Intervista a Raffaello Pareti
di Marco Losavio e Giuseppe Mavilla
Raffaello Pareti,
contrabbassista, compositore e leader di alcuni progetti che si sono imposti nel
panorama musicale italiano per originalità e per essere caratterizzati anche da
una ricerca nelle sonorità più nostrane, derivanti dalla tradizione musicale italiana.
Dopo Il Circo,
di recente pubblicazione, il suo album Maremma,
pubblicato dall'Egea, che ha riscosso notevoli consensi.
JI: Quando
Raffaello Pareti
incontra il jazz?
L.P.: Il mio incontro con il jazz è avvenuto quando avevo 18 anni e ascoltavo
i Weather Report ed
Herbie Hancock, così come è avvenuto per tantissimi della mia generazione
e poi la canzone, quella di matrice afroamericana, ho amato tanto il rhythm and
blues, musicisti come Stevie Wonder e ancora tutta l'epopea del rock. E'
chiaro che sono stati importanti sia i Weather Report che
Herbie Hancock perché gettavano un punto tra queste due culture. Ho
scoperto il jazz e da lì piano piano ho incominciato ad ascoltare un po' di tutto
ed è iniziato un viaggio a ritroso nel tempo che mi ha portato ad ascoltare il jazz
degli esordi. Poi dopo aver assimilato quanto di più possibile di questo linguaggio
accade che si sente il bisogno di poter esprimere qualcosa di personale, di se stesso,
un'esigenza espressiva che sia un po' la sintesi di tutte queste esperienze, esprimere
qualcosa di personale. E' un'esigenza che io ho avvertito, che mi incalzava già
dopo poco tempo che avevo iniziato a suonare ed ho incominciato a scrivere pezzi
originali per i progetti di cui ho fatto parte e poi andando avanti è arrivato il
momento in cui mi sono sentito pronto per poter fare un progetto tutto mio quindi
idearlo per intero, meditare sui musicisti da chiamare, sul tipo di suono che volevo
ottenere e quindi sull'universo musicale sul quale mi sentivo di lavorare.
E
così è nato il "Il
Circo". Io ho lavorato per tanti anni con
Bollani
e Salis
nell'orchestra del Titanic,
Salis
è stato un musicista che mi ha colpito ed influenzato per cui mi sono detto quando
faccio una cosa mia parto proprio da lui, poi ho chiamato
Stefano
Cantini che ha questo suono bellissimo ed è capace di suonare come pochi
melodicamente, ha un'innata capacità di essere lirico, io scrivo con un-evidente
attenzione per la melodia e questo progetto ha funzionato subito. Dopo aver composto
i pezzi ho realizzato una registrazione casalinga che ho fatto sentire al patron
dell'Egea che ha apprezzato il mio lavoro e abbiamo iniziato le registrazioni, nel
frattempo si è unito anche
Bebo Ferra
per cui Il Circo
viene presentato dal vivo qualche volta in trio con
Antonello
Salis e
Bebo Ferra,
qualche volta c'è
Stefano
Cantini perché bisogna fare i conti con gli impegni di ognuno. Stasera
ad esempio c'è
Mauro Negri che non ha il ruolo di sostituire qualcuno bensì di partecipare
a pieno titolo alla realizzazione del concerto. La musica ci consente di trovare
sempre delle soluzioni.
JI: Nel Circo tu metti insieme il jazz alla tradizione
musicale italiana perché?
L.P.: Perché a me la tradizione musicale italiana
ha dato tanto in particolare con le canzoni. L'idea di riuscire a scrivere delle
melodie che abbiano per così dire, una valenza popolare a me piace molto perché
lo sento come un mio elemento, mi sento a casa e questa cosa devo dire è una cosa
che ho scoperto grazie al mio incontro con
Stefano
Bollani, e di questo gliene rendo sempre merito, certe volte ci sono
delle cose che stanno sempre lì in attesa di venir fuori e vengono fuori quando
ci sono degli incontri che lo determinano.
