Stefano Bollani Piano Solo
6 luglio 2011 – Piazza Duomo, Tortona (AL)
di Andrea Gaggero
foto di Francesco Truono - Pomigliano Jazz 2011
"Scrivere di musica è come danzare di architettura…" (Frank Zappa)
…e avere la presunzione di recensire un concerto di
Stefano
Bollani affidandosi alle sole parole, è pure peggio. Si perde così,
oltre alla ricchezza di sfumature e riferimenti della musica, l' aspetto
visivo-teatrale e quella sorta di happening continuo in cui un concerto del pianista
milanese si trasforma rapidamente.
Che la musica sia anche la sua "mistress" lo si intuisce da come ogni riferimento,
battuta o gag parta da ed inesorabilmente torni a la musica;
sia quando si tratti di una "fantasia" di brani improbabilmente accostati e germoglianti
gli uni dagli altri, o di un uso del microfono quale strumento percussivo da cui
far scaturire una gustosa gag, o ancora in occasione dell'imitazione (parodistica quanto irresistibile,)
del birignao di Paolo Conte.
Musicista dal talento smisurato e dalla curiosità intellettuale ampia, nello spazio
di due ore di concerto ci accompagna, novello Virgilio travestito da Arlecchino,
in un viaggio tra le musiche del mondo lette attraverso la propria caleidoscopica
lente interpretativa.
Musicista di grande intelligenza, raffinatezza, acume, humor e senso dello spettacolo,
si fa grandemente apprezzare per la chiarezza di intenti e l'onestà intellettuale:
un concerto, ammonisce alla fine, è altro rispetto alle incisioni discografiche;
oggi più di ieri aggiungiamo noi anche con buona pace della moribonda industria
discografica.
L'ascolto ci ha confermato ciò che era (facilmente?) intuibile oltre un decennio
fa: Bollani è talento naturale, affatto fuor del comune, è padrone della tecnica
pianistica (ortodossa e meno) ed è musicista dotato di una straripante, enciclopedica
inventiva.
Il recensore si trova però costretto, suo malgrado, a ribaltare l'errata, quanto
soggettiva, opinione riguardo l'impiego di cotal talento: la forza centrifuga che
spinge Bollani ad impegnarsi nelle più disparate situazioni musicali, radiofoniche,
teatrali non è un limite ma forse l'unico modo di poter incanalare talento ed
energia e mettere positivamente
a frutto. Così (forse) la sue cospicue risorse musicali trovano una
serena espressione e la mancanza di limiti umani, ostentata più che reale, diventa
partita da giocare con l'intenzione di vincerla.
Quando, dopo poco più di mezz'ora di musica dichiara il concerto finito, per poter
dare modo al pubblico di richiedere gli estenuanti bis "che dureranno sicuramente
più del concerto", Bollani gioca con sé stesso, con il
pubblico e con i riti, ormai consunti, del concertismo musicale, rinnovandoli dall'interno.
Dalla gag, come un prestigiatore, tira fuori un elenco di brani, necessariamente
celebri e immortali, che confeziona come una "fantasia" di quelle che si potevano
ascoltare nella TV nostrana degli anni '60. Qui, come è suo uso, i riferimenti
sono quanto mai eterogenei e disparati, apparentemente impossibili da accostare
e tenere insieme. Ma quello che il pubblico non sa, e che Bollani invece ben conosce,
è che la musica pop del secolo scorso è largamente debitrice della musica di
matrice afroamericana,
in termini ritmico armonici innanzi tutto. Diventa allora tangibile come la
gershwiniana "Rhapsodia in Blue", il più famoso tema manciniano "The Pink
Panthers Theme","So What" e la musica di
Paolo Conte siano parenti stretti. In questo frammento di concerto la capacità
di far fiorire, come naturalmente, i diversi temi nel modo più semplice ed appropriato
è tutto merito della musicalità di
Stefano
Bollani.
