisione pubblicata nel 2005
dalla Rougue Art Records (ve ne è pure una seconda, assai lodevole, uscita
proprio quest'anno).
I sassofonisti Ernest Dawkins, Daniel Carter,
Sabir Mateen ed il giovane Greg Ward hanno letteralmente scioccato
gli ascoltatori presenti al festival per spaziali intuizioni, straripanti improvvisazioni,
grandiosa genuinità di linguaggio. Drake poi, è leader saggio e programmatico ma
che ben sa concedere spazio e grande libertà di movimento. Magnifiche le musiche,
ora ispirate al sacro corano, ora alla saggezza di alcuni mantra ben conosciute
dall'impareggiabile batterista di Chicago, infine indotte da una sfavillante improvvisazione
incredibilmente funzionale al progetto sonoro di Bindu. Sicuramente a
Sant'Anna
Arresi uno dei più bei concerti di sempre.
Ha commosso e divertito invece l'apparizione al festival di Nanà Vasconcelos
& Friends per una produzione originale presentata al festival in esclusiva.
Al fianco del percussionista brasiliano (amico di Don Cherry nonché
protagonista di numerosi progetti tra i quali va ricordato il celebre trio "Codona"
formato insieme al compianto Colin Walcott), hanno completato la formazione
i "colleghi di sedia" Trilok Gurtu
e Antonello
Salis (fisarmonica e pianoforte), ed ancora Carlos Ward
e Peter Apfelbaum. Il carattere spirituale di Cherry ha preso subito il sopravvento
con antichi richiami alla musica indiana e a quella dell'Amazzonia tanto cara al
grande Nanà. Saggezza e irruenza, capacità di veicolare le musiche che ci attraversano,
etnie senza regole ed un impianto su cui il divertimento e l'interscambio ha avuto
la valenza maggiore (soprattutto con le voci e le percussioni di
Trilok Gurtu), hanno
dato vita ad una sorta di "campionario" del Cherry più popolare anzicchè jazzistico.
Sicuramente più emozionante dal punto di vista tattile e umano.
E a proposito di percussioni, cinque batteristi e due trombettisti hanno
inscenato un "omaggio parallelo" al festival; quello tributato all'immenso
Ed Blackwell. Quest'ultimo, oltre ad essere grandioso batterista e amico
di Cherry, appare in molte registrazioni del celebre trombettista di "Complete
Communion" (il disco e molte composizioni ivi inserite sono state più volte
evocate sul palcoscenico di Sant'Anna). Ancora
Hamid Drake,
Trilok Gurtu,
Tiziano Tononi e poi Chad Taylor e Warren Smith (vera e
propria leggenda vivente della batteria statunitense), hanno dialogato col linguaggio
cherriano di Roy Campbell e Graham Haynes in una sorta di call
& response dove l'intuizione e la spettacolarità l'hanno fatta da padrone. Africa
e variegate poliritmie, India e intellettualizzazione eurocolta, antica saggezza
ricca di swing ed immensa agilità sui piatti, impulso ritmico innovativo e moderne
figurazioni stilistiche si sono fuse in un continuum espressivo di magica
bellezza dove trovavano spazio le due trombe spesso cantrici di temi firmati da
Cherry, poi dismossi dalle piacevoli intemperanze escogitate dai cinque immensi
batteristi.
Seguendo la strada maestra di Don Cherry e di Ed Blackwell
altra logica congruenza all'interno del cartellone è stata l'ideale dedica firmata
da Joe McPhee (sax tenore e poket trumpet), Roy Campbell,
William Parker
e Warren Smith nel doveroso tributo ad Albert Ayler. Un
aylerismo ben rappresentato dal gusto e dall'incredibile suono di McPhee,
capace di fornire intuizioni e calore ai suoi compagni di cordata, inviando input
e svelando infine sagge ed eterne risonanze appartenenti al compianto Maestro di
Cleveland scomparso nel 1970. Partiti
da una cellula che evidenziava un lieve "scollamento" delle quattro forti e decisive
entità (davvero quattro grandi del jazz contemporaneo proiettati nel presente ma
anche nel passato dei padri del free), via via la musica ha preso corpo dentro una
potente e asimmetrica contromelodia segnata da spazi siderali, prima possenti, poi
tenui (ad esempio con l'intervento meditabondo di Parker), seguiti da un'incisiva
coesione che ha dato i suoi frutti migliori nella seconda e conclusiva parte del
set.