Stefano
Bollani, essendo un profondo conoscitore di tutta la produzione italiana
di canzoni, mi riferisco a quella degli anni '30, Carosone, Sanremo, da sempre
nella sua musica ha inserito elementi che non fanno parte del linguaggio jazzistico
in senso stretto ma che sicuramente appartengono alla nostra tradizione al nostro
modo di fare canzoni. Poi ci sono degli elementi che sono ironici, circensi in un
certo senso. Ecco, dopo l'esperienza con lui che è durata circa 10 anni l'idea che
tutto questo materiale potesse essere ancora fresco al punto da poter dar luogo
a situazioni nuove di volta in volta molto stimolanti anche per quanto riguarda
l'improvvisazione mi ha dato l'input per iniziare e da lì ho preso spunto per costruire
la mia esperienza discografica.JI: La citazione
di Bocca di Rosa di De Andrè te l'ha
ispirata il testo o la musica?
L.P.: Devo dirti la verità, io rimango sempre molto
colpito dalla musica però l'idea di rivisitare il grande patrimonio della canzone
d'autore, quindi riarrangiandolo e piegandolo all'esigenza che un musicista può
avere, come quella di improvvisarci sopra, è davvero stimolante. Quindi mettendo
in luce anche degli aspetti che in qualche maniera non ci sono, andare come dire
ad illuminare delle zone d'ombra del pezzo che l'autore non ha mai considerato o
per meglio dire non ne ha avuto una personale esigenza mentre tu magari vuoi portar
fuori o realizzi un particolare arrangiamento che fa di quel pezzo una cosa assolutamente
nuova. Il bello della musica è proprio questo tu magari utilizzi un frammento di
quel pezzo, parti da lì per generare una nuova pianta. E' un po' prendere una cosa
e metterla su un altro terreno con un altro tipo di cultura però il legame con il
terreno da cui proviene c'è sempre, rimane.
JI: …e De Andrè merita questa rilettura.
L.P.: De Andrè merita assolutamente ma poi c'è ne sono altri, io ho
fatto dei lavori di arrangiamento di pezzi di Tenco che è un autore su cui
tanti altri hanno lavorato, con il quale molti altri colleghi si sono confrontati.
Poi ultimamente ho fatto una cosa che mi è molto piaciuta e stimolato, che spero
di poter continuare a fare ovvero lavorare sui testi ed ho messo in musica una poesia
di Bruno Lauzi. E' stata una cosa che mi è piaciuta tantissimo perché lavorare
sui testi da degli stimoli fortissimi e poi obbliga naturalmente a dover sottolineare
ogni passaggio letterario poetico e quindi trovare il modo di riproporre musicalmente
quello che già il testo ci suggerisce.
JI:
Maremma è un po' il prosieguo
de "Il Circo"?
L.P.: Sì è una continuazione, ci sono è vero
degli elementi di novità, c'è Antonello che suona il pianoforte, facciamo dei pezzi
che hanno una struttura più aperta, abbiamo provato a sperimentare in tal senso,
ci sono dei momenti di improvvisazione collettiva, ci sono colori che non avevamo
usato nel Circo, poi c'è l'apporto straordinario di
Stefano
Bollani in qualità di ospite in tre brani. Ed è comunque la continuazione
di quello che avevamo iniziato con
Il Circo.
JI: Un album dedicato alla propria terra che
chiami "riserva di serenità"...Quali sono stati gli elementi che ti hanno portato
a scrivere musica per la tua terra?
L.P.: Il sentimento di gratitudine, l'attaccamento alla Maremma. Il ricordo
che ho dell'infanzia è indissolubilmente legato alla terra e al mare perché è dal
rapporto con questi due elementi che si è sviluppato il mio immaginario. Il ricordo
del senso di comunione che provavo nelle interminabili giornate passate in acqua
alla scoperta dei fondali o arrampicato su qualche albero della pineta dell'Alberese,
con il tempo non ha perso il potere magico di proiettarmi in uno stato di grazia
in cui la mente è libera di fantasticare. Spesso quando scrivo torno lì.
JI: Ascoltandolo si nota una rilevante attenzione
all'esposizione della melodia trattando ogni nota con una cura espressiva notevole.
I raddoppi, le dinamiche...in pratica si ha la sensazione di giungere al momento
improvvisativo già sufficientemente appagati...Come hai affrontato la scrittura
e l'affidamento dell'interpretazione ai musicisti dell'album?