Nonostante ciò (o forse per ciò), Bollani non è uno sperimentatore o un improvvisatore libero e radicale, improvvisa su schemi ben
collaudati, seppur sovente originali. Persino lo sviluppo di ogni brano
segue uno schema abbastanza rigido anche se meravigliosamente esposto e celato.
Il brano inizia su cellule ritmiche o ritmico armoniche, poi brevi frasi, come introduttive,
portano (solo molto più tardi) al germogliare, straordinariamente "naturale" del
tema che viene quasi sempre esposto in maniera celata, arricchito o svuotato. E'
questo il trattamento che riserva, in apertura di concerto a Body And Soul.
Del tema prescelto, verrebbe da dire pescato nel vaso come nelle lotterie di paese,
possono essere eseguite solo alcune note e lo stesso può essere evocato in modo frammentato/frammentario,
oppure, esibendone la melodia con una cantabilità, appropriatezza, economia
e timing patrimonio solo dei grandi cantanti e interpreti.
Merito a Bollani, alla sua curiosità e apertura, l'aver recuperato dall'oblio
una delle più belle canzoni di Domenico Modugno (e quindi della storia della canzone
tout court) posta in chiusura del pasoliniano "Cosa sono le nuvole". Ci pare un commosso e commovente
omaggio al miglior Pasolini e al miglior Modugno e insieme alla migliore canzone
italiana, spesso ripresa dai jazzisti in modo goffo ai limiti dell'imbarazzante. Bollani istrione vero, talento vero, canta (finalmente!) ascoltandosi ed ascoltando
il valore, fonetico e semantico, delle parole.
Poi un brano a lungo rimuginato trascolora in Well You Needn't, si trasforma
in un blues tristaniano con bassi profondi e tocco ipnoticamente percussivo, ombra
del miglior Jarrett (quello degli anni '70)
si riflette sulla cordiera.
Dalla grazia Mozartiana, (il Mozart apollineo di Brendel) e dal ritmo leggero di
calipso fiorisce il bel tema di "Jamaica Farwell" esempio mirabile di cosa
si possa intendere con l'espressione "far cantare il pianoforte".
E ancora a Bollani dobbiamo il recupero dall'oblio di un altro grande autore
italiano ingiustamente misconosciuto, Lelio Luttazzi.
Qui il cinico "Legata ad uno scoglio" dimostra l'acume di Bollani e la straordinaria
modernità e freschezza del miglior Luttazzi.
"Il Barbone di Siviglia" e il "Ribaltone" vengono eseguiti senza soluzione
di continuità: le iniziali atmosfere Raveliane, del Ravel tecnicamente e musicalmente
ostico ai limiti dell'impossibile di Scarbo, del primo si aprono e si sciolgono
lentamente in uno stride interrotto da continue sospensioni e finte chiuse che lo
rendono irresistibile.
Una cadenza accordale trascolora in un ritmo con accordi a tempo di samba da cui
fa capolino il tema de "La Banda". Ancora El Choclo
eseguito ad un tempo rapidissimo senza la minima sbavatura e senza apparente
difficoltà e sforzo (altra caratteristica precipua dei migliori musicisti di
matrice afroamericana) viene alleggerito da un gustoso siparietto. E poi ancora
due brani da "La Gnosi delle Fanfole" su testi poetici di Fosco Maraini in un linguaggio inventato e quantomai
in sintonia con il pianista.
Dopo l'intermezzo una accorata, melanconica, intima ballad, di Evansiana memoria,
trascolora lentamente nel tema di "Ma l'amore no" del quale riesce a rivelarci tutta
la struggente bellezza in una esposizione meravigliosamente controllata.
Concerto ricco di musica, di gag e siparietti teatral-comici condotti sempre con
grande gusto e misura. Bollani ha la grande dote dello humor e dell'autoironia;
riesce a non prendersi troppo sul serio e a porsi in modo diretto, umile e comunicativo
divertendosi e divertendoci. Ma la sua musica è maledettamente seria perché richiede
una concentrazione, una abilità tecnica e un pensiero musicale non banali e non
comuni.
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
|
Inserisci un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 3.315 volte
Data pubblicazione: 29/10/2011
|
|