Differenti modalità hanno invece contrassegnato le due orchestre esibitesi
all'interno di "Ai Confini…".
Con "Viva La Black" (di scena il 2 settembre), la Minafric Orchestra,
big band costituita dal trombettista
Pino Minafra
e diretta dal sassofonista Roberto Ottaviano, ha interagito con tre
ospiti d'eccezione già presenti nel bellissimo recente cd intitolato "Live
At Ruvo" ovvero Keith e Julie Tippett (due grandi
esponenti del rock-jazz britannico degli anni Settanta), e alla batteria Louis
Moholo Moholo. E decisamente il sound ben arrangiato, complice lo stimolo di
tre mostri sacri presenti nella formazione, ha contribuito non poco alla strategia
propulsiva del concerto. Singolari giochi e scambi tra le voci ed i fiati, affascinanti
le composizioni, ottimi interventi solisti di tutti i componenti (segnaliamo la
presenza di Sandro Satta, Beppe Caruso, Pino
e
Livio Minafra, Luca Calabrese e Vincenzo
Mazzone oltre che dell'incantevole Ottaviano), hanno trasportato
il pubblico dentro atmosfere talvolta rarefatte, spesso frizzanti e coinvolgenti,
in quel mood disincantato di quegli anni epici ed eroici. Bravi davvero.
L'altra orchestra, sicuramente di difficile catalogazione per schemi e globale
identità è stata quella di Butch Morris il quale con il suo New
Music Observatory ha portato sul palco il risultato di una decina di giorni
di workshop realizzato con trentatre allievi inoltratisi nello studio e nell'analisi
della sua famigerata conduction.
Gesti, sigle e segnali non convenzionali hanno caratterizzato la rivoluzionaria
concezione di condurre secondo le teorie di Morris, da quasi venticinque anni impegnato
nell'illustrare a studenti di tutto il pianeta, il metodo e il singolare approccio
dei suoi particolarissimi arrangiamenti, ideati sul campo proprio insieme ai musicisti.
Ne è uscito un concerto dai variegati stilemi; contemporary, modale, musica
classica colta, sprazzi di rock, idiomi jazz e modalità inusuali confluite in quarantacinque
minuti di musica rigorosa, talvolta complessa ma comunque intensa, accattivante
e meravigliosamente adrenalinica.
Altri due concerti dalla valenza geografica vicina ai moduli di Cherry, del
quale ne hanno colto le idee meno evidenti rendendole perciò assai originali, sono
state quelle del Chicago Underground Duo e dell'Ethnic Heritage
Ensemble.
Formato da Rob Mazurek (cornetta, piano e live electronics) e da
Chad Taylor (batteria, percussioni e vibrafono), il Chicago Underground
Duo ha espresso notevole scuola d'improvvisazione nell'affrontare un dialogo
colto e ambivalente, dove l'interscambio e la giocosità in ambito post free
ha dato modo di evidenziare particolari aspetti dell'interazione tra elettronica
(già campionata, quindi precostituita, no eccessiva ne pesante) e fulgida composizione
istantanea.
Incredibile Taylor, probabilmente una delle figure centrali della
new thing chicagoana. Più freddo e concentrato Mazurek in un linguaggio
dove la libera interpretazione di un Don Cherry, moderno, libero da
orientalismi e vagheggiamenti, si proiettava verso climi più urbani, dissacranti,
futuristici.
Totalmente differente il coinvolgente set dell' Ethnic Heritage Ensemble
costituitosi in ambito AACM nel lontano 1973.
Kahil EL'Zabar (batteria, voce e percussioni), Corey Wilkes (trombe,
flicorno e percussioni) ed Ernest Dawkins (sax e percussioni) hanno circumnavigato
le tante isole di Cherry, approdando dentro climi distanti da quelli notoriamente
conosciuti e rutinieri. Jazz e religioso orientalismo si sono impadroniti di un
concerto dall'atmosfera sacrale, immaginaria e rovente. Dawkins è un polistrumentista
aperto e raffinato pur nei suoi decisivi poliedrici attacchi mai furibondi o strabordanti
ma sempre ben calibrati, dotati di potenti fraseggi eppur leggibili, calcolati e
sopraffini. Legato ad un dialetto più urbano Wilkies (da qualche anno sostituto
di Lester Bowie negli Art Ensemble Of Chicago), ha rappresentato
la controparte ideale alle sortite del collega fiatista, mentre EL'Zabar,
vero leader carismatico del trio, ha direzionato gran parte del concerto all'esaltazione
di quelle sonorità etniche e conturbanti che sono probabilmente i punti di forza
maggiormente riconducibili alle ultime opere di Don Cherry nell'ampio
e particolare ambito delle contaminazioni.