L.P.: In effetti dedico molto tempo all'arrangiamento dei brani, dopo che
la stesura del pezzo è stata ultimata comincia una fase in cui cerco di immaginare
i colori che meglio possono mettere a fuoco il carattere di quello che ho scritto
e così ogni volta, in un gioco di pesi e contrappesi, luci ed ombre, rimetto in
discussione i parametri che serviranno ad enfatizzare una parte della struttura
del brano o anche solo un passaggio, una frase. Il fatto che tu dica che si arriva
al momento dell'improvvisazione con un certo grado di appagamento è un complimento
che incasso volentieri data l'importanza che attribuisco alla parte tematica, ma
diamo tutto il riconoscimento che meritano ai musicisti che hanno partecipato alla
registrazione perché, con la qualità dei loro interventi, hanno contribuito in modo
perfetto all'equilibrio tra la parte scritta e la parte improvvisata.
JI: Si avvertono anche sonorità lontane, legate
ad un passato però non stereotipato. Nel senso che non vi è un rifacimento o un'ispirazione
particolare ad altre musiche bensì un tentativo (riuscito) di tradurre in musica
visioni, suoni vissuti dal di dentro. E' così o hai anche avuto ispirazioni provenienti
da altri riferimenti musicali o artistici in genere?
L.P.: Brani come Ulisse o
Missing hanno sicuramente un carattere evocativo,
risonanze di cose che riportano indietro nel tempo, riascoltandoli rientro facilmente
nella dimensione psicologica che ha fatto da sfondo alla loro scrittura. La realtà
che viviamo è complessa e difficile da capire, per non perdere il contatto con la
parte più profonda della mia identità quando la sento in pericolo, cerco di mettermi
in una prospettiva che mi allontani dal fuori per poter meglio ascoltare
il dentro. Questa sorta di profilassi dell'io provoca delle risonanze ancestrali,
in questo senso lo sguardo alle cose lontane mi aiuta a recuperare senso
quando non lo trovo nel presente. Naturalmente mentre scrivo penso alla musica e
a nient'altro, percepisco solo un'eccitazione di fondo, un'agitazione sotto pelle,
le considerazioni che faccio ora tentano di spiegare malamente quello che attraverso
la musica è stato semplice da dire.
JI: Ti va di parlarci un po' dei brani? Chi è
Zoe? Il brano è molto gioioso...
L.P.:
Dirò subito che i titoli sono sempre assegnati dopo che il brano è stato
scritto e quindi anche in questo caso è la musica ad ispirare il titolo. Zoe potrebbe
essere una delle giovani ballerine che insieme a mia figlia improvvisavano passi
impossibili in attesa di cominciare la lezione di danza, talento purissimo che non
riesce a contenere la sua vitalità, croce e delizia della scuola di ballo...abbiamo
già la colonna sonora, liberi di scrivere la sceneggiatura.
JI: Missing,
intensità e...malinconia...Una mancanza dovuta a cosa?
L.P.: Non si può dire tutto...
JI: Drost Nia,
una pirotecnica danza di gruppo con un forte momento recitativo centrale ricondotto
poi nel tema principale. Sembra dedicato ai paesi balcani...Cosa significa e come
nasce?
L.P.: I tempi dispari non sono per noi familiari come lo sono per i popoli
slavi ed è quindi particolarmente stimolante provare a scrivere temi che abbiano
per base ritmi di 11/4 e 5/4, come in questo caso. Io purtroppo conosco assai poco
la musica balcanica, l'idea di scrivere quel pezzo è venuta mentre stavo improvvisando
un riff in 11/4 al pianoforte. Drost Nia non significa niente, nel momento
recitativo parliamo un'improbabile russo, inventiamo, come Alberto Sordi
con il suo improbabilissimo inglese in Un Americano a Roma. Mentre Antonello
improvvisava la sua parte mi è venuta in mente la voce di uno speaker della radio
di stato russa così come l'abbiamo sentita in certi cinegiornali d'epoca e ho cominciato
ad imitarla, dopo poco anche gli altri si sono uniti ed ecco come è nato il recitativo…
JI: Infanzia...altro
momento molto intenso che riporta ad istanti in particolare o ad un'atmosfera in
generale?
L.P.: In tutta onestà non è che volessi scrivere un tema sull'infanzia. Il
più delle volte succede che sia lì a giocare con due accordi ed ecco che viene un'idea,
io non faccio altro che sviluppare quel che già sento implicito nell'incipit. Diverso
è il caso, che ho sperimentato di recente per la prima volta, di scrivere musica
avendo un testo come riferimento. Qui si tratta di interrogarsi continuamente sull'adesione
della musica al testo, sulla capacità di un accordo, di una frase musicale di adattarsi
alla parola, al verso letterario. In questo caso si ha già un percorso indicato,
un'atmosfera che fa da sfondo ed è affascinante constatare come attraverso
la musica si possa amplificare, distorcere o mettere la sordina alle implicazioni
di senso contenute nel testo.
JI: Valà Ralboni!
Un'esclamazione indirizzata a chi?
L.P.: E' l'anagramma di Rava Bollani. Come
avrai sentito ascoltando il brano, si tratta di un'incursione stilistica esplicita,
con tanto di dedica.
JI: Come nei film,
solare, sembra effettivamente il finale di un film-commedia...
L.P.: Certamente mi piace l'idea che il pezzo abbia uno sviluppo narrativo,
che si snodi come una storia breve. Scrivere per il cinema o il teatro? Sarebbe
bello, c'è stato qualche timido segnale, vediamo in futuro cosa succederà.
JI: Yusif,
di Bebo Ferra,
richiama la Tunisia, il Maghreb...che legame ha con la Maremma?
L.P.: Da Cagliari no, ma con un po' di fortuna da Villa Simius si vedono
sia la Maremma che la Tunisia. In questo viaggio immaginario che parte dalla Maremma
c'è molto Mediterraneo, salpiamo dalle coste del Tirreno per approdare a Tunisi.
E la nave va.
JI: I musicisti scelti hanno caratteristiche
molto differenti. Sono gli stessi de
Il Circo con l'aggiunta di Bollani
e Paoli. La scelta è comunque nata dopo la scrittura dei pezzi? Oppure hai
scritto anche in funzione della loro presenza?
L.P.: Succede spesso, mentre scrivo le prime battute di un nuovo brano, di
sentire quel pezzo suonato da qualcuno che conosco bene, questo è il caso di
La danza di Zoe che sapevo sarebbe stato nelle
corde di
Antonellos e
Stefano,
così
come Infanzia e
Missing sapevo sarebbero stati interpretati magnificamente
da Ferra
e Cantini.
Di Valà Ralboni ho già svelato l'arcano, inutile
aggiungere altro. Conosco bene tutti loro, mi è abbastanza facile immaginare quali
pezzi si adattano meglio alle caratteristiche di ciascuno, gli esiti poi sono andati
ben al di là di quanto potessi immaginare perché quello che hanno in comune i musicisti
che suonano nel disco è che sono capaci di intuizioni geniali e non finiscono mai
di sorprenderti.
JI: Non c'è batteria e, sinceramente, non se
ne avverte minimamente la mancanza. Nei tuoi progetti è una costante...Quanto ti
piace non avere il batterista al tuo fianco...? Che visione hai del "ritmo"?
L.P.: Suonare senza la batteria rafforza sensibilmente il grado di autonomia
ritmica ed affina la capacita di entrare in relazione con l'altro, il ritmo diventa
così il prodotto di un respiro comune. Quando le condizioni di ascolto sono ottimali
è incredibile come si possa inventare liberamente mantenendo un altissimo grado
di coesione.
JI: Tu hai suonato con
Luca Flores,
cosa ti ha colpito particolarmente di lui?
L.P.: il rigore, era una sorta di monaco buddista che ha dedicato la sua
vita alla musica e al jazz e quindi mi piace paragonarlo ad un monaco buddista per
il rigore con il quale gestiva il suo rapporto con la musica, con serietà e ricerca
ed a questo punto è chiaro che arrivano i risultati. Lui aveva un rapporto intenso
di estrema concentrazione e la sua vita era per la musica. Il suo è un esempio da
seguire e da considerare per ogni musicista.
JI: Tornando a te e alla tua musica la risposta
che hai avuto finora dal pubblico attraverso i concerti e dal riscontro su mercato
discografico dei tuoi cd ti soddisfa?