Altri tre concerti hanno tenuto banco nel lungo cartellone, ottenendo acclamatissimi
apprezzamenti a scena aperta e incastonando Don Cherry dentro una
serie di celebrazioni che ne hanno perpetrato degnamente la figura e le gesta. Concerti
equivalenti ad una vera e propria festa sul palco, a partire da "Cherry-Co"
produzione originale che ha visto esibirsi i figli di Don Cherry:
la cantante pop star Neneh (si proprio lei: quella di "Seven Seconds"),
Eagle-Eye, Christian e David Ornette Cherry, quest'ultimo protagonista
di un altrettanto seguito live act in qualità di leader. Costoro insieme a Jayadeva,
chitarrista nativo di Biella ma per molti anni negli States proprio al fianco di
Cherry, avevano partecipato nella penultima serata (5 settembre), ad una big reunion
dove, blues, jazz e musica di matrice etnica avevano coinvolto molti dei protagonisti
di questo enorme evento mediatico: Peter Apfelbaum, Karl Berger,
Corey Wilkes e Jean Jaques Avenel tra gli altri.
Inevitabile citare altre esibizioni come quella di apertura di festival del
violoncellista Marco Ravasio Rock Baroque Ensemble con musiche settantine
ed endrixiane, quella del chitarrista Alberto Balia "ARJAZZ Project",
dei Mediterre (gruppo vincitore nell'edizione 2007
dei seminari "Marcelo Melis"), nonché quella dei Guitto Gargle, giovani
promesse del jazz italiano vincitori dei seminari nel 2006
e già approdati alla loro prima opera discografica notevole ed assai significativa.
Al di là delle celebrazioni a Don Cherry si è apprezzato il
concerto dei Bookmakers di
Antonello
Salis (jazz-rock dichiaratamente immerso dentro spazialità anni
Settanta e Ottanta seguendo modelli cha vanno dal Perigeo ai Lingomania),
nonché "Gramsci in Concert" un "concept concert" con recitazioni di
lettere gramsciane da un'idea del filosofo Giorgio Baratta con Clara Murtas,
Giancarlo Schiaffi e Adriano Orrù.
Da segnalare infine "Fabric Of Memory", mostra di installazioni, quadri,
fotografie e arazzi a cura di Moki Cherry - seconda moglie del trombettista
-, il workshop fotografico "Dal Bianco & Nero Al Digitale" a cura della Phocus
Agency, docenti Luciano Rossetti e Luca D'agostino, con la
master class di fotografia diretta dal noto fotografo statunitense Jimmy
Katz, la settima edizione dei seminari "Marcelo Melis" con docenti di
tutto rispetto come Fabrizio Puglisi, Roberto Cecchetto,
Dave Douglas, Ken Vandemark, Achille Succi,
Giancarlo Schiaffini, Roberto Dani,
Paolino
Dalla Porta, Diana Torto e
Garrison
Fewell, mentre presso la sala consiliare del comune di
Sant'Anna
Arresi si sono tenuti gli incontri confluiti in "Battiti", programma
condotto da Pino Saulo sulle frequenze di Radio 3 con interviste a
Joe McPhee, Keith Tippett e Mario Gamba.
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
30/08/2009 | Laigueglia Percfest 2009: "La 14° edizione, sempre diretta da Rosario Bonaccorso, ha puntato su una programmazione ad hoc per soddisfare l'appetito artistico di tutti: concerti jazz di altissimo livello, concorso internazionale di percussionisti creativi Memorial Naco, corso di percussioni per bambini, corsi di GiGon, fitness sulla spiaggia, stage didattici di percussioni e musicoterapia, lezione di danza mediorientale, stage di danza, mostre fotografiche, e altro." (Franco Donaggio) |
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Data pubblicazione: 05/01/2009
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