L.P.: Assolutamente sì anche perché a volte presentiamo questi progetti anche
in locali che non sono in assoluto deputati all'ascolto della musica jazz e anche
in questi casi raccogliamo consensi e attenzioni pari a quelli che otteniamo nei
jazz club o all'interno di rassegne esclusivamente dedicate ad esso. Inoltre il
fatto che in queste occasioni venga a incontrarti della gente, dei musicisti che
ti ringraziano per un lavoro che tu hai realizzato è una soddisfazione immensa per
chi fa musica. Tutto questo mi incoraggia perché vuol dire che la sintesi su cui
stiamo lavorando ha una valenza che va al di là del fatto che tu che vieni ad ascoltarci
sia uno specialista e quindi possiedi un retroterra di conoscenze di linguaggi che
ti aiuta a comprenderci. Quando questo va oltre, allora va bene.
JI: La tua musica dove sta andando? Hai già un'idea
dell'evoluzione che avrà?
L.P.: Di certo so che nei prossimi lavori la voce avrà uno spazio
importante. E' un po' di tempo che sto esplorando sonorità realizzate con l'uso
dell'arco e della voce, così come sto sperimentando l'uso del mio strumento in senso
percussivo. Sono stati illuminanti due concerti dal vivo in cui ho avuto la fortuna
di assistere ai prodigi di Ernst Reijseger, questo straordinario musicista
mi ha aperto un mondo.
JI: Che musica ascolti in questo periodo?
L.P.: Di Reijseger ti ho già detto, mi piacciono molto Sclavis
e Ben Allison che in comune hanno una grandissima abilità nell'organizzazione
della musica, veramente due bravi compositori e poi non mi stanco mai di ascoltare
i numi tutelari Gismonti e Guinga.
JI: Quali altri interessi coltivi?
L.P.: Il cinema, andare in bicicletta, e poi mi piace leggere, di tutto.
Un libro che consiglio a tutti i musicisti è Grammatiche Della Creazione
di George Steiner, un viaggio nel mistero della creatività, bellissimo.
JI: C'è qualcuno che oramai sostiene che tu possa
essere considerato un po' il
Charlie Haden nostrano. Ti infastidiscono questi accostamenti o ti
fanno piacere?
L.P.: Mi lusinga, e un po' mi imbarazza.
Charlie Haden è un pezzo di storia del jazz, uno dei grandi innovatori
del contrabbasso, basterebbero le registrazioni del quartetto di
Keith
Jarrett con Dewey Redman e Paul Motian degli anni
'70 (tra le mie preferite)…, ma
Haden non è solo un grande contrabbassista è anche un grande e instancabile
organizzatore di musica, un musicista con grande fiuto per i progetti, un attivista,
un uomo di grandissima personalità. Insomma, che dire, l'accostamento è per me un
grosso complimento.
JI: Tra i tuoi progetti, di recente, c'è un quartetto
con Karima Ammar, eccellente cantante che ha aumentato la sua notorietà grazie
alla trasmissione Amici. E' un progetto dedicato a Domenico Modugno e alla
canzone d'autore. Non è un'idea originalissima...però visti i musicisti lascia ben
sperare in un qualcosa di originale, sicuramente di qualità. Quali sono gli elementi
distintivi di questo vostro progetto?
L.P.: Con Karima condividiamo una passione comune per la musica Soul
e R&B e all'inizio pensavamo che quello avrebbe potuto essere il riferimento
dal quale partire per realizzare un progetto in comune. Ma poi ho pensato che poteva
essere ancora più avvincente l'idea di esplorare le sue capacità di cantare in Italiano
misurandoci, lei come cantante io come arrangiatore, con il repertorio della nostra
canzone d'autore nell'attesa che maturasse un progetto tutto nostro. Allo stato
attuale questo progetto è costituito da arrangiamenti, in alcuni casi si tratta
di veri e propri stravolgimenti, di brani di Modugno, De Andrè e
Tenco e da alcuni brani originali. C' è molta cura nella ricerca degli impasti,
tutti gli strumenti sono suonati sondandone le possibilità espressive, coloristiche
e percussive, per il momento è tutto molto stimolante, e così per ora continuo a
muovermi in libertà aggiungendo cose nuove ad ogni concerto, alla fine dell'estate
tirerò le somme.
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05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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Data pubblicazione: 01/08/2007